Sallusti e la rivoluzione dell’informazione

La battaglia di Sallusti continua a suscitar in me forti perplessità.
Ho capito che con grande determinazione a questo punto vuole finire in galera, ma questo per la verità mi era già chiaro prima.

Il Direttore aveva mille modi per evitare non solo la detenzione in fase esecutiva, ma fin anche la condanna, giunta dopo tre gradi di giudizio, a 5 anni dai fatti. E invece con grande coerenza ha tirato dritto, negando ogni possibilità di riparazione, ogni diritto di rettifica e ogni volontario risarcimento alla parte offesa. E sì che la vicenda era proprio una brutta vicenda, che non ha nulla a che vedere con l’omesso controllo o gli inciampi del difficile mestiere di giornalista. La condanna attesta una precisa volontà dell’allora direttore di Libero di pubblicare le diffamanti falsità del radiato Farina, firmate con codardo pseudonimo, con una precisa scelta redazionale volta ad esaltare anche graficamente l’ignobile scritto anonimo. Scritto che, giusto per rammentarlo, per perseguire il legittimo fine di ribadire la barbarie dell’aborto, inventava però una storia completamente falsa, già acclarata come tale, distruggendo in un sol colpo la dignità di una minorenne, della sua famiglia, di un magistrato e quella dei medici che avevano solo fatto il loro dovere. Così almeno ricostruisce il fatto la sentenza di Cassazione. Che a sentir lui è sbagliata, ma comunque è sempre una sentenza di Cassazione che conferma un giudizio d’appello che confermava nel merito la condanna del Tribunale. E non è una condanna per omesso controllo.

Anche dopo la Cassazione, Sallusti ha rifiutato ogni misura alternativa alla detenzione. Poteva spendersi in qualche lavoro socialmente utile, ma era per lui inaccettabile. Anzi, a fronte della benevolenza, inusuale ma comunque apprezzabile, della Procura di Milano e del Magistrato di Sorveglianza che lo hanno messo, suo malgrado, ai domiciliari, è pure subito evaso, così che adesso dovranno anche processarlo per quel reato lì, per direttissima.

Il problema vero è che nonostante gli sforzi encomiabili (si fa per dire) per finire in galera, l’auto-martirio di Sallusti non sta funzionando. Anzi dimostra esattamente il contrario di ciò che vorrebbe simboleggiare. La battaglia per la libertà di stampa e per la difesa dei Direttori Responsabili minacciati dalle temibili sanzioni penali previste dallo Stato trova in Sallusti il peggior alfiere: per le sue qualità soggettive, per la brutta vicenda che l’ha originata, e perché, se in galera non finisce nonostante gli sforzi compiuti, e spero vivamente che ciò non accada, Sallusti rischia di simboleggiare il martire che non riesce a salir sul rogo. Confesso che trovo la situazione quasi imbarazzante.
E l’imbarazzo è acuito dal fatto che personalmente sono assolutamente convinto che la legge sulla stampa e sulla diffamazione, creata in era pre-digitale, debba esser totalmente ripensata.

Viviamo in società che sono definite “dell’informazione” e subiamo la rivoluzione prodotta da internet e dal web senza coglierne le dirompenti e profonde conseguenze. Luciano Floridi, sottile filosofo dell’infosfera, in un recente scritto, definisce la rivoluzione dell’informazione come la quarta rivoluzione dopo quelle copernicana, darwiniana e freudiana: tutte hanno cambiato la nostra concezione del mondo e dunque la percezione che abbiamo di noi stessi. Per Floridi noi siamo “organismi informazionali”. La nostra identità è determinata dai nostri dati, che sono l’informazione che trasmettiamo e condividiamo e che nelle nostre vite, inevitabilmente connesse in rete, sono parte fondante del nostro essere e di quella “dignità umana” sancita come inviolabile dall’art. 1 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Trattare l’informazione oggi è esercizio quotidiano alla portata di tutti: sul web ognuno di noi diventa, talvolta inconsapevolmente, fondamentale hub informativo. Difendere la libertà di espressione e di informazione, e per essa la libertà di stampa, e conciliarla con i diritti legati all’identità ed alla reputazione dei singoli richiede in questo tempo inquieto valutazioni un po’ più complesse del problema posto da Sallusti. La responsabilità dei Direttori è solo una micro-parte dell’attuale intricato sistema informativo. È necessaria, in ciò concordo con il Direttore Sallusti, una profonda revisione, che però non può apparire e diventare una banale richiesta di immunità a diffamare per alcuni protagonisti dei media tradizionali.

In Parlamento la tempesta provocata sul caso ci ha fornito, con il Ddl SalvaSallusti, una fotografia impietosa dell’insipienza del nostri legislatori, incapaci di un pensiero meditante su ciò che accade intorno a loro. I senatori son parsi cerusici agitati e incompetenti, che metton le mani sui delicatissimi equilibri del diritto nell’urgenza di diagnosi mediatiche sbagliate, alimentate da fuoco fatuo del furor di popolo o del più duraturo furor di casta.

Per quanto mi riguarda, la figura del Direttore Responsabile potrebbe pure esser abolita, e la sanzione del carcere deve certamente trovare diversa e più attenta modulazione, ma non possiamo pensare che se oggi tratti sul web dati personali veri senza consenso dell’interessato per offrire pubblicità personalizzata fai un anno e mezzo di galera come prevede il nostro codice a protezione dei dati, mentre se sui giornali tratti dati falsi per diffamare, tale fatto potrebbe al più costare 5000 euro di multa al direttore responsabile.

Carlo Blengino

Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter