Renzi all’ascolto, prima di Prodi poi di Napolitano

Nel linguaggio dei segni il messaggio è: abbiamo parlato di Libia, Ucraina e politica europea (temi peraltro non così neutri); con il professore siamo amici; non potete giocare l’Ulivo contro di me. Punto. Nient’altro.
Sicuramente nessuna candidatura, né al Quirinale né per il lontano incarico alle Nazioni unite. Romano Prodi non avrebbe accettato riferimenti del genere, Matteo Renzi non ha bisogno di calcare la mano quando il messaggio di primo livello sull’incontro di palazzo Chigi è già così soddisfacente per lui.

Fino all’ultimo giorno prima dello scrutinio che si rivelerà decisivo per il prossimo presidente della repubblica, il nome di Prodi rimarrà sospeso sul Pd e su Renzi. Come s’è cercato di utilizzare il ricordo dell’Ulivo contro il presente renziano, così si proverà a indebolire qualsiasi manovra o proposta o decisione del Pd agitando la suggestione di colui che, senza dubbi né politici né storiografici, è il vero precursore e ispiratore dell’avventura democratica in Italia.
Che poi a spingere il nome di Prodi contro Renzi siano in buona parte coloro che al tempo sabotarono l’Ulivo, e magari alcuni che nel 2013 furono nocciolo duro dei 101, rende solo più caricaturale la situazione e più facile la scelta del professore di non farsi coinvolgere nel gioco.

Chiaro che il segnale di Prodi, per quanto utile, non avvicini la soluzione del problema Quirinale che inevitabilmente condizionerà il clima politico e le mosse di Renzi nel prossimo mese e mezzo. Siamo ormai, martedì pomeriggio, al tradizionale discorso di auguri del capo dello stato alle cosiddette “alte cariche”. Ricorderete come andò lo scorso anno, con la famosa fuga di Renzi, fresco segretario del Pd, dal Quirinale. Con tutte le congetture che se ne trassero quanto al rapporto conflittuale tra Napolitano e il rottamatore.

In realtà, come si capì più tardi, la fuga di Renzi era probabilmente dovuta più che altro all’imbarazzo per una tenuta poco protocollare (il terribile abito chiaro nella marea di grisaglie), a sua volta anticipazione di tante altre prove della estraneità del giovane leader rispetto a riti e consuetudini della Capitale. Perché in realtà abbastanza presto capo dello stato e leader del Pd trovarono invece il modo di intendersi, per quanto Napolitano abbia sicuramente più subìto che promosso l’atto cruciale del 2014 e dell’intera vita politica di Renzi, ovvero la sostituzione di Enrico Letta, senza però far nulla per scongiurarla.

Oggi Renzi torna al Quirinale – di cui è diventato nel frattempo assiduo frequentatore – in tutt’altra veste, in ogni senso. Ascolterà Napolitano seduto in prima fila, abito scuro, centro dell’attenzione stavolta non divertita bensì rispettosa dell’intero salone dei Corazzieri. Dovrà inevitabilmente essere lui il regista della successione, con tanta gente in trepida attesa che nella battaglia per il Colle il premier si rompa l’osso del collo. Anche il discorso del presidente sarà ascoltato in questa chiave, cercando le tracce di consigli, indicazioni, suggestioni. Errore. Nel saluto di Napolitano aspetteremo casomai una valutazione (l’ennesima bocciatura?) sul funzionamento del sistema politico e del parlamento, al quale il capo dello stato potrebbe rinfacciare di nuovo la lentezza sulle riforme istituzionali e sulla riforma elettorale. Misureremo se e quanto nelle parole di Napolitano tornerà l’asprezza contro i partiti del suo discorso di insediamento del 22 aprile 2013. E, naturalmente, cercheremo di capire se e come il presidente valuti gli sforzi di Renzi per tirare quelle riforme fuori dalla palude nella quale la legislatura l’aveva dolosamente confinate.

Se però fossimo nel premier – e in chiunque altro degli attori della “partita del Quirinale” – saremmo attenti soprattutto all’idea di Italia e di democrazia che il capo dello stato vorrà consegnare, anche attraverso le sue valutazioni sul nostro presente e sul nostro passato più o meno recente. A partire da quel suo richiamo di qualche giorno fa (discorso all’Accademia dei Lincei) alla necessità di ricercare una via mediana tra catastrofismo e illusionismo, verso una ragionevole speranza, battendosi con energia contro i fomentatori dello scontro intestino a ogni costo e in ogni ambito. Più che a fare il gioco dei nomi, al Quirinale ci sarà da ragionare seriamente su quali equilibri servano all’Italia per ritrovare se stessa, dopo che una personalità ahinoi insostituibile come Giorgio Napolitano l’ha ripetutamente salvata dal baratro nel quale stava precipitando.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.