Elezioni e conseguenze inintenzionali

Il risultato delle elezioni politiche dovrebbe indurci a riflettere su una realtà in sé banale, ma regolarmente trascurata nel dibattito politico. Ovvero: le azioni, incluse le azioni del legislatore, possono avere conseguenze inintenzionali. Lo straordinario successo del Movimento Cinque Stelle può essere letto anche, almeno in parte, come un caso di conseguenze inintenzionali.

Com’è noto, vige il divieto di pubblicazione dei sondaggi nei 15 giorni prima delle elezioni (legge sulla par condicio). La norma ha una sua logica. Dovrebbe servire a non inquinare il libero esercizio della libertà di voto di ciascuno, che verrebbe “messo sotto pressione” da una martellante diffusione delle indagini demoscopiche. È già stato notato che si tratta di regole pensate prima che la rete diventasse uno spazio di discussione così importante per la politica (si veda ad esempio questa riflessione di Vincenzo Cosenza). Ma, al netto di qualsiasi altra considerazione, ciò che stride è l’idea che per preservare la libera espressione del voto come valore in sé possa essere utile una riduzione delle informazioni disponibili. Nello specifico: se resi noti, i sondaggi degli ultimi quindici giorni avrebbero dato conto dell’ascesa di Grillo. Sapere che già così tanti italiani avevano deciso di votare per i Cinque Stelle, urlando il loro “vaffa” alla classe politica, magari avrebbe portato alcuni a saltare sul carro del vincitore: credo però che molti di più sarebbero stati quelli che, turandosi il naso, avrebbero rinunciato il “vaffa” e avrebbero fatto la loro x sul simbolo di un partito “tradizionale”, in tutta probabilità del PD. Il quale ha probabilmente perso consensi proprio perché appariva, da mesi, vincitore indiscusso: alcuni hanno preferito “dare un segnale” alla “casta”, anziché esprimersi controvoglia per un Pier Luigi Bersani che aveva già la vittoria in tasca. La par condicio, legge pensata per controbilanciare il peso mediatico di Berlusconi, è andata a svantaggio dei principali avversari di quest’ultimo.

Durante tutto l’anno di governo di Monti, Giorgio Napolitano ha continuato a esortare i partiti politici a riformare la legge elettorale. Piddini e pidiellini sono pronti a giurare di avere tentato, gli uni e gli altri, tutto il possibile per metterci mano nonostante l’opposizione dell’altro partito. Fatto sta che in realtà a entrambi veniva comodo il Porcellum: vuoi per il sistema delle liste bloccate, ovviamente congeniale alle burocrazie di partito, vuoi per il premio di maggioranza, vuoi perché immaginavano che una legge elettorale siffatta penalizzasse fortemente i partiti “outsider”, privi di un “marchio” riconosciuto dagli elettori e esterni alle coalizioni esistenti. Ma quello di Grillo è un successo mono-personale, il quarto di elettori che lo ha premiato ha votato esclusivamente per lui, nessuno conosce i suoi candidati, sui quali solo ora giornali e tv stanno alzando il sipario. In tutta evidenza, che un partito che schiera candidati ignoti avesse un risultato simile era possibile solo col Porcellum: non col vecchio Mattarellum (col quale la battaglia avveniva a livello dei collegi uninominali) e nemmeno con una legge proporzionale con le preferenze. Hanno voluto tenersi questa legge elettorale per impedire l’accesso agli outsider, sono rimasti vittima di un outsider.

Le ironia della storia possono risultare irritanti. Forse, però, se ne può trarre qualche lezione.

Alberto Mingardi

Alberto Mingardi (1981) è stato fra i fondatori ed è attualmente direttore dell’Istituto Bruno Leoni, think tank che promuove idee per il libero mercato. È adjunct scholar del Cato Institute di Washington DC. Oggi collabora con The Wall Street Journal Europe e con il supplemento domenicale del Sole 24 Ore. Ha scritto L'intelligenza del denaro. Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto (Marsilio, 2013). Twitter: @amingardi.