Piove sulle guaine bitumate

Quando piove, piove su queste guaine bitumate.

Una guaina bitumata è una cosa nera che spalmi su un tetto perché così quando piove eviti le infiltrazioni d’acqua. Una specie di soluzione temporanea in attesa di rifare il tetto. Oppure di rifare tutta la casa, infissi, pavimenti, bagni, impianto elettrico.

Allora quando arriva il primo temporale, da dietro il vetro di una finestra un po’ fuori squadro, la badante est europea guarda questo tetto nero che, di primo temporale in primo temporale, stinge verso il grigio da chissà ormai quanti primi temporali, eppure in qualche modo ancora resta nero.

Finché è nero, significa che la guaina sta reggendo bene. La soluzione doveva essere provvisoria: qualche mese, un paio di stagioni al massimo, poi qui rimettiamo tutto a posto, capito papà? Per ora rimandiamo, se ne parla l’anno nuovo.

In molte case col tetto nero ci vivono le badanti dell’est europa, oppure dell’ex unione sovietica (che forse non si può considerare tutta est europa).

Sembra che ci abitino da sole, perché si sente la loro voce e basta.

Una che abita da sola, in teoria, non dovrebbe parlare, a meno che non parli al telefono, oppure con sé stessa. Di parlare con sé stessi capita a tutti, anche alle badanti italiane, però, quando una badante viene dall’est europa o dall’ex unione sovietica, ti aspetti che tra sé e sé parli nella sua lingua.

Invece quando piove, sopra al rumore della pioggia, che è debole perché cade sopra queste guaine fatte apposta per fare scivolare le gocce, senti frasi come: se non fai il bravo, stasera niente banana, dette a voce molto alta. Quindi forse sta parlando al telefono con un italiano.

Se non fai il bravo, stasera niente banana è una frase strana da dire a un italiano o a un’italiana al telefono o anche di presenza: un italiano o un’italiana di fronte a stasera niente banana pensano all’astinenza sessuale, o a cose offensive, a doppi sensi spinti, e insomma, ci vuole confidenza per dire a un italiano o a un’italiana che stasera niente banana.

Comunque quando piove, gli occhi delle badanti est europee – affacciate a guardare la pioggia da dietro i vetri delle finestre fuori squadro – scivolano sopra questo tappeto nero di pioggia senza scroscio.

Pure i loro vicini di casa guardano la pioggia, perché in paese non c’è molto altro da fare quando piove, e nel frattempo continuano a chiedersi chi è che si deve comportare bene per avere la banana stasera.

Allora tendono un poco l’orecchio, ma niente, voci non ce ne sono più, è tornato il silenzio, ha pure smesso di piovere.

Quando non piove, rumori zero. Di nessun tipo.

Non è tanto normale, dovresti sentirne parecchi, perché le case sono appiccicate una sopra all’altra, dove finisce il muro tuo comincia il terrazzino bitumato del vicino, che poggia sopra il tetto di un altro vicino, che ha il soggiorno sotto la tua cucina. E così su tutti i lati di questi poligoni irregolari che sono le case del paese: una specie di partita a tetris lasciata a metà, con le stradine strette (che poi un sacco di volte più che strade sono scalinate) che sembrano le fessure lasciate vuote dalla pioggia.

Perché pure nel tetris piove: piovono figure geometriche che si appiccicano subito per terra. Com’è che si appiccicano così bene? Forse si sono dimenticati di stenderci sopra la guaina bitumata?

La verità è che siamo in montagna: la ragione delle strade tortuose è questa.

Quando finisce di piovere, i vicini di casa delle badanti est europee tornano ad affacciarsi sul balcone o, per quelli che ce l’hanno, sul terrazzino.

La guaina funziona, perché l’acqua è già scivolata tutta via, e ora è nero-lucida come quelle tutine spandex che si mette catwoman nei film di batman.

