La chiusura di Raggi su Roma

Ha parlato di tante cose Virginia Raggi nella lunga intervista che ha concesso a Repubblica, di tante cose tranne una: Roma. Ha denunciato il complotto dei frigoriferi che qualcuno lascerebbe in giro vicino ai cassonetti per sabotare la sua giunta e denunciato i fallimenti di chi l’ha preceduta su trasporti e pulizia, promettendo di risolvere. Ma mai, neanche quando ha rivendicato la scelta di spegnere la candidatura olimpica, si scorge la presenza della città. È un’intervista che potrebbe riferirsi a qualunque altro agglomerato urbano del mondo, abitato non dai romani, ma da cittadini indistinti. Eppure il carattere di Roma e dei romani non è una variabile indifferente. Ieri nella pagina Facebook della sindaca c’erano centinaia di commenti esilaranti alla proposta della funivia nella città, che nasce, cito testualmente, «come strumento privilegiato per una visione strategica di ricomposizione delle relazioni fra tutte le parti urbane». I romani sono così, anche senza citare Pasquino, non si lasciano sfuggire una fesseria su cui ridere, per tramutare la rabbia e lo sconcerto in gioia di vivere.

Roma e i romani non sono uno sfondo fungibile, non si tratta solo del fatto che Roma è la capitale d’Italia e forse l’unica città metropolitana di scala internazionale del Paese (Milano ha una grande area urbana, ma la città è a misura d’uomo). Qualsiasi decisione, anche gestionale, non può prescindere dall’idea di futuro che si ha di Roma e del suo ruolo nel mondo, che continua da troppo tempo a essere confinato in quello di una portatrice stanca di inestimabili testimonianze del passato che è tuttavia incapace di innescare circoli virtuosi di economia e conoscenza dalle masse crescenti di persone che attrae.

Per questo secondo me bisogna resistere (almeno un po’, del tutto è in effetti difficile) alla tentazione di accettare la sfida di ilarità posta dalla intervista di ieri e dalle ormai molte uscite intemerate della giunta grillina di Roma. Infatti, il complottismo ossessivo e l’incompetenza conclamata sono delle potenti cortine fumogene amplificate e non dissolte dalle risate di contorno. Dietro quella cortina fumogena, a Roma come a Torino, ma anche negli altri luoghi dove l’opzione populista ha preso – speriamo temporaneamente – il sopravvento, si cela una tipica e antica reazione ai periodi di incertezza e cambiamento: la chiusura.

Chiusura alle sfide complesse e alle competenze, chiusura negli angoli della tradizione dei camion bar, chiusura al confronto con la stampa e i cittadini, rifugio necessario in tutti i confortevoli spazi dove si incontrano i piccoli poteri di un tempo, quel tempo in cui si mangiavano le verdure dell’orto e tutto andava bene. Peccato che quei tempi positivi sono solo immaginari, e servono a non pensare alla Roma che potrebbe essere e che in gran parte già è.
Le classi politiche di Roma hanno certamente fallito, con dei limiti molto superiori al disastro gestionale apparente delle municipalizzate. Il loro limite fondamentale è stato quello di non essere in grado di rappresentare e integrarsi con le forze dinamiche di Roma, che esistono eccome, basta guardare ai numeri. Ma deve essere chiaro che l’opzione che ha chiarito la sindaca nella sua intervista dei frigoriferi è quella della chiusura in una visione ragionieristica e incompetente del governo della capitale d’Italia, e nella assenza di ogni ambizione alta e aperta. Ma Roma è ambizione alta e aperta.

(Pubblicato su l’Unità di oggi con il titolo Arrivederci Roma)

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_