La sera in cui è stato ucciso un ragazzo a Torpignattara

A fine settembre avevano manifestato, a Torpignattara. Avevano scritto su un lenzuolo “Contro tutto e tutti. Con te, Daniel”. Dicevano che era stata solo legittima difesa. Daniel è il diciassettenne che il 18 settembre aveva colpito un ragazzo pakistano di 28 anni, Muhammad Shahzad Khan. Disse che l’aveva colpito con un solo pugno. E lo aveva fatto, raccontò, perché Khan, ubriaco, gli aveva sputato in faccia. Un solo pugno, Khan era morto. E tanti amici erano pronti a testimoniare.

È passato un mese ed è venuto fuori che la storia è diversa, molto diversa. Che non è stato un pugno ma sono stati pugni e calci alla testa. Che il ragazzo pakistano non ha probabilmente sputato in faccia a nessuno. Che è stata un’aggressione a freddo, violentissima. E che dal balcone il papà del diciassettenne urlava: “Prendilo. Gonfialo. Ammazzalo”. Si era innervosito l’uomo al balcone perché il ragazzo pakistano passava sotto casa borbottando. Dava fastidio, insomma. Forse era davvero un po’ ubriaco. Comunque sia l’uomo al balcone prima l’ha insultato, poi gli ha tirato addosso due bottiglie. Quindi ha urlato al figlio minorenne che passava in bicicletta “Ammazzalo”. E il figlio l’ha fatto: l’ha ammazzato.

Poi è successo anche altro. È successo che l’uomo è sceso in strada e ha iniziato a minacciare i presenti (pare che abbia inseguito due ragazzi fino a casa sfondando il portone a calci), istruendo sulla versione da dare.
Il giorno dopo più o meno tutti i giornali riportavano la tesi del singolo pugno, del pakistano ubriaco che aveva sputato. I carabinieri non ci avevano creduto, hanno indagato, hanno sentito e risentito i testimoni. Ora è in carcere anche il papà del diciassettenne: l’accusa è concorso in omicidio volontario.

Ieri la notizia dell’arresto girava molto sui social network, i commenti si sono sprecati. Ce n’erano molti che, più o meno testualmente, dicevano: “Ogni giorno gli stranieri ammazzano italiani. Per una volta che succede il contrario…».
Forse lo pensano anche alcuni che quella sera hanno visto tutto. E c’è da chiedersi se anche qualcuno tra quelli che hanno manifestato solidarietà al diciassettenne sapeva che cosa era realmente successo. La speranza è che non sapessero. Che non sapessero delle urla del padre, degli “Ammazzalo”, dei calci e pugni in testa. È una speranza, con tanti dubbi.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.