Saltare lo squalo

«Qual è stato il momento preciso in cui avete capito che la vostra serie preferita stava iniziando la sua discesa?» La domanda colse tutti di sorpresa.  Era una sera come tante altre del 1987. Jon Hein e i suoi compagni di stanza dell’Università del Michigan stavano bevendo birra davanti all’ennesima maratona di sit-com in programma su “Nick at Nite”. Uno di loro, dopo averci pensato, rispose: «Quando Vicki, la figlia del capitano, salì a bordo di Love Boat». Secondo un altro: «Quando il Grande Gazoo comparve nei Flintstones». Finché Sean Connolly disse: «È facile: fu quando Fonzie saltò lo squalo». Un silenzio si impossessò della stanza. Non c’era bisogno di dire altro. La frase aveva già detto tutto.
Nacque così un’espressione (definita dallo stesso Hein come «quel momento definitivo in cui capisci che da ora in avanti non sarà più la stessa cosa») che sarebbe rapidamente entrata nella cultura pop. «Ma se fossi stato in camera – rivelò al Los Angeles Times lo sceneggiatore Fred Fox Jr. ventitré anni dopo – avrei dovuto rompere quel silenzio compiaciuto. Perché quell’episodio infame di Happy Days l’ho scritto io».

Happy Days è stata una delle più famose situation comedy televisive statunitensi. Andò in onda dal 15 gennaio 1974 al 24 settembre 1984 sul network ABC. La serie, creata da Garry Marshall, raccontava le vicende quotidiane della famiglia Cunningham a Milwaukee a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, presentando una visione idealizzata della vita negli USA di quel periodo storico. In Italia arrivò l’8 dicembre 1977, esattamente quarant’anni fa, ottenendo immediatamente un successo straordinario. La generazione di chi è nato all’inizio degli anni Settanta andava a letto dopo Happy Days (e non dopo Carosello, che chiuse il 1 gennaio 1977), trasmesso su Rete Uno alle 19.20 (all’epoca la vita era più sana, un bambino arrivava raramente al telegiornale).

Il padre dell’autore dell’episodio incriminato, Fred Fox Sr., che all’epoca aveva sessantadue anni, era stato un pezzo da novanta nell’entertainment: aveva scritto episodi per Love Boat, I Jefferson, Il mio amico Arnold, Alice, Tre nipoti e un maggiordomo e Strega per amore, oltre ad aver curato gli show televisivi di Doris Day, Jimmy Stewart e Bob Hope. Fred jr., invece, aveva appena compiuto trent’anni, aveva iniziato la sua carriera televisiva da pochi mesi e, schiacciato dal vantaggio bifronte dei figli d’arte, doveva ancora dimostrare il suo talento. Aveva scritto solo un episodio di Laverne e Shirley, uno degli spin off di Happy Days e con la quarta stagione stava iniziando finalmente a collaborare per la serie maggiore. Aveva lavorato al teleplay dell’episodio “A Shot in the Dark” e l’unica puntata nella quale era stato scritturato come sceneggiatore era stata “Spunky Come Home” (entrambe del 1977).
La stagione precedente (1976-1977) aveva decretato la serie come “la più popolare della televisione” ed era iniziata con una storia in tre parti (quella in cui Fonzie, il motociclista latin lover coprotagonista della serie, ritrova il suo primo amore Pinky Tuscadero). Forti dell’incredibile successo, ABC e Paramount decisero di aprire la successiva stagione con una nuova storia in tre parti. “Se funziona perché cambiare?”, è una regola aurea hollywoodiana. I produttori della serie si riunirono nella sala conferenze dei Paramount Studios. Era la primavera del 1977 e non sapevano che in quella sala si stava creando un piccolo pezzo di storia. Dopo aver discusso diversi scenari, si decise di portare la banda di Happy Days a Hollywood.
La storia sarebbe partita da un evento casuale avvenuto a Milwaukee (a causa della rottura della loro limousine, due talent scout di Hollywood entrano nell’officina di Fonzie e riconoscendo in lui il nuovo James Dean lo invitano a un’audizione), sarebbe proseguita con il trasferimento in massa a Hollywood (grazie a Fonzie che estende l’invito a Potsie, Ralph e all’intera famiglia Cunningham), una delle linee principali della trama avrebbe riguardato un momento di grande tensione (lo scontro tra Fonzie e l’eroe locale “California Kid”, culminato in una sfida nell’oceano sugli sci d’acqua) e come tiebreaker sarebbe stata scelta una scena di forte suspense (il salto di uno squalo).

Fred Jr. ha una memoria prodigiosa. Se osserva un qualunque episodio di Happy Days al quale ha lavorato è in grado di riconoscere l’autore di ciascuna battuta. Ma, incredibilmente, non ricorda chi ebbe l’idea dello squalo. Brian Levant, allora giovane talento dello staff di scrittura, è quasi certo che a dare il suggerimento siano stati lo stesso Garry Marshall (in realtà Masciarelli, suo padre era figlio di immigrati italiani abruzzesi), co-creatore e produttore esecutivo dello spettacolo, insieme a Bob Brunner, lo showrunner dell’epoca, il responsabile di tutti gli aspetti creativi della serie (nonché futuro creatore di Brothers and Sisters). Marshall e Brunner erano un’unica persona, si conoscevano dal 1959 quando entrambi lavoravano come fattorini al “New York Daily News”. Insieme avrebbero fatto molte altre cose (tra le quali il film Paura d’amare, nel 1991, dove Brunner ha anche una piccola parte). Ma quello che Fox ricorda di sicuro è che non vi furono proteste di alcun tipo: “Nessuno di noi disse: Fonzie che salta uno squalo? Sei fuori di testa?”.

Dopo che furono definite le storie dei tre episodi di apertura, arrivò il momento di vedere chi le avrebbe scritte.  Brunner, che tra le altre cose aveva inventato il nomignolo “Fonzie” insieme a molti dei suoi tormentoni, affidò a Fox jr. il terzo episodio, quello conclusivo. Non ci furono obiezioni da parte del cast, dello studio o della rete. “Hollywood 3”, come fu intitolato (in Italia uscì con il titolo “Fonzie, un nuovo James Dean?” parte 3), venne trasmesso il 20 settembre 1977 e fu un successo enorme, il terzo programma più visto della settimana con un pubblico di oltre trenta milioni di spettatori.

Quella visione di Fonzie che, indossando un costume da bagno e l’immancabile giacca di pelle, per dimostrare il suo coraggio salta sopra uno squalo bianco con gli scii nautici in seguito sarebbe quindi divenuta il simbolo dell’inizio del declino di Happy Days. La serie nelle prime stagioni aveva sempre rappresentato personaggi e spaccati di vita nei quali il pubblico potesse identificarsi in un’ottica di nostalgia degli anni 1950 e una tale svolta fu ritenuta troppo drastica.

Non era la prima volta che il personaggio si misurava con una impresa estrema. Nella prima serie, ad esempio, aveva accettato di partecipare a una sfida notturna in auto (omaggiando palesemente Gioventù bruciata, non per nulla nell’armadio Fonzie ha la foto di James Dean) e nella terza aveva stabilito il record saltando (anche in quel caso) quattordici bidoni con la sua motocicletta.  Ma la prima era avvenuta lunga la strada dell’aeroporto e la seconda nel parcheggio di Arnold’s. Erano situazioni limite, ma comprensibili, talvolta persino riconducibili a tipologie di episodi giovanili vissute dagli stessi spettatori. Quel salto dello squalo a Hollywood era invece troppo lontano dalla familiarità provinciale che emanava il contesto classico della serie.

Malgrado ciò Happy Days continuò a essere trasmessa per altre sei stagioni, sebbene con numerosi rimaneggiamenti nella storia portante e nel cast. Uno di questi avvenne proprio nel corso del triplice episodio culminato nel salto dello squalo, quando venne introdotto l’attore Scott Baio nella parte di Chachi Arcola (cugino di Fonzie, futuro fidanzato e più tardi marito di Joanie, nonché, insieme a lei futuro protagonista di uno spin off della serie). Una presenza che racchiude molti elementi (nuovo personaggio, storia d’amore, spin-off) che possono rivelare gli indizi di un SdS.

Fu un decennio dopo la messa in onda di quella puntata che Hein si ritrovò ad Ann Arbor con i suoi compagni di stanza. La folgorante risposta di Connoly gli ispirò jumptheshark.com, il sito che invita i visitatori a suggerire il momento in cui il loro programma preferito ha iniziato il suo declino. Incredibilmente le tre parole jump-the-shark entrarono in poco tempo nel linguaggio comune e iniziarono a essere utilizzate in televisione, sui giornali e nei blog. L’espressione trovò persino un posto di rilievo nell’Oxford English Dictionary. La voce più votata recita:
“Un termine per descrivere un momento in cui qualcosa che una volta era grande ha raggiunto un punto dopo il quale perderà qualità e popolarità. L’origine di questa frase proviene da un episodio di Happy Days in cui Fonzie ha saltato uno squalo con gli sci nautici. Così venne etichettato il punto più basso della serie”.
In realtà la definizione è errata e contraddittoria (non è “il punto più basso della serie”, ma il punto immediatamente più basso rispetto a quello più alto, quando la serie dopo aver raggiunto il suo picco, ha iniziato la sua discesa, in pratica l’inizio della fine), ma essendo la più votata (“top definition”) la dice lunga sull’inesorabile onda dell’opinione popolare. Più esatta quella al secondo posto che fa riferimento al “momento in cui ci si accorge che è iniziato il decadimento”.
Insomma è quell’istante nel quale traspare visibilmente che una serie ha esaurito le idee e deve ricorrere a manierismi (è accaduto così anche dopo il Rinascimento).

Dal momento in cui è stata coniata l’espressione di aver saltato lo squalo sono state accusate le principali serie televisive, comprese quelle degli ultimi anni, soprattutto per i finali di stagione: How I Met Your Mother (per il finale della settima stagione nel quale si scopre che sarà Robin la misteriosa futura sposa di Barney); Friends (per il finale della quarta stagione, quando sull’altare Ross pronuncia il nome di Rachel anziché di Emily); Dexter (perché al termine della quarta stagione viene ucciso il serial killer Trinity personaggio amatissimo); The Walking Dead (per la falsa morte di Glenn, nella sesta stagione, che irritò gli spettatori); Grey’s Anatomy (con l’episodio musicale della settima stagione); Dr. House (quando House si opera da solo alla gamba nella settima stagione); The O.C. (con la morte di Marissa e la sua uscita di scena); Downton Abbey (con la morte di Matthew Crawley nella terza stagione); The Office (con il matrimonio tra Jim e Pam nella sesta stagione) e molte altre (qui una divertente Top 10 di Watch Mojo).
Forse lo scettro per il peggior salto di sempre spetta al finale della nona stagione di Dallas, la serie nota per i suoi palpitanti cliffhanger nei finali di stagione. La morte di Bobby Ewing (nel finale della ottava) fece calare gli ascolti e la CBS pensò di farlo tornare in vita con l’unico, inverosimile, stratagemma possibile: il sogno. Il ritorno del personaggio nel finale della stagione successiva innescò però una catena di problemi che non vennero mai del tutto risolti. Gli eventi accaduti in tutta l’ottava stagione (l’adozione di un bambino da parte di Ray e Donna; la morte di Jamie, Sue Ellen e Katherine; il nuovo partner di Pamela, Mark Graison, etc.) non essendo quindi mai accaduti (cosa che fece sentire gli spettatori letteralmente presi in giro), provocarono incongruenze mai del tutto risolte. Questo deus ex machina determinò anche errori di continuità con lo spin-off California (motivo per il quale dal 1986 in poi le due serie saranno costrette a vivere in due universi paralleli). Così anziché salvarsi la serie affondò.

Ad ogni modo, sebbene la classificazione sia meramente soggettiva, esistono molti indizi per riconoscere l’inizio della decadenza di una serie. Lo sviluppo vacillante della trama (la storia diventa inverosimile provocando la rottura della sospensione d’incredulità, oppure l’equilibrio si sposta sopra o sotto le righe, aprendosi al giallo o alla commedia); le modifiche cruciali nel cast (l’abbandono dalla serie di un personaggio popolare: quello, ad esempio, di Sabrina Duncan, interpretata da Kate Jackson, in Charlie’s Angels, dopo la terza serie); uno sviluppo incoerente delle tensioni tra i personaggi (la coppia ufficiale risolve le sue tensioni troppo presto, cosa che accade nella terza serie di New Girl); un cambiamento troppo radicale da parte di uno dei protagonisti (come avvenuto di recente con i personaggi di Roberto Ferri e Michele Saviani in Un posto al sole, anche se c’è da dire che spesso le soap opera fanno del salto dello squalo la loro quotidianità); eventi determinanti accaduti dietro le quinte che condizionano la serie (l’attore che interpreta uno dei protagonisti viene coinvolto in uno scandalo, cosa accaduta a Due uomini e mezzo dove la produzione però è riuscita abilmente ad approfittare dell’affaire Charlie Sheen per rimpiazzarlo con Ashton Kutcher) o altri espedienti degli autori: ricorrere troppo spesso a celebrità, realizzare episodi anomali nei quali l’intera puntata è il sogno di qualcuno o è recitata da personaggi che interpretano altre parti. In quest’ultima tipologia rientrano anche le versioni musicali, con risvolti differenti (discutibili per quella di Grey’s Anatomy, riusciti per quelle di House e Buffy, eccezionali per quella di Scrubs). Segnali esterni che le cose iniziano a vacillare sono anche il rilascio del film tratto dalla serie (come avvenuto in Boris) o la creazione di uno o più spin-off. All’epoca della puntata incriminata, Garry Marshall stava lavorando su parecchi spin-off della serie: nel 1976 Laverne & Shirley (due ex conquiste di Richie e Fonzie), nel 1977 Le ragazze di Blanksy (la cugina di Howard Cunningham), nel 1978 Mork & Mindy (l’alieno interpretato da Robin Williams era già apparso in una puntata della serie) e nel 1982 Jenny e Chachi (la sorella di Richie e il cugino di Fonzie).

Soprattutto nel mondo dell’entertainment il modo di dire ha ricevuto infiniti rimandi, testuali o allusivi. Viene citato in 30 Rock («Ci hai fatto saltare lo squalo! Tu sei il motivo per cui non abbiamo avuto una decima stagione!»), in Boston Legal (dopo che Alan ha accettato la sua proposta del matrimonio Denny dice: «Sarà fantastico, come saltare uno squalo!») e persino ne Le nuove avventure di Scooby-Doo («Non avrei mai pensato di vedere Scooby-Doo saltare lo squalo»). Nel Dr. House il protagonista fa volare un’auto giocattolo sopra uno squalo (in una Fan Fiction lui, Cameron, Cuddy e Wilson ragionano sulle possibilità di audience: «Non abbiamo solo saltato, ma disossato lo squalo»). Un episodio di X-Files è intitolato “Jump the Shark”. In un altro di C.S.I. l’espressione costituisce il set-up e il pay-off della puntata “Due morti e mezzo” (Brass lo menziona a Grissom che non lo conosce. Nel finale Grissom mentre tiene due pinne di squalo dice «Sembra che qualcuno abbia saltato lo squalo»). Per il Guardian i Simpson hanno saltato lo squalo nel 1997. Ma il suo creatore Matt Groening disse che lo avrebbero saltato solo quando sarebbe stato introdotto un personaggio in stile Grande Gazoo (l’alieno apparso nei Flinstones), così per evitarlo ne inventò lui stesso la parodia: Ozmodiar, l’alieno, con le stesse sembianze di Gazoo, che solo Homer può vedere. Un meta-espediente per dire che forse lo avevano saltato ma che evidenziandolo, nell’ottica della loro satira spietata che non risparmiava nessuno (nemmeno loro stessi), l’effetto sarebbe stato inverso.

Con il tempo il termine ha iniziato a essere utilizzato in una eccezione più ampia per indicare qualunque punto di non ritorno in tutti i campi (nell’Oxford Dictionary si legge: «Tom Cruise ha saltato lo squalo nel momento in cui ha saltato sul divano di Oprah»), al punto che John Goldberg nel 2007, vent’anni dopo la sua nascita e trenta dopo l’episodio che l’aveva generata, scrisse sul Boston Herald che «la frase saltato lo squalo ha saltato lo squalo». Nulla fu più lontano dalla realtà (l’etichetta in quegli anni fu attaccata a Sarah Palin, all’automobile, al riscaldamento globale e alla zuppa di pancetta): nel solo mese di agosto del 2010, dell’espressione incriminata ne venne fatto uno spaventoso utilizzo: il 6 agosto il Telegraph si chiedeva se Google avesse saltato lo squalo, l’8 agosto Associated Content si domandava se ESPN (Entertainment & Sports Programming Network), il canale all news di sport, avesse «saltato lo squalo sotto i nostri occhi»; il 9 agosto Cafemom si preoccupava che se la tensione sessuale tra Sookie e Alcide fosse degenerata in una storia, la serie True Blood avrebbe saltato lo squalo; il 18 agosto Fox News, di fronte all’invito di Nancy Pelosi a indagare sugli oppositori, sosteneva: «Il dibattito sulla moschea di Ground Zero ha saltato lo squalo»; il 20 agosto Cinemaland poneva uno spietato interrogativo retorico: «Come puoi rimediare a un film di Indiana Jones ampiamente criticato per aver saltato lo squalo con una trama assolutamente ridicola?». Il 30 agosto Football News stroncava l’operato di Les Miles, il coach della Louisiana, in maniera lapidaria: «Miles ha saltato lo squalo».  Ma, e questa è la cosa che fa più sorridere, a chiudere il mese fu proprio lo stesso John Goldberg che sul Boston Herald il 30 agosto 2010 usò l’espressione, da lui definita defunta tre anni prima, addirittura sul titolo di un suo editoriale: «Besieged Obama’s already jumped the shark».  Sempre nel 2010, il Post fu la prima testata giornalistica italiana a utilizzare l’espressione in un titolo.

Come nella migliore tradizione televisiva, anche questo modo di dire ha avuto il suo bravo spin-off. Generato proprio dal film Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, diretto da Spielberg nel 2008, a causa di una scena inverosimile nella quale Jones si chiude in un frigorifero, per salvarsi da una esplosione atomica, uscendone illeso. L’espressione “Bombardare il frigo” (“Nuke the Fridge”), riferita a scene che perdono la loro credibilità compromettendo la verosimiglianza del film, è divenuta così anch’essa virale (come da prassi statunitense, un blogger, Beth Russell, ebbe prontamente l’idea di creare il conseguente sito nukingthefridge.com, ma questa è un’altra storia) e si affiancò con meno fortuna a “Jump the Shark” (la differenza tra i due modi di dire è forse legata al fatto che NtF si riferisce più a una trovata “pigra”, un errore grave di scrittura che improvvisamente fa crollare tutto il resto del film, mentre JtS riguarda un tentativo di mantenere fresca una serie ottenendo il risultato opposto).

Il salto dello squalo è ad ogni modo un concetto che riguarda anche la percezione. E quindi il tempo. A riprova del fatto che sul momento nessuno della Paramount percepì quello che sarebbe stato teorizzato un decennio dopo, la stagione successiva di Happy Days, la sesta, aprì ancora una volta seguendo la medesima ricetta: con una puntata in tre parti in una location “altra”, questa volta in Colorado, tra i cow-boy (“Un viaggio nel West” parte 1, 2 e 3), dove l’intera banda di Milwaukee avrebbe dovuto cercare di salvare il ranch dello zio di Marion.  Anche qui Fonzie, prima, per recuperare Joanie, avrebbe rincorso una carovana con la sua moto saltando (ancora!) un precipizio, poi avrebbe dovuto vedersela con un toro assassino. Per ironia della sorte questa terza cruciale parte dell’episodio fu assegnata ancora una volta a Fox jr. (pertanto se Sean Connolly quella sera avesse detto ai suoi compagni di stanza «Quando Fonzie cavalcò il toro», sarebbe cambiata solo l’espressione – “Ride the Bull” – ma non la sua vittima).

Fox jr. si è chiesto spesso se l’infausto episodio “Hollywood 3” fosse davvero meritevole del suo destino. “No, non lo era. Tutti gli spettacoli di successo iniziano a declinare, ma non era quello il suo momento”. In effetti da quel novantunesimo episodio la serie andò avanti per altre sei stagioni (cinque delle quali si classificarono tra i Top 25), arrivando alla puntata duecentoventicinque. Quando Fox jr. aveva sentito per la prima volta l’espressione era, infatti, rimasto incredulo: “Ho iniziato a pensare alle migliaia di spettacoli che erano andati in onda fin da quando la televisione era iniziata. E di tutti questi l’episodio di Happy Days nel quale Fonzie salta su uno squalo era quello da individuare? Questo non aveva senso”. Sì non aveva senso, ma i modi di dire hanno regole occasionali, talvolta impietose, che sfuggono alla logica e impressionano il tempo. Quella espressione era stata imposta, milioni di persone l’avevano deglutita e ormai non ci sarebbe più stato ritorno.
Per sua fortuna, però, lo sceneggiatore si accorse che in tutte le discussioni che avevano per tema un salto dello squalo il suo nome non veniva mai associato ad esso. In fondo le uniche persone che conoscevano l’autore dell’episodio erano i suoi colleghi, i suoi amici e i suoi familiari. Purtroppo, però, anche lui che lo sapeva. E non poteva nasconderselo. Così per un lungo periodo provò imbarazzo. “Ora – ammette – è passato così tanto tempo che la frase è diventata parte del lessico americano. E molti ormai non sono nemmeno consapevoli della sua origine”. Ma, incomprensibilmente, Fox jr. sente ancora il morso di quello squalo.

Riferendosi a quella espressione, Henry Winkler, l’interprete di Fonzie (suoi commenti sul fatidico salto si posso vedere qui e qui), ha più volte detto che rappresentava un paradosso, confermando che la serie fosse all’apice del suo successo. E che se aveva continuato a rimanere la numero uno anche negli anni successivi era proprio il segno che non era stata affatto colpita dallo squalo”. «Fonzie – conferma oggi Jeff MacGregor di Smithsonian – è entrato nella leggenda e nel linguaggio proprio quando ha saltato lo squalo nel settembre del 1977». Lo ribadisce più pragmaticamente Alan Stokes del Sidney Morning Herald: “L’episodio – riassumiamo – è stato visto da più di 30 milioni di spettatori nei soli Stati Uniti, Henry Winkler ha continuato a fare film, ha scritto molti libri ed è stato insignito del titolo di ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico per i suoi servizi, il suo amico Ron Howard (qui dice la sua sul salto) è diventato regista vincendo l’Oscar nel 2001 per A Beautiful Mind, Marshall ha diretto Pretty Woman, nominato per il Golden Globe come miglior commedia nel 1990. Ricordatevi: se continuate a dire che qualcosa ha saltato lo squalo, siete voi che state saltando lo squalo”.

Fortunatamente anche la carriera di Fox jr. non saltò lo squalo. Terminato Happy Days, lavorò ancora come sceneggiatore televisivo (negli anni Novanta ha curato l’intera serie di Otto sotto un tetto) fino a quando è diventato produttore. Nel 1987, insieme a Brian Levant, il promettente sceneggiatore ai tempi della puntata hollywoodiana di Happy Days (sì l’industria dell’enterteinment è fatta di sodalizi longevi) ha creato la serie Il mio amico Ultraman, ottenendo nel 1988 una candidatura ai Gemini Awards per la miglior serie drammatica. Sempre insieme a Levant, ha scritto per il cinema I Flinstones (sì, il cartone a rischio JtS a causa del personaggio del Grande Gazoo). Con questo film (diretto dallo stesso Levant) i due hanno vinto nel 1995 il Razzie Award per la peggior sceneggiatura dell’anno. L’unico premio ricevuto da Fox jr. nella sua carriera.

Poco prima della sua morte Hollywood Reporter chiese a Marshall se avesse dei rimpianti per avere inavvertitamente consegnato all’industria la fatidica espressione. «Ora fa parte del gergo – rispose il produttore – ma, per essere onesti, non era la nostra puntata migliore. Quell’uomo però aveva saltato i bidoni dei rifiuti sulla sua moto. Doveva saltare qualcos’altro. Fu un’idea folle, anche se tutti dicevano che era buona. Ma credo che sia una buona frase. È un codice. E la gente l’ha capito al volo».

C’è però ancora una cosa da sapere su questa storia. L’idea che si nasconde dietro quella triplice fatidica puntata non è scintillata in quella sala riunioni della Paramount. È partita prima, da una conversazione tra un padre e un figlio.
Per Marshall il personaggio di Fonzie, che rientrava nello stereotipo dei duri delle bande giovanili degli anni Cinquanta, doveva parlare poco, ma i produttori erano contrari. Dopo aver realizzato il primo episodio, Marshall si recò alle Hawaii per lavorare a La strana coppia e lasciò il set in mano al suo fedele amico Bob Brunner. Al suo ritorno trovò Fonzie in giacca a vento, confuso in mezzo agli altri personaggi. Era stata la ABC che, ritenendolo troppo duro, aveva fatto forti pressioni su Brunner affinché modificasse il personaggio di Fonzie. Marshall infuriato chiese ai responsabili della ABC: “Chi va in moto in giacca a vento?”. La ABC allora trovò un compromesso: Fonzie avrebbe potuto indossare il giubbotto di pelle solo quando era in moto. Marshall non ci pensò due volte, accettò la proposta e Fonzie da quel momento comparve sempre con la sua inseparabile moto.
Con il tempo il suo personaggio iniziò a essere il più amato e la ABC non solo ritornò sui suoi passi ma arrivò a chiedere di dare ancora più spazio a Fonzie. Marshall fu costretto per la seconda volta a modificare le linee narrative del telefilm. Non poteva però mettere in secondo piano le vicende di quelli che nelle intenzioni iniziali erano i veri protagonisti. Così a partire dalla terza serie trasferì Fonzie nell’appartamento situato sopra il garage dei Cunningham. Il trasloco, insieme a quella sorta di adozione, lo addolcì, rendendolo ancora più familiare. E da duro Fonzie divenne un piccolo eroe, l’uomo che aiuta gli altri, risolve i problemi e vince le sfide. Magari con la sua moto. Fu proprio da queste premesse che nacque l’episodio del record del salto dei bidoni (e fu proprio dall’esaurimento delle conseguenti idee che le trovate sulle sue gesta degenerarono).
Henry Winkler, però, a dispetto del suo personaggio, era un pessimo motociclista, non capiva nulla di motori e prima della serie non era mai salito in sella ad una moto. In compenso era un ottimo sciatore d’acqua (nonché istruttore). Il padre era fiero di questo e voleva che i produttori della serie lo sapessero: «Devi dirgli che sai andare sugli sci», lo intimava spesso. «Non credo che lo farò, papà», rispondeva lui. «È importante che loro lo sappiano, diglielo ti prego!». Non accadde nulla, ma un giorno allo stadio, durante una partita dei Chicago Cubs, il padre si perse tra la folla. Marshall cercò di tranquillizzare Winkler: «Stai tranquillo, lo troveranno». Lui gli si avvicinò e, forse per l’emozione, rispose: “Garry, mio ​​padre avrebbe sempre voluto che tu sapessi che so fare sci d’acqua”. E Marshall lo accontentò.

In questo gioco di ricorrenze – quarant’anni dall’episodio “Hollywood 3”, altrettanti dalla messa in onda italiana della prima puntata della serie, trenta dalla nascita dell’espressione – quest’anno Fox jr. ha compiuto i suoi settant’anni. Come parziale rivalsa per lui, il suo carnefice fu travolto dalla sua stessa onda. Il sito Jump the Shark divenne prima novità, poi moda (il 20 giugno 2006 fu comprato da Gemstar, proprietaria di TV Guide) e successivamente si inflazionò (ridotto a mera categoria, è fermo da tre anni). Sempre sull’Oxford Dictionary si può infatti leggere: «Il sito web jumptheshark.com ha saltato lo squalo quando è stato acquistato da TV Guide». La definizione è tra le più votate e spicca costantemente nella top ten.

Non è facile per nessuno restare sulla cresta dell’onda. Prima o poi è possibile che ciascuno di noi sia costretto a vedersela con uno squalo.

Piero Trellini

Scrive per la Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 Ore e Domani. Ha lavorato per Il Messaggero, il Manifesto, Sky e altri. Collabora con Nuovi Argomenti e Art e Dossier. Scrive serie televisive. Ha pubblicato “La partita” (Mondadori), “Danteide” (Bompiani), “L’Affaire” (Bompiani) e “La partita. Le immagini di Italia-Brasile” (Mondadori).
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