Renzi con le spalle al muro

Massimo D’Alema ci mette la firma, e questo è un atto di chiarezza che rende il quadro più leggibile. Ora c’è una leadership per l’operazione parlamentare trasversale che, a partire dal voto in commissione di due giorni fa contro i senatori a vita, punta a scardinare sia la riforma del bicameralismo che la riforma elettorale nella versione New Italicum.
L’ex segretario dei Ds ed ex presidente del consiglio non si affida a intermediari per esplicitare le proprie intenzioni. Sa che per far saltare legge elettorale e nuovo senato i voti della sola minoranza democratica non bastano, dunque si affida alla libertà di scelta dei parlamentari: concetto in sé giusto (ancorché opinabile, visto che non si tratta di materie “di coscienza” bensì di temi ultra-politici), che in realtà è metafora d’altro, ovvero della formazione in parlamento di una coalizione anti-renziana forte non solo delle opposizioni tradizionali (Sel, Lega, Cinquestelle) ma soprattutto della dissidenza berlusconiana (anzi, ormai dovremmo definirla neo-antiberlusconiana).

Come reagirà Renzi, che già aveva preso malissimo lo smacco subito nella commissione di palazzo Madama?
Ha dato appuntamento all’assemblea nazionale del Pd di domenica, dicendo solo di aver colto il segnale politico generale della vicenda, non più riconducibile ai “miglioramenti” della riforma chiesti dalla minoranza democratica.
C’è un filo di ipocrisia neanche tanto sottile in chi respinge indignato lo scenario delle elezioni anticipate come fosse un «ricatto». Che cosa pretenderebbero? Che il premier si facesse fischiare nelle piazze e impallinare in parlamento senza reagire, per di più sopportando il carico non solo di un quadro economico che non migliora ma anche di una ventata di discredito verso la politica causata da scandali in cui è coinvolto un pezzo di Pd dell’era pre-renziana?
Il problema casomai è la misura della reazione renziana e i suoi margini possibili.

Perché non sfugge a nessuno – sicuramente non al professionista D’Alema – che più ci si avvicina al cruciale tornante del Quirinale, più il segretario-premier ha bisogno di tenere unito almeno il proprio partito, prerequisito essenziale per costruire una qualsiasi maggioranza intorno a qualsiasi candidato alla successione a Napolitano.
L’esigenza ci sarebbe in ogni caso, a maggior ragione adesso che il partner del patto del Nazareno dimostra di non poter garantire per una buona parte dei suoi, né sulle riforme né tanto meno nella partita sul presidente.
Insomma, nel Palazzo si ritiene che forse per la prima volta Renzi abbia uno spazio di manovra limitato. Che non possa sgomitare più di tanto. E in effetti qualcosa s’è notato, nei segnali lanciati alle varie minoranze interne e nell’affievolirsi del tono polemico verso la Cgil.

Hanno ragione a pensare di poter colpire (e quindi ridimensionare) Renzi senza subirne il contraccolpo? Lo scopriremo presto. Tenendo sempre presente un dato che non è mutato: il lato del campo di forze che gli avversari del premier (in particolare D’Alema) non presidiano, e dove lui ha ancora nonostante tutto una larga prevalenza, rimane l’opinione pubblica, destinata prima o poi a trasformarsi in corpo elettorale. Chissà se è saggio mettere con le spalle al muro uno che ha ancora una simile risorsa.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.