Ogni tanto ci sono le colombe che fanno il loro verso ovattato, ma sono poche, perché forse essendoci poche persone ci saranno anche poche tovaglie scotolate, poche briciole, al massimo qualche buccia di banana, sempre se l’interlocutore muto della badante est europea s’è comportato bene.

La gente, con le sue briciole e le sue tovaglie, s’è trasferita giù, all’ingresso del paese, lungo la circonvallazione. Da là è un attimo che pigli la macchina e sei già sulla superstrada verso la città. Sempre se non ti ci sei già trasferito, in città.

In centro, quello in alto, quello della partita a tetris abbandonata, si forma qualche pozzanghera.

Le badanti est europee si siedono sullo scalino davanti alla porta e fumano. Tanto qua macchine non ne passano, e poi la stradina è in pendenza: l’acqua piovana scende verso la circonvallazione, dove le ruote la sollevano e se non stai attento te la spruzzano addosso.

Verso le otto meno un quarto, il forno in pietra sul corso fa il pane serale. Ancora sono le quattro, ma se lo vuoi, lo devi prenotare. Perché qua il pane è così: personalizzato.

Lo puoi avere come ti piace: ben cotto? Morbido? A pasta dura? Però glielo devi dire.

Poi, dopo due, tre ore, ci torni e lo trovi dentro una busta con il tuo nome scritto sopra.

Il pane qua è una raccomandata che vai a ritirare alla posta.

Solo che lo vogliono tutti alla stessa ora, cioè qualche minuto prima di cena e qualche minuto prima di pranzo.

Quindi il vicino di casa della badante est europea va al forno, vede questa scena di distribuzione dei sacchetti-missiva che sembra un cinegiornale dell’istituto luce, e si fruga le tasche perché pensa che, mannaggia, forse s’è scordato a casa la tessera annonaria.

Al forno le badanti est europee non ce le trova mai. La spesa, tutta la spesa, quella settimanale e anche quella piccolissima, la fa il figlio del badato.

Il figlio del badato ha paura che la badante poi, al posto delle cose buone, compra quelle del discount, per risparmiare e guadagnarci una bottiglia di vodka per sé.

Il figlio del badato pensa che probabilmente le banane negate a voce alta devono avere qualcosa a che fare con la vodka.

Allora è meglio se la badante est europea resta sul gradino a fumare. A prendere il pane ci va proprio il papà, il badato, l’interlocutore muto.

Ci mette mezzora a fare trecento metri, ma con la scusa finalmente si fa una passeggiata.

Parte da casa vestito con la giacca, il cappello, e il bastone. E con sotto la giacca quel maglioncino in fresco di lana col colletto a polo e i tre bottoni, lo stesso maglioncino che c’ha Primo Levi nell’intervista di Rai 1 in cui lo seguono con le telecamere mentre torna ad Auschwitz in pullman, insieme a tanti altri ex deportati.

Il maglioncino ci vuole per forza, perché qua fa fresco anche d’estate. E poi ha appena piovuto.

La guaina, sì, ancora funziona bene, ma un po’ di umidità sale lo stesso, dagli infissi entra qualche spiffero, ci vorrebbe una registrata. Però non adesso, papà, l’anno venturo.

Perché tanto l’estate prossima qua rifacciamo tutto. Togliamo la guaina e rimettiamo le tegole. Anzi pavimentiamo il terrazzino con le mattonelle di Caltagirone. Mettiamo una citronella per le zanzare e due vasi di bouganville agli angoli del balcone. E nell’aiuola davanti alla porta ci seminiamo un piede di fico. Poi torniamo ad abitare qua pure noi, non fa niente che ci stiamo dieci minuti in più a pigliare la superstrada. Alla fine si sta molto meglio, il pane è sempre caldo e lo possiamo avere come piace a noi, ben cotto e a pasta dura.

La badante est europea, finito il temporale di agosto, si sposta un poco sul gradino per lasciare entrare in casa il figlio del badato.

È venuto a trovare il padre e gli sta facendo questo discorