Un ricordo di Giorgio Stracquadanio

Giorgio Stracquadanio è morto ieri sera, per un tumore che se l’è portato via con spietata rapidità. Avevo avuto notizia del suo male soltanto nel pomeriggio, da amici comuni. “Strac” era da molti considerato una sorta di macchietta, per la convinzione con cui aveva difeso Silvio Berlusconi ai tempi del caso Ruby. Era un inesausto amante del paradosso, e in quell’occasione diede fondo al proprio repertorio, spesso spalleggiato da Cruciani e Parenzo su Radio 24.

Un pezzo dell’opinione pubblica più attenta ai fatti politici ne trasse l’impressione che “Strac” fosse un prezzolato show man al servizio del capo. Errore. “Strac” era stato radicale, aveva lavorato con Tiziana Maiolo, sempre con lei si era candidato alle elezioni comunali di Milano del ’92, poi aveva militato nel centrodestra (a differenza di altri, a lungo senza incarichi) scorgendovi una speranza liberale. Liberale lo era sul serio, e desiderava uno Stato che interferisse il meno possibile nella vita dei cittadini: nelle loro imprese come pure nelle loro camere da letto. A me lo aveva presentato Roberta Tatafiore, una delle persone più intellettualmente libere che mi sia capitato di conoscere.

Giorgio difese Berlusconi con tutto se stesso, vedendo nell’uso politico delle intercettazioni una barbarie e nell’ossessione per le abitudini sessuali del presidente del Consiglio una forma di regresso culturale della società italiana. Ma fu anche fra i primi a criticare Giulio Tremonti e in generale la politica economica del governo del Cavaliere, fino ad aderire al gruppo misto – senza rancore ma molto deluso per l’ennesima occasione sprecata. Per alcuni mesi, tentò di dare una mano a Gabriele Albertini, per imbastire una candidatura liberale alla guida della Lombardia. Non credo desiderasse tornare in Parlamento: s’era solo messo a sognare un centro-destra diverso, rigorosamente liberal-liberista, cosa che in Italia appartiene, per l’appunto, al mondo dei sogni.

Era un parlatore a rotta di collo, e non l’ho mai sentito meno che entusiasta. Come a tutti i provocatori professionisti, ogni tanto gli capitava di arrampicarsi sugli specchi. Nelle conversazioni a tu per tu, era invece lucidissimo, capace di una lettura sempre raffinata dei fenomeni politici. Le persone si vedono nelle piccole cose. Quando veniva a trovarci in Istituto, ai seminari stava a sentire e non faceva comizi. Non c’era verso di regalargli un libro: esigeva di pagarli tutti, “perché le idee vanno sostenute”, cosa che vi assicuro è ben rara. Più di frequente, capita d’incontrare onorevoli, senatori, ma anche stimati professionisti che chiedono la copia omaggio o almeno uno sconto tipo libreria, e che si sentono per definizione invitati, a spese tue ovviamente, a qualsiasi rinfresco possano onorare con la propria presenza.

“Strac” no, perché smessi i panni del funambolo della parola, era un uomo mite, perbene, autoironico, generoso. Ciao Giorgio, mi mancherai.

Alberto Mingardi

Alberto Mingardi (1981) è stato fra i fondatori ed è attualmente direttore dell’Istituto Bruno Leoni, think tank che promuove idee per il libero mercato. È adjunct scholar del Cato Institute di Washington DC. Oggi collabora con The Wall Street Journal Europe e con il supplemento domenicale del Sole 24 Ore. Ha scritto L'intelligenza del denaro. Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto (Marsilio, 2013). Twitter: @amingardi.