Cose che poteva fare Renzi

Le opinioni di chi ha sostenuto Renzi finora a proposito l’azzardo di Renzi sono sostanzialmente due, ben sintetizzate dai due editoriali di Luca Sofri e di Francesco Costa sul Post. Il primo dice: abbiamo creduto nella diversità politica, una diversità politica non solo promessa ma dimostrata anche nei modi, e adesso molto di questo credito se l’è bruciato con una mossa da palazzo. Il secondo dice: cosa doveva fare Renzi? continuare a fare il segretario di un governo che non gli piaceva, impantanato nell’impossibile scelta tra sostegno o opposizione a Letta, con il serio rischio di bruciare il suo grande consenso personale, che è una delle poche ragioni della sopravvivenza del Pd? Così Sofri gli fa gli auguri, sperando che Renzi al governo riesca a far dimenticare il peccato originale, e Costa gli dà atto di aver trovato la mossa del cavallo in una situazione di stallo.

A me Renzi non è mai piaciuto, e non vedo l’ora ogni volta di ricredermi. Non mi è piaciuto Renzi rottamatore, non mi è piaciuto Renzi sindaco di Firenze, non mi è piaciuto Renzi scrittore di Stil novo, Fuori! e Oltre la rottamazione, non mi è piaciuto il Renzi comunicatore, non mi è piaciuto anche il Renzi delle due primarie (quelle da perdente e quelle da vincitore, entrambe contro avversari per diversi motivi deboli). La sua fortuna fin adesso è stata quella di essere il più aggressivo, più collegato al mondo reale, più dinamico, più televisivo in un partito pieno di nomenclatura che, preparata o meno, è spesso timida, impaurita, ridicolizzabile dal punto di vista comunicativo, dai giaguari smacchiandi in giù.

Ora, con il Grazie Enrico di ieri, Renzi si è alienata la simpatia dei moltissimi a cui questa sua spavalda concretezza piaceva o che, come me, gli riconoscevano almeno di essere uno che, in un paese devastato dal deficit di rappresentanza dove i referenti politici sono l’espressione di vertici di partito, aveva sempre rivendicato invece una legittimazione popolare. Mi chiedo, come tutti: Perché l’ha fatto? Per sete di potere? Perché è uno stronzo? Per mantenere un’immagine di dinamismo impossibile nella palude governativa di Letta? Per il bene del paese? Per le pressioni degli investitori? Perché non poteva fare altrimenti?

Fatto sta che l’ha fatto. E ora si aprono i mesi di presunta luna di miele in cui Renzi si gioca forse la sua intera carriera politica e per questo userà tutti i colpi della sua cartuccera, a partire da un parterre di ministri che sarà anomalo, magari con nomi simbolici come Baricco, Guerra di Luxottica o Farinetti.

Qualcuno già oggi lo etichetta come machiavellico, secondo la cattiva vulgata del fine che giustifica i mezzi. E proprio per questo che sarebbe utile a Renzi rileggersi in questi giorni rileggerselo il suo conterraneo, per esempio quel passo quando nel Principe dice: «Debbe pertanto uno, che diventi principe mediante el favore del popolo, mantenerselo amico: il che gli fia facile, non domandando lui se non di non essere oppresso. Ma uno che […] diventi il principe con il favore de’ grandi, debbe innanzi a ogni altra cosa cercare di guadagnarsi el populo […] E perché li uomini, quando hanno bene da chi credevano aver male, si obligano più al beneficatore loro, diventa el populo subito più suo benivolo che s’e’ si fussi condotto al principato con e’ favori sua […] Concluderò solo che a uno principe è necessario avere il populo amico, altrimenti non ha nelle avversità remedio». Machiavelli dà due possibilità per diventare principe: col favore dei potenti e con quello del popolo. Renzi sembrava aver scelto la seconda finora, e invece – oplà – ha optato per la prima. Ma anche in questo caso, ricorda Il principe, il suo compito dovrà essere quello di “guadagnarsi el populo”.

L’aspetto paradossale di tutta questa manovra è che Renzi il favore del popolo ce l’ha avuto finora. E avrebbe potuto arrivare al governo alimentando questo consenso. Come? Francesco Costa delinea un cul-de-sac in cui già nei mesi post-investitura da segretario Renzi si stava ficcando: quello del logoramento. C’ha provato, dice, a agire di sponda con la legge elettorale, e i risultati sono stati un ennesimo traccheggio parlamentare. Con quest’andazzo, i renziani avranno considerato che il pericolo fosse che alle elezioni europee si sarebbe prospettato un trionfo per le forze antigovernative, Berlusconi e Grillo, e una debacle per chi aveva retto, obtorto collo, le gambe molli di Letta. Come poteva Renzi guadagnarsi el populo, continuando a sostenere un governo inviso a lui prima che agli italiani?

Beh, un modo forse c’era, mi dico.

Perché Renzi non ha pensato, ora che era segretario, di trasformare il partito in un vero laboratorio democratico? Perché per esempio non ha pensato di spendersi in due, tre settimane di campagna elettorale in Sardegna invece di girare in Smart dalle parti di Palazzo Chigi? Perché non farsi uno a uno i paesini della Sardegna? Perché non spendere le sue energie suo desiderio di cambiare il paese, scongiurando la possibilità di una vittoria di Ugo Cappellacci. Ugo Cappellacci! Perché non contrastare l’M5s e Forza Italia incalzandoli con una grande chiamata all’impegno politico? Perché insomma non lottare strenuamente contro gli avversari invece che con i suoi compagni di partito?

Oppure: perché non lanciare una grande campagna di tesseramento per un partito di sinistra completamente rinnovato? Perché non pensare finalmente a costruire un partito-laboratorio, un partito aperto, un partito della società civile, persino un partito-palestra (come lo definisce Barca), in una prospettiva di lungo periodo, mostrando come, adesso che è lui il segretario, le cose all’interno sarebbero andate tutte diversamente?

O ancora: se si voleva questa crisi, perché non dichiararla alla luce del sole nei mesi precedenti? O perché non farlo ora attraverso un iter parlamentare, criticando il governo nel merito? Quando ieri Renzi ha detto di non voler fare il processo al governo e poi l’ha sfiduciato, valendosi della maggioranza dei suoi fedeli di partito, non si è reso conto di non aver colto per l’ennesima volta l’occasione di rendere trasparenti ai cittadini quali sono le ragioni per cui si appoggia un governo, si fa una verifica, lo si mette in discussione, si apre un’altra fase? Io il processo l’avrei voluto. Dopo aver criticato il potere invasivo di Napolitano, perché farsi forte di una legittimazione finora solo fiduciaria?

E da ultimo: ieri Matteo Renzi ha invocato per il suo gesto sfrontato la “parresia”. La parresia ha una lunga tradizione filosofico-politica, iniziata con Euripide, passata per Gesù Cristo, e arrivata a Foucault. Si tratta di una forma di sincerità in cui ci si mette in gioco in prima persona. Dire tutta la verità, persino con il proprio corpo, invece di essere astuti, calcolatori, prudenti, invece di usare la phronesis. Parresia negli ultimi anni è un termine che torna ogni tanto in voga. Lo ha citato Antonio Fazio quando si dovette difendere dalle accuse di essere un manovratore occulto, altri lo hanno attribuito alla parabola esistenziale di Pasolini, altri all’incosciente coraggio con cui Roberto Saviano si identificò con le parole del suo libro Gomorra.

Ma. Darsi del parresiaste è una figura retorica che è, agli occhi di chi lo ascolta, un doppio azzardo, che sa di gioco sporco. Il paressiaste dice Foucault nel suo Corso al Collège de France «è sempre meno potente della persona con cui sta parlando». Il suo obbligo a dire la verità, il suo dovere morale comporta sempre un rischio: è nei fatti, per Foucault, la premessa per la politica, la precondizione perché nella politica passi un discorso di verità. L’Apologia di Socrate per certi versi è un esempio di parresia. Ma Socrate, dopo aver detto ciò che pensava sinceramente di fronte all’assemblea, va incontro al suo destino di morte. Il Vangelo di Giovanni cita più volte la parresia di Cristo, ma Gesù Cristo dopo aver predicato nelle piazze – non nei sinedri – accetta la crocifissione. Insomma, a mia memoria, non ci sono molti parresiasti che chiedono compattamente un voto che sfiduci il governo dopo mesi di manovre sotterranee.

Per il resto, auguri Matteo Renzi: io sto sempre qui disposto a cambiare idea. Ci metterò credo moltissimo.

Christian Raimo

Christian Raimo è nato (nel 1975) e cresciuto e vive a Roma. Ha studiato filosofia e ha pubblicato per Minimum Fax due raccolte di racconti: Latte (2001) e Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004). È un redattore di «minima&moralia». Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia.