Pornografia

Il regista Luca Ronconi ha messo in scena al Piccolo Teatro di Milano (dal 13 marzo al 5 aprile) il romanzo Pornografia (Feltrinelli, Milano 1994) dello scrittore polacco Witold Gombrowicz (1904-1969). «Pornografia è un romanzo sensualmente metafisico»: così definì Gomrowicz il suo libro, pubblicato in Argentina nel 1960, tre anni prima del definitivo ritorno in Europa. Stando al suo “diario segreto”, Kronos, lo iniziò nel giugno del 1955, in un periodo in cui pensava spesso al suicidio e la sua vita erotica era abbastanza fiacca, e terminato il 4 febbraio 1958 (dopo varie pause e ripensamenti e l’idea di intitolarlo Visita a Ruda).

La storia è ambientata in Polonia e narra di due signori di mezza età, Witold e Federico, che fuggono da Varsavia durante la guerra e incontrano in una villa, dove sono ospiti, una coppia di adolescenti (Enrichetta e Carlo) che a loro sembrano intensamente legati da un’attrazione reciproca. I due giovani non hanno però l’aria di accorgersene, il che esaspera i due adulti, affascinati della loro gioventù, che vorrebbero vedere realizzata quell’unione. Faranno di tutto per buttarli l’una nelle braccia dell’altro, fino a organizzare, a questo scopo, un assassinio in comune.

Ciò che unisce i due inconsapevoli giovinetti, agli occhi dei due attempati protagonisti, è la giovinezza: «In Pornografia mi interessava soprattutto la gioventù. (…) Nel romanzo ho trattato di un problema molto complesso, credo: quello dell’ascendente di una persona superiore su una persona inferiore, di un adulto su un giovane, di una persona intelligente su una meno intelligente».
Gli attempati Federico e Witold spingono i giovani “indifferenti” Enrichetta e Carlo l’una verso l’altro con una serie sadica di macchinazioni pseudoerotiche che li uniranno alla fine in un sanguinoso delitto, con sullo sfondo una placida campagna polacca appena disturbata dalla guerra (il poeta-premio Nobel, Czesław Miłosz, scrisse in proposito: «Considero Pornografia tra l’altro il più fedele e realistico, perché metaforico, quadro del movimento partigiano in Polonia negli anni 1939-1945»).

Il romanzo doveva, inizialmente, intitolarsi Atteone, come il cacciatore della mitologia greca che, per aver visto, in mezzo al bosco, Diana nuda che faceva il bagno con le sue ninfe, fu da lei trasformato in un cervo (e sbranato quindi dai suoi cani). Gombrowicz, mentre lo scriveva, aveva sulla scrivania una cartolina con la riproduzione del famoso dipinto La morte di Atteone di Tiziano. Pornografia è quindi un romanzo sull’ossessione e la tragedia del guardare che, per Gombrowicz, era, allo stesso tempo, un piacere e anche il motore della sua attività artistica e filosofica. Un guardare però che provoca fraintendimenti, manipolazioni e dolore.

La trama di Pornografia allude, nemmeno tanto larvatamente, a una relazione omosessuale tra i due attempati protagonisti che, attirati verso il basso (la giovinezza), riescono a costruire con i loro sguardi, la loro esagerazione dei particolari e i macchinosi intrighi, un folle castello di fenomeni che ha l’apparenza di un rapporto intimo e segreto tra Enrichetta e Carlo. Quest’ultimo, con la sua giovanile e ruspante bellezza, unisce Federico e Witold in un’ulteriore gioco di seduzione: un legame erotico che vive nell’obbiettivo di buttare Carlo tra le braccia di Enrichetta. Federico e Witold sembrano, in alcuni momenti, mettere in piedi tutto quel teatrino di intrighi perché sono innamorati della giovinezza di Carlo. Esemplare è da questo punto di vista la lunga chiacchierata in calesse tra Witold e Carlo, piena di malintesi e frasi dette a metà, dove l’anziano si illude di scoprire una passione che gli fa paura: «Il solo pensiero che la sua bellezza cercasse la mia bruttezza mi faceva star male. Cambiai argomento…».

