Sul mobbing mediatico

Che bello, hanno tutti ragione.
Ha ragione Valerio Onida quando dice che lo scherzo telefonico che gli hanno fatto quelli della Zanzara, fingendo di essere Margherita Hack, è contro la legge perché i due hanno reso pubblica una conversazione privata.
Ha ragione chi osserva che per rendere pubblico uno scherzo, telefonico o meno, di norma serve una liberatoria firmata.
Hanno ragione i due colleghi insetti, Cruciani e Parenzo, secondo i quali la pubblicazione della conversazione privata tuttavia si ossequiava a una rilevanza pubblica, cioè alla notizia che uno dei «saggi» giudicava inutili proprio i saggi.

Però ha ragione anche Michele Serra, che su Repubblica (su Repubblica, sì) ha scritto che l’uso estorto di immagini e parole ormai viene riconosciuto come accettabile da un’informazione che sconfina nello spettacolo; Serra ritiene che Onida, per esempio, non dovesse scuse a nessuno perché ha soltanto espresso delle private opinioni e di questo non si può essere colpevoli: e ha ragione.
Aggiungo che in questo andazzo, come dire, à la guerre comme à la guerre: chi non vuole un tapiro – opinione di chi scrive – farà bene a ritirarlo in testa a chi voglia imporglielo, mentre personalmente aspetterei sotto casa un collega che mi carpisse un fuori onda, e a certi molestatori da talkshow farei volentieri assaggiare la tomaia delle scarpe.

Quindi, in teoria, ha ragione anche Gad Lerner, che sul suo blog è ripartito da Adamo e Eva e ha attribuito la nascita dell’infotainment (informazione mista a intrattenimento) non a una fisiologia d’importazione, bensì a Bruno Vespa, colpevole d’aver affiancato Valeria Marini a Gianfranco Fini sin dal 1996; diciassette anni dopo, invece, Lerner individua Beppe Grillo come catalizzatore di «cercatori di audience con patina d’anticonformismo creativo come i conduttori della Zanzara», definizione oggettiva quanto carica di snobistico sprezzo; dopodiché, sempre sul blog, Lerner giunge a mischiare Vespa, Grillo, Zanzara e Gabibbo in un unico percorso di «abruttimento dell’umano e ridicolizzazione dell’impegno». L’umano impegno, presumibilmente, è quello di Gad Lerner, che l’audience in effetti non l’ha mai cercata e neppure casualmente trovata. Nota: tutto questo accade solo perché Valerio Onida è amico suo.

Più che di infotainment, però, Serra e Lerner dovrebbero occuparsi di double standards: il loro, o perlomeno quello del quotidiano che ospita i loro corsivi. Perché stiamo parlando di Repubblica, l’organo ufficiale della pubblicazione di ogni fotografia, filmato, colloquio, telefonata, fuori onda, qualsiasi cosa che riguardi il nemico politico o perlomeno chi a Repubblica stia fieramente sulle balle. Lecito, illecito, penalmente irrilevante, vero, falso, depositato o meno: Repubblica in questi anni ha pubblicato ogni cosa e ne ha fatto una religione, la stessa contro la quale – accoratamente – Michele Serra ora mostra un’antipatia peraltro condivisibile.

Ma è un dibattito già fatto, a pensarci: precisamente nell’estate 2009, quando il gruppo Repubblica pubblicò le registrazioni privatissime (anche queste «carpite con l’inganno») che Patrizia D’Addario aveva fatto nella camera da letto di Berlusconi; si parlava di dolori rettali, preservativi e altri affari di Stato. E ci hanno fatto scioperi e manifestazioni – sul tema, non sui dolori – e hanno gridato al golpe nell’ipotesi di una legge che regolasse meglio la privacy: la quale, pure, risulterebbe già regolata. Repubblica del resto ha diffuso ampiamente anche la presunta intercettazione (presunta perché non è neppure mai stata depositata agli atti) in cui Angela Merkel fu definita «culona» e altri dettagli irrinunciabili.

Ecco perché – mancava – forse ha «storicamente» ragione anche Marco Pannella, che il giorno dopo lo scherzetto a Onida ha semidistrutto lo studio della Zanzara buttando all’aria tutto – microfoni, computer, Parenzo e altri oggetti – perché è pazzo, va bene, ma anche perché vede lungo. Non puoi pretendere di invitare in trasmissione Giacinto Pannella detto Marco (classe 1930) e poi imbrigliarlo come vuoi tu, dicendogli pure che «non ce ne frega un cazzo» dei suoi appelli; Pannella faceva appelli quando Cruciani e Parenzo erano due embrioni, e da lui devi sempre aspettarti l’inaspettabile perché è sempre in anticipo di dieci anni: anche ‘stavolta, probabilmente, ha già disegnato e combattuto un fantasma prossimo venturo, il mobbing mediatico.
Ma naturalmente certo, hanno ragione anche loro, Cruciani e Parenzo: chiedono che gli ospiti non sfascino tutto e che non li mandino al pronto soccorso, cortesemente: dove peraltro – reparto neuro – da tempo è giusto che vadano.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera