Buon compleanno Zennikkū! ANA compie sessant’anni

Ecco i temerari con le loro macchine volanti. Anzi, elicotteri.

Quando Leonardo Da Vinci sognava il volo uno dei suoi schizzi più famosi disegnò un’elica a vite o “vite aerea”. Non sappiamo cosa pensasse realmente che quel tipo di marchingegno potesse fare: Leonardo era ossessionato dalle eliche che al suo tempo erano molto utilizzate per alzare carichi pesanti o per rendere eleganti le maestose architetture di un palazzo con doppie e addirittura quadruple volate di scale che si giravano rapidamente e con leggerezza (lo stesso Leonardo le usò in vari progetti).

Probabilmente, oltre alla leggerezza, l’intuizione alla base dell’elicottero di Leonardo sta tutta nel fatto implicito che l’aria sia un fluido e che quindi la vite infinita potesse alzare la piattaforma su cui poggiava e il suo carico di persone e merci nell’aria stessa.

Il disegno di quell’elicottero ha una storia che risale al 1489, anno più anno meno. Uno dei suoi impieghi più singolari e meno conosciuti qui da noi è stato sull’impennaggio di coda di una delle principali compagnie aere al mondo: la All Nippon Airways, amichevolmente chiamata ANA, che in Giappone è familiarmente chiamata Zennikkū.

Sembravano soldatesse dell'aviazione americana e in effetti le hostess con la prima generazione di divise ANA avevano capi ispirati proprio a quel modello

ANA è la più grande compagnia aerea giapponese e l’ottava al mondo: ha 33mila impiegati, un network di 175 rotte percorse dalla sua flotta di 231 macchine volanti, con mille voli al giorno che nel 2011 hanno trasportato 43 milioni di passeggeri. ANA è anche il cliente di lancio del Boeing 787-8, il famigerato “aereo di plastica”, che ero andato a vedere negli stabilimenti di Everett quando ancora il “piccolo gigante” era poco più di un prototipo e che adesso sta dando parecchie gatte da pelare con una serie di problemi ed incidenti di non poco conto, non ultimo un doppio incendio alle batterie dei sistemi di bordo che ha costretto gli enti regolatori del volo a mettere a terra tutti i velivoli di questo tipo.

Torniamo ad ANA: la vecchia Zennikkū ha infatti appena compiuto 60 anni. Una ricorrenza piuttosto importante considerando che il Giappone, sconfitto come l’Italia e la Germania al termine della Seconda guerra mondiale, non solo aveva da ricostruire i suoi trasporti aerei, ma doveva farlo anche sottostando alle limitazioni stabilite dagli accordi di piace. Nel caso della Germania questo aveva portato alla nascita di compagnie a capitale straniero come Air Berlin, che aveva diritto di collegare Berlino al resto del mondo, oppure come Alitalia – Linee Aeree Italiane, che aveva la sponsorizzazione americana per permetterne il funzionamento, avviato nel maggio del 1947 (interrotto definitivamente nel gennaio del 2009).

I Convair, una meraviglia di bimotori, pressurizzati e veloci, potevano fare Tokyo-Osaka senza scali intermedi. Rotte trafficate come quella ci sono solo tra Roma-Milano e Sydney-Melbourne

ANA invece inizia a funzionare a dicembre del 1952 come Japan Helicopter & Aeroplane Transports Co., meglio conosciuta come “Nipperi”, con 18 impiegati, un capitale minimo e due soli elicotteri. Due Bell 4D-1 noleggiati. Però la voglia di volare in Giappone doveva essere talmente tanta che le cose cominciarono ad andare bene piuttosto rapidamente. Il vero problema erano le limitazioni degli accordi di pace, che imponevano una serie di restrizioni sui voli (analoghe a quelle applicate anche in Italia). Sarà solo nel 1955 che ANA comincerà a volare con i DC-3 in configurazione da 30 posti con le prime hostess della compagnia aerea: la prima generazione di hostess aveva una divisa blu navy che ricalcava piuttosto esplicitamente le uniformi femminili della USAF, l’aeronautica militare statunitense istituita pochissimi anni prima, nel 1947.

