Stipendi e spese del parlamentare Ivan Scalfarotto

Terza puntata del mio rendiconto economico. In fondo a questo post trovate due allegati: un foglio excel con le entrate e le uscite dal primo ottobre al 31 dicembre 2013 e un secondo foglio excel che indica la media del mio guadagno netto mensile per trimestre e per tutto il periodo dall’elezione al Parlamento (15 marzo) alla fine dell’anno 2013.

Raccomando sempre a tutti i lettori che dovessero incappare per la prima volta in questo post, di voler rileggere con molta attenzione le avvertenze metodologiche che ho pubblicato nel primo resoconto, in particolare per ciò che riguarda l’insindacabilità del merito delle mie spese: (“…la condivisione di questi numeri non ha in nessun modo lo scopo di discutere il modo in cui spendo i miei emolumenti di parlamentare, ma solo di illustrare quanto del mio stipendio è destinato all’attività politica e quanto all’uso personale, familiare e – ma non è il caso – all’accumulazione o al risparmio”.)

Può tornare utile anche dare una guardata al secondo resoconto (quello dei mesi estivi).

Quanto a questo trimestre, le novità è data da una nuova voce fissa di spesa. Il Partito democratico della Puglia mi ha richiesto il pagamento degli 11.700 euro che ancora dovevo sui 30.000 che erano stati richiesti a ogni candidato per la campagna elettorale (vedi primo resoconto). Abbiamo dunque concordato un pagamento mensile di 250 euro per tutta la legislatura.

Inoltre a oggi, dopo nove mesi e mezzo, ho qualche dato su quanto di fatto guadagno mensilmente come parlamentare: la media mensile di quanto metto in tasca al netto di tutte le spese per il mandato – e cioè ciò che mi rimane per le spese personali, per il mantenimento della famiglia ed eventualmente per accumulare un minimo di risparmio – è di 3.376 euro nette al mese per dodici mensilità all’anno. Questo corrisponde a un netto anno di circa 40.500 euro, che corrisponde a uno stipendio lordo di circa 67 mila euro annui. Per capirci, siamo sul livello di un quadro direttivo (quelli che un tempo si chiamavano funzionari) di banca.

E’ evidente che ogni caso fa storia a sé e non è rappresentativo della generalità delle situazioni. Io sono un parlamentare semplice, il che comporta per esempio che io paghi i miei collaboratori di tasca mia. Avendo incarichi direttivi (in parlamento, al gruppo parlamentare o al governo) che prevedono la possibilità di avere uno staff, il costo del personale non resta più sul parlamentare ma si trasferisce sulla struttura. Poi io sono a Roma in trasferta, e quindi mi tocca mantenermi fuori di casa. Però non guadagno di più dei colleghi che vivono a Roma e che a Roma hanno già la propria casa e la propria famiglia. Fossi romano, i soldi che spendo per vivere nella capitale farebbero parte del mio netto mensile e non delle spese che sostengo per il mandato.

E’ per questo che è molto difficile valutare quanto effettivamente i politici costino. Per esempio, si sa che i sindaci guadagnano relativamente poco, anzi pochissimo se messi a confronto con i consiglieri regionali o i parlamentari. Però è ovvio che gli uffici comunali sono a disposizione del sindaco e sono, giustamente, a carico del comune. Per esempio, il Sindaco ha l’ufficio stampa del Comune e un portavoce, invece il parlamentare semplice che vuole un addetto stampa o se lo paga, o non ce l’ha. Il fatto è che poi, se non ce l’ha, è molto più difficile che sia capace di comunicare ai propri elettori quello che sta facendo.

Quello che io trovo sbagliato, e lo dico sulla base di un’esperienza ventennale di lavoro negli uffici del personale, è che noi parlamentari riceviamo molti soldi a fine mese, ma ci troviamo nel paradosso che meno spendiamo per la nostra attività, più guadagnamo. Chi più lavora più spende, e chi più spende meno soldi porta a casa. Così l’incentivo non è a lavorare di più, ma a lavorare di meno.

Come ho già detto altre volte, la soluzione sarebbe secondo me molto semplice: si stabilisca innanzi tutto quanto guadagna un parlamentare. Una cifra fissa, quella che costituisce il compenso che gli si paga per il suo lavoro. Uno stipendio, come succede per ogni altro lavoro.

Poi gli si forniscano quei servizi che si ritengono necessari per eseguire il proprio lavoro, come succede per qualsiasi altro impiego: quando facevo il dirigente di banca ho sempre avuto una segretaria, me si trattava una dipendente dell’azienda, non una persona che dovevo io personalmente assumere, come succede ora per il mio collaboratore parlamentare. Inoltre si prevedano rimborsi spese per le spese vive, da documentare e rimborsare a piè di lista: vitto e alloggio per le missioni, telefono, trasporti. E’ quello che succede in qualsiasi luogo di lavoro, si può sicuramente fare anche alla Camera e al Senato.

Bisognerebbe insomma distinguere con nettezza ciò che si riceve a titolo di compenso per il lavoro svolto da ciò che si riceve per la copertura di spese sostenute per lo svolgimento del mandato. Così facendo le Camere spenderebbero di meno, e tutti – noi parlamentari e i cittadini – avremmo maggiore chiarezza di quanto costi e di quanto debba valere il lavoro di un deputato o di un senatore.

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Ivan Scalfarotto

Deputato di Italia Viva e sottosegretario agli Esteri. È stato sottosegretario alle riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento e successivamente al commercio internazionale. Ha fondato Parks, associazione tra imprese per il Diversity Management.