Anche se Gombrowicz si è cimentato alcune volte nella scrittura di testi teatrali – con Iwona principessa di Borgogna (1938); Matrimonio (1953); Operetta (1967) e il frammento incompiuto Historia (1962) – sembra trovare proprio nei suoi ultimi romanzi, Pornografia (1960) e Cosmo (1965), una “chiave teatrale” molto particolare. I suoi protagonisti, soprattutto Federico, sono infatti dei “registi” che mettono in scena la realtà come la vorrebbero, “forzando” gli altri a concorrere alla buona riuscita delle loro macchinazioni. Perché la realtà prenda la forma da lui desiderata, Federico farà a un certo punto recitare ai due giovani la parte degli innamorati. A questa “rappresentazione”, in mezzo alle piante del parco della villa, assiste prima lo stupefatto Witold che poi, d’accordo con Federico, darà vita alla “replica” a uso del fidanzato di Enrichetta, Venceslao. È questa la svolta del romanzo: la scena del voyeurismo, da cui prenderà le mosse la tragedia finale (anch’essa frutto di una messa in scena). Lo scrittore polacco ha sottolineato con forza che Federico più che un voyeur (concetto che, in fondo, implica una certa passività) è “un regista”. Nel Testamento (1969), Gombrowicz afferma che Federico è una sorta di Cristoforo Colombo che si butta a capofitto a scoprire luoghi sconosciuti, la nuova Bellezza e la nuova Poesia nascoste tra l’adulto e il ragazzo: «Federico non è né un Satana né un voyeur, ma ha qualcosa del regista, o addirittura del chimico, che combina le persone tra loro e cerca di tirare fuori da essi una bevanda alcolica con un nuovo sapore».

Lo scrittore Enzo Siciliano, a proposito della nuova edizione feltrinelliana di Pornografia (la prima, del 1962, edita da Bompiani, si intitolava pudicamente, con l’assenso comprensivo dell’autore, La seduzione), scrisse che quella vicenda, narrata magistralmente da Gombrowicz, gli ricordava l’Aminta di Torquato Tasso (opera, tra l’altro, messa in scena proprio da Luca Ronconi nel 1994), «dove una coppia adulta spinge all’amore una coppia di giovani, e c’è un dialogo tra Tirsi e Dafne, appunto i due adulti, in cui è chiaro che ai loro occhi la passione indotta nei due ragazzi, Aminta e Silvia, altro non è che il trasferimento sulla giovinezza di quanto l’età matura vive come riflesso o invidia, come insinuazione viziosa, deviata. (…) In questa vicenda, che voleva essere, nelle parole dello scrittore polacco, romanzo della “giovinezza” e perciò dell’”attrattiva”, c’è una strana dolcezza tachicardiaca, e il sentimento palpitante di una sciagura. L’eros ci attira a sé: avvertiamo che stiamo subendo una seduzione di morte, e inesplicabilmente non riusciamo a sottrarci».

Come rendere tutto questo sottile intrigo a teatro? Occorre giocare sul “tono”, sull’attenzione spasmodica alle sfumature che fanno precipitare il gioco di due signori annoiati verso il dramma. La forza di Pornografia sta proprio nel testo, nelle parole che danno il tono dei vari personaggi, che, quasi malgrado se stessi (perché c’è un momento in cui tutto sembra sfuggire di mano a ciascuno), concorrono a “mettere in scena” il tragicomico dramma.

Luca Ronconi ha rispettato fedelmente il romanzo Pornografia: «Uso solo le parole di Gombrowicz, non ne cambio nemmeno una. Accorcio e sciolgo le descrizioni in dialoghi. Tengo tutto al presente, lasciando talvolta un imperfetto, che crea un senso di spaesamento». Ha lavorato sulla forma-romanzo, come aveva già fatto con altre opere narrative (come i Demoni di Dostoevskij e il Pasticciaccio di Gadda), non piegando l’opera alla drammaturgia di una riscrittura scenica, bensì alla teatralizzazione delle parole scritte. Gli attori, in tal modo, recitano il racconto conferendogli l’azione. I personaggi entrano ed escono, assieme agli arredi in movimento che scorrono sul nudo palcoscenico contestualizzando il luogo, descrivendo pensieri intimi, dialoghi e gesti, imbastendo trame e macchinazioni ad alta voce, e per questo simili a registi di una messinscena della realtà come la vorrebbero.

Non si tratta infatti, come ha dichiarato Ronconi, «di una sceneggiatura del testo, ma di una trasposizione, di una lettura analitica del romanzo attraverso gli strumenti che sono quelli del teatro, a partire dagli attori». Nella recitazione degli attori si alternano gli interventi in prima persona; quelli in terza persona con soggetto il proprio stesso personaggio; quelli in terza persona con soggetto gli altri personaggi; infine, molto più raramente, gli interventi in prima persona che si rivelano in realtà essere i pensieri di un altro personaggio. Su queste quattro possibilità si gioca la complessa partitura drammaturgica di Pornografia. La quinta, una sorta di “voce di raccordo”, è una voce fuori campo che interviene alcune volte.

Ronconi, come è stato notato, dispone con abile e fluida varietà i momenti in cui la narrazione orale precede o accompagna l’azione scenica, e quelli in cui è invece il gesto materiale ad anticipare l’evoluzione narrativa. La narrazione del teatro mostra una sua non riducibile tendenza iperbolica, che gli impedisce di essere fagocitata dal romanzo. Come quando Gombrowicz descrive, durante la messa, l’immobilità delle persone dietro i banchi, gli attori si gettano tutti a terra come fossero morti. Il piano teatrale prende il sopravvento su quello narrativo anche quando Witold e Federico chiedono con malizia a Enrichetta di allacciare la scarpa di Carlo, e il gesto avviene nella più totale calma e assenza d’attrazione. Oppure, quando Federico mima una passeggiata attorno alla villa degli amici (mentre alle sue spalle dei pannelli mobili evocano il movimento tra gli alberi) e Witold ne racconta il tragitto in terza persona, disegnando su una lavagna le linee e le curve che sta provando a descrivere a parole. Alla realtà narrativa si giustappone quella dell’immaginazione: così i due giovani diventano fantocci nelle mani dei vecchi, venendo agiti in pose erotiche per dare soddisfazione ai loro desideri inesauditi. «Il vero voyeurismo pornografico è quello verso se stessi… nello sguardo sulla propria schifezza, non su quella degli altri», ha spiegato Ronconi, che mostra Witold e Federico incapaci di amare una realtà che non si lascia plasmare dai loro bisogni e non contemplano l’alternativa di mettere in discussione sé stessi: molto meglio trascinare tutto a fondo, nelle placche di un immobilismo sempre più sicuro e sempre più colpevole.

Lo spettacolo Pornografia è stato elaborato e preparato, durante l’estate del 2012, nel Laboratorio del Centro Teatrale Santacristina, sulle colline umbre, diretto da Ronconi. Sono stato là invitato a raccontare Gombrowicz e assistere al lavoro del regista con gli attori. Debbo confessare che, nonostante studi Gombrowicz da una trentina d’anni, ho capito molte più cose del suo “tono” assistendo al lavoro preparatorio di Ronconi. Sono rimasto infatti assai colpito dal modo in cui lui suggeriva l’atteggiamento dei personaggi («Si afflosciano come palloncini gonfiati lasciati improvvisamente andare…»), indicava il senso del testo («Il dolore è la terza dimensione: spazio, tempo e dolore. Non due dimensioni e un sentimento») e come, assieme agli attori, recitavano ripetutamente, cambiando intonazione fino alla forma più soddisfacente, le battute del testo. In quel laboratorio si è ricreata la stessa atmosfera di Pornografia: un regista di grande esperienza e sensibilità, due attori affermati e problematicamente maturi, hanno lavorato a stretto contatto con un gruppo selezionato di giovani “immaturi” e appassionati, allegramente spensierati, che appena terminavano le prove correvano a giocare a squash, mentre attorno, tra i boschi, i cacciatori sparavano all’impazzata, come se ci fosse la guerra.

Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).