Seconda generazione di uniformi, da apprezzare la sobria eleganza: più avanti ci sarà di che stupirsi

Poco dopo ai DC-3 si affiancano anche i più moderni Convair CV 440 Metropolitan, sempre bimotori ad elica ma pressurizzati, che permettevano anche di fare un volo unico tra Tokyo e Osaka, la tratta più sfruttata del Giappone (prima bisognava fare uno scalo a Nagoya) abbattendo il volo di un’ora. È il 1959 e arriva anche la seconda generazione di divise delle hostess: un sobrio tailleur con giacca senza collo piuttosto formale sempre color blue navy e camicia con collo aperto. Due anni prima la Nipperi era diventata ufficialmente All Nippon Airways Co., per il mercato interno Zen Nippon Kūyu Kabushiki-gaisha, Zennikkū per gli amici.

La crescita è abbastanza rapida e da lì a poco, nel 1961, ANA viene quotata nella seconda sezione della Borsa di Tokyo e nella seconda sezione della Borsa di Osaka. Gli accordi di pace intanto vietavano sempre i voli internazionali ad ANA, ragion per cui l’unica strada possibile per la compagnia di Tokyo era potenziare al massimo i voli interni. L’orografia del Giappone, che è un arcipelago montagnoso lungo e stretto, in qualche misura simile all’Italia (non a caso si parla anche di Alpi giapponesi) favoriva in realtà l’utilizzo dell’aeroplano così come delle lunghe linee ad alta velocità che si sarebbero chiamate Shinkanzen.

Vinse anche un primo premio: per essere una divisa da hostess è tanta roba

Nel 1964 arrivò negli hangar di ANA la nuova generazione di aeroplani, i primi jet: Boeing 727-100 in configurazione da 129 posti. Un successone perché questi velivoli, nelle due versioni −100 e −200, rimasero in linea per quasi trent’anni, costituendo il vero nerbo della flotta della compagnia. Senza contare che i tre motori di questo aereo che è una vera icona della jet-age, davano un’idea di velocità e magnifiche e progressive sorti.
È l’epoca della terza generazione di divise per le hostess: un tailleur color blu brillante con nuovo design, che vinse addirittura un premio del Health & Welfare Minister nel 1966.

ANA ha anche avuto il ruolo di compagnia di lancio per il primo e fino ad ora unico aereo di linea mai prodotto in Giappone. Si tratta del Namco YS-11A-500R Olympia, un bimotore affidabile e abbastanza innovativo per l’epoca in cui venne realizzato. “Olimpico” perché varato nel 1964, anno delle Olimpiadi di Tokyo che per il Giappone sono state un vero e proprio spartiacque tra il “vecchio” mondo della guerra e della ricostruzione, e il nuovo mondo della modernità.

L'Olympia in tutto il suo splendore: l'unico aereo di linea mai prodotto in Giappone finora. Dalla Namco, poi, che per gli intenditori suona come se fosse un videogioco...

Se già nel 1950 la dottrina strategica degli Usa era radicalmente cambiata in funzione anti-comunista, con la Corea e poi il Vietnam come preoccupazioni congiunturali principali, dietro le quali stavano Unione Sovietica e sullo sfondo la Cina comunista, portando a una serie di accordi militari molto stretti con il Giappone, che sarebbe diventata la portaerei asiatica delle forze americane (la base di Okinawa e le altre basi più piccole sparse nel territorio giapponese, la fine del divieto di riarmo del Paese), per il resto del Giappone occorreva un rito collettivo di passaggio. Le Olimpiadi furono questo, oltre che uno straordinario momento di promozione turistica ed economica del Giappone.

L’Olympia era un buon aereo, un bimotore dalle forme eleganti e piuttosto simili a quelle del Convair, con la lunga pinna dorsale che si arrampicava sino all’impennaggio di coda (non dissimile dalla soluzione scelta da Boeing per il suo 737) e con una configurazione da 60 posti. L’ultimo Olympia è stato ritirato da ANA nel 1991: non c’è che dire, l’hanno sfruttato ben bene.

Una quarta generazione splendida quanto oggi improbabile. Però ammettiamolo: una volta gli stilisti ci sapevano fare: avevano quel qualcheccosa

L’uniforme di quarta generazione per le hostess arrivò invece solo nel 1970, in occasione dell’Expo di Osaka. Si trattava di un figlio del gusto dell’epoca: un minidress a forma di A ed a colori contrastanti che oggi farebbe tanta tenerezza alle nostre mamme (ma che dubito se lo metterebbero).

Bisogna arrivare sino al 1971 per avere il primo volo internazionale, ancora fatto come charter e quindi speciale, non di linea. ANA vola tra Tokyo e Hong Kong, territorio britannico e polo di attrazione del business oltre che del turismo asiatico.

Kai Tak come prima prova “fuori sede” per i piloti giapponesi dev’essere stato un incubo, però non ci sono particolari note nelle pagine di questa storia. Il medio raggio in charter diventa l’unica valvola di sfogo per un mercato “impossibile” che sta bloccando la crescita di ANA.

Nel 1974 arriva un “bestione” che fa parte del periodo di avvicinamento alle rotte internazionali da parte di ANA: si tratta del Lockeed L-1011 Tristar, con tre motori e con una capienza notevole. Ben 326 passeggeri nella configurazione massima, sennò 206.

Tristar, tre motori, tanta potenza e soprattutto una sensazione di alluminio lucido sotto il sole rovente... la macchina che vola per me è tutta in quest'immagine.

Si tratta di un widebody, gli aerei a fusoliera larga in cui le file di seggiolini sono divise da due corridoio anziché uno solo: oggi sono considerati un po’ stretti, ma all’epoca sembrava di entrare in chiesa. Una chiesa bella grossa. Il Tristar venne costruito seguendo un progetto piuttosto ambizioso di conquista dei cieli da parte di una azienda aerospaziale che dopo poco sarebbe uscita malamente dal mercato civile.

I voli charter intanto continuano, ANA va a Guam, mentre arriva anche una quinta generazione di divise ispirate dal nuovo aereo (e non a caso chiamate “Tristar look”) che si caratterizza per tre varianti di colori molto brillanti: blu, beige e arancio. La compagnia aerea sta seguendo con ottime proposte il rapido succedersi di nuove aziende e il bisogno di costante modernità anche negli aspetti più esteriori che caratterizza il mondo del volo civile e di linea.

Tristar look, tre colori a scelta per un abito che fascia in maniera non troppo slanciata le hostess. È la divisa della quinta generazione

La cavalcata nella storia di ANA è sostanzialmente una lunga cavalcata nel desiderio di poter crescere “come gli altri” di questa compagnia che era tenuta a freno da una serie di divieti perduranti. Finalmente però, nel 1979, arriva il sospirato lasciapassare per i voli internazionali. Insieme al permesso di volare “lungo”, arriva anche una nuova generazione di aeroplani, cioè i 747SR-100 Super Jumbo, una delle configurazioni più particolari della prima generazione dei jumbo jet, con ponte superiore di testa allungato.

ANA non ha accesso ai più nuovi ma è interessata sicuramente ai più capienti, che può utilizzare ottimamente anche sul mercato interno: la configurazione da 528 posti permette di effettuare anche voli Tokyo-Osaka con carburante ridotto e strutture rinforzate per consentire al grosso aereo di effettuare un numero di cicli piuttosto elevato rispetto al progetto originale.

Sesta generazione: meno rigida e con colori più delicati ma un po' difficile immaginare oggi che sia comoda

Arriva anche l’immancabile nuova generazione di divise per le hostess, la sesta: più casual e con nuovi colori pastello, il cui scopo era portare una ventata di freschezza. Ci sono riusciti sicuramente, con una serie di colori leggeri. Oggi questo tipo di divise non piacerebbe più, penso, ma sarebbe l’ideale per un matrimonio invernale di mattina o nel primo pomeriggio. Ci vorrebbero dei bei guanti, secondo me.

Poco dopo l’arrivo del 747, ANA mise in linea nel 1983 anche i Boeing 767-200. Uno dei miei aerei preferiti oltre che più frequentati nelle mie trasvolate transatlantiche (Delta ne ha un sacco, e anche Alitalia ne ha fatti viaggiare un buon numero), con una serie di vantaggi non irrilevanti. Il primo era di avere solo due persone in cabina (niente ingegnere di volo) e l’altro era di avere due motori, che consumavano sensibilmente meno del 747. Anche se oggi sembra fantascienza, il 767 era all’epoca un aeroplano alquanto avveniristico anche come dotazione tecnologica e gli equipaggi di cabina lo ricordano con piacere perché pare abbia gli spazi per il riposo (quella parte irraggiungibile dai comuni passeggeri dove vanno a dormire stewartle hostess) tra i più comodi di sempre.

Inoltre, il 767-200 risultò soprattutto essere un aereo molto azzeccato anche per la flessibilità d’impiego, con un capienza non male: 234 persone nella configurazione di ANA che permettevano di giocare sia il corto raggio che il medio e un po’ di lungo.

Per celebrare il 30° anniversario della compagnia ANA creò la settima generazione di divise per le hostess: questa volta tailleur a doppio petto molto formale di colore blu scuro. Elegante eserioso. Da notare che il complemento di un cappello rimane il centro dello stile più nipponico mentre la forma del resto della divisa segue stili totalmente occidentali. A differenza, ad esempio, di quanto accade invece con le compagnie aeree mediorientali e altre asiatiche, che sviluppano divise più fantasiose sia nei colori che nel tipo di capi d’abbigliamento scelto. Viene in mente Singapore Airlines, ad esempio.

La settimana generazione è la più formale di tutte: il doppio petto da donna poliziotto e il colore cupo danno però risalto al sorriso delle hostess

Per ANA invece la novità è su un altro fronte. Alla fine, infatti, era arrivata anche l’apertura del mercato internazionale. E come accade sempre quando si tiene per troppo tempo compresso un sogno, l’energia esplose verso tutte le direzioni. In pochi anni le rotte si moltiplicarono: prima Usa, poi Cina, Australi, Corea del Sud, Thailandia.

Poi, nel 1989, il primo volo in Europa. Nell’ordine: Londra, seguita nel 1990 da Parigi e poi nel 1993 da Francoforte. Sono le tre città dove tutt’ora ANA ha le sue basi principali (si è aggiunta di recente anche Monaco di Baviera), e la Germania, per via della partnership con la StarAlliance (iniziata nel 1999) e Lufthansa (che con Lufthansa Technik ha uno dei più grossi servizi di manuntezione al mondo per aerei di linea) ha assunto un ruolo centrale nelle strategie di Zennikkū.

Nel 1992 ANA ha trasportato mezzo miliardi dipasseggeri nel mondo. Le rotte internazionali sono però ancora in perdita: il network domestico del Giappone copre i costi dell’espansione globale. Era una situazione tipica e ben costruita dal punto di vista strategico: ANA era sicuro che i profitti che sarebbero arrivati un giorno dal settore internazionale avrebbero ripagato ampiamente gli sforzi: le dimensioni del network erano maggiori e l’Asia è uno dei teatri più ricchi e complessi per il mercato. Basta pensare che non ci sono stati a lungo aerei pensati realmente per quel tipo di distanze: i lungo raggio sono stati costruiti pensando all’Atlantico, non al Pacifico, e i medio raggio pensando al continente nordamericano, non alla Cina.

Techno Jumbo: un 747-400 di ANA in tutta la sua gloria con la livrea Marine Jumbo

Il 1990 comunque è un anno particolare per noi fulminati degli aerei di linea (Plane spotters e tutto il resto). ANA infatti dà il benvenuto al suo nuovo acquisto: il Boeing 747-400 Techno Jumbo, una versione molto accessoriata del jumbo jet, a cui aggiunge un colpo di genio. Far disegnare la livrea ufficiale tramite concorso. Viene così creata la cosiddetta livrea “Marine Jumbo”, che è stata una tra le più eleganti al mondo.

Da qui in avanti inizia nel mondo uno dei filoni di personalizzate delle livree, disegnate con stili sempre più fantasiosi. Che bellezza!

Quasi ci siamo: gessato sobrio ed elegante, che recupera l'idea di donna di classe e al tempo stesso executive. Ottava generazione

Assieme al Techno Jumbo arriva anche l’ottava generazione delle divise delle hostess: tailleur gessato di taglio molto maschile, che aveva però ampi margini di personalizzazione. Le ragazze potevano infatti scegliere il colore della blusa e della sciarpa, tra viola, acquamarina e rosa corallo.

Nel 1995 accanto ai 339 passeggeri della configurazione del Techno Jumbo di ANA, arriva anche il mio aereo preferito di sempre: il Boeing 777-200 con 415 passeggeri. Il triple-seven ha un ruolo fondamentale per ANA così come lo ha avuto per tantissime altre compagnie aeree.

Il bimotore per il lungo raggio può essere utilizzato anche sulle rotte interne e consente di spostare rapidamente capacità e contenere fortemente i costi. È stato sviluppato da Boeing in collaborazione con varie compagnie aeree tra cui la stessa ANA, che ha fornito varie indicazioni per quanto le serviva. Si tratta di una pratica comune: a partire dal 747, quando si costruisce un aereo bisogna poter contare su un certo numero di clienti “sicuri” per il lancio. Costruirlo su misura per le necessità di alcune compagnie aeree diventa fondamentale. Senza contare che ogni aereo è in concorrenza con velivoli della stessa classe di produttori diversi: le specifiche sono sempre leggermente diverse per cercare di prendere un ritaglio di mercato differente e potenzialmente più ricco. La matrice che ne esce è alquanto complicata da leggere, soprattutto guardando le varianti che si accumulano nei decenni. Ma molto interessante!

La particolare "freccia" delle ali è uno dei particolari dai quali si riconosce un 787 in volo. Se solo li lasciassero volare...

ANA ha continuato a collaborare con Boeing nello sviluppo di vari altri apparecchi. La vocazione filo-americana sboccia nel rapporto speciale per la realizzazione del Boeing 787, un aereo molto particolare e dalla gioventù direi travagliata, con una configurazione per 158 passeggeri (46 più 112).

Nel 2003 ANA ha festeggiato il miliardesimo passeggero trasportato e nel 2011 i 25 anni viaggi su rotte internazionali. Da Hong Kong e Guam la strada è stata lunga ma piena di soddisfazioni.

A settembre del 2011 ANA riceve il primo 787 Dreamliner e presenta anche la nuova generazione delle divise: le hostess hanno un nuovo modello pensato per dare senso di unità al brand ANA, con un tailleur serio ma più elegante, con un segno più moderno. Il Dreamliner è una scommessa importante: ANA ne ha ordinati 66, ha ricevuto il primo prodotto e altri 16, ma è anche la compagnia che ha subito da pochi giorni gli effetti di immagine oltre che economici degli ultimi problemi tecnologici del 787.

Forse perché sposano lo spirito del nostro tempo, ma a me queste divise sono quelle che piacciono di più: è la nona generazione per le hostess di ANA

ANA ha un club per i viaggiatori abituali, il Mileage Club, che conta 24 milioni di iscritti e fa parte del circuito StarAlliance. In Giappone ANA fa conto su 50 città con 108 rotte e 784 voli giornalieri, mentre per l’internazionale ha 33 città con 67 rotte e 1008 voli settimanali. New Delhi, la seconda destinazione in India, San Jose e Seattle negli Usa e Yangon sono tra le ultime destinazioni aggiunte.

E l’Italia? Dal 1995 al 1999 c’erano i voli da Milano e Roma. Scelta obbligata, perché per i giapponesi Roma è la destinazione turistica più interessante, mentre a Milano c’è una bella comunità di alcune decine di migliaia di sudditi dell’Impero e, secondo la Camera di commercio italo-giapponese (che non a caso è a Milano) circa 200 aziende nipponiche. Da più di dieci anni l’Italia è sguarnita, anche se rimane un avamposto con quattro impegnatissime persone. Tuttavia, ben tredici città italiane hanno collegamenti diretti di avvicinamento con Lufthansa per Monaco di Baviera o Francoforte, da cui possono volare direttamente su Tokyo Haneda o Narita. Da Roma e Milano (sia Linate che Fiumicino), ma anche Firenze, Bologna, Venezia, Napoli, Torino, è possibile fare check-in diretto per Tokyo e partire. La principale concorrenza è quella di Alitalia e quella – da poco cessata – dell’altra grande compagnia aerea nipponica, cioè JAL.

I passeggeri italiani verso il Giappone sono, secondo ANA, per l’80% business e il 20% turisti. Per andare in Giappone seguono una rotta transiberiana che richiede 10 ore e mezzo all’andata e poco più di 11 al ritorno. Da questa primavera potranno però avere a disposizione il WiFi a bordo (a pagamento) e comunque tre livelli di allestimento, tra cui la prestigiosa First Square, che vanta alti pannelli di legno studiati per isolare e assicurare privacy e comfort assoluti ai pochi affluenti passeggeri.

Voi potete dire quello che vi pare tanto il blog è mio e le immagini le scelgo io. Ma il triple-seven, cioè il Boeing 777 è il più bello di tutti. E ci sono delle livree spettacolari che girano in rete, basta farsi un giro sui siti degli smanettoni appassionati d'aerei.

Nel tempo ANA ha realizzato numerose livree “speciali” e alquanto gustose in alcuni casi. Ci sono i tre aerei (due 747 e un 777) con la livrea Pokémon, i cinque aerei Star Alliance (tre 777, un 767 e un 737), poi un 767 con livrea “Panda”, due 737 “Gold Jet”, due 737 “Business Jet”, tre De havilland Canada DHC.8-300 vestiti come “Himawari”, “Suzuran” e Hamanasu”. E infine il mio personale preferito: un 777-300 vestito da Gundam (sì, il robot, proprio quello di Peter Rei/Amuro Ray) e infine un 767 con livrea speciale per i sessant’anni di ANA, che ha una di quelle retro-livree a tema Mohicani.

Su questo vecchio 727, il vero "mulo" di ANA si vede chiaramente il vecchio logo con l'elicottero di Leonardo da Vinci. Un omaggio dell'amore nipponico per l'Italia e il suo genio che è poco conosciuto dalle nostre parti.

Al di là delle livree, l’obiettivo strategico di ANA è di diventare la prima compagnia aerea in Asia e una delle principali al mondo. Con il motto “Inspiration of Japan”, si definisce una compagnia innovativa, originale e giapponese. È però scomparsa nel 1983 la vite aerea di Leonardo da Vinci, purtroppo, sostituita dal logo “Triton Blue”. Un pezzettino di genio italiano che ha ispirato quei pionieri nipponici e che oggi non è più visibile.

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio