Renzi deve aggiustare il messaggio

Matteo Renzi non si fermerà, né rallenterà, né devierà dal proprio tragitto. Chi lo pensa, o insiste a chiederglielo, continua più che altro a non capire l’essenza del personaggio, che prevede aggiustamenti tattici e cambi di velocità ma sempre in un crescendo coerente con la concezione di una politica che non ammette la conservazione dell’esistente (buono, mediocre o cattivo che sia).

Detto questo, il premier si trova a dover perfezionare il messaggio. Perché, complici anche i dati di cronaca, per qualche momento è balenata l’immagine di una locomotiva Italia spinta a grande velocità dal capotreno mentre dietro alcuni vagoni oscillano pericolosamente e si avverte la possibilità di un deragliamento sociale. La rassicurazione non è una tonalità comunicativa consueta per Renzi, che la assimila a perdita di dinamicità, freno rispetto alla sollecitazione a rimettersi in moto assumendo dei rischi. L’incontro di ieri a palazzo Chigi con Landini e i suoi metalmeccanici aveva uno scopo immediato: rimediare a una giornata nera per l’immagine del governo, sanare una ferita. Operazione compiuta, anche grazie alla maturità del leader della Fiom. Conteneva però anche un messaggio più generale, non correzione ma completamento dell’aggressivo discorso della Leopolda: in Italia non c’è da piegare alcun ceto sociale né categoria, non c’è nessuno nel mondo del lavoro che deve pagare per lo sforzo collettivo di ripartire.

Renzi deve spiegarlo meglio, perché i suoi avversari politici sono riusciti a sollevare un dubbio in proposito: lo scontro è con gli apparati di potere, in ogni luogo e a ogni livello; nel sindacato come nel padronato; nel privato come nel pubblico; nelle professioni corporative come nell’amministrazione. Non coi lavoratori d’ogni genere, i quali a seconda dei casi possono aspettarsi di avere ridotte le tutele ed eventualmente i privilegi, ma non di essere scritti sulla lavagna dei cattivi di palazzo Chigi. Lo slogan del governo antipopolare è grezzo, anacronistico, inverosimile se indirizzato a Renzi e Padoan. Ma non sarà neutralizzato da slogan opposti. Ci vuole applicazione ravvicinata, come fatto ieri per la vertenza Ast. E bisogna rafforzare gli strumenti di protezione variamente presenti nel Jobs Act e nella legge di stabilità: non tutti possono permettersi, come i ternani dalla testa dura, di battersi per il lavoro sotto una gragnuola di colpi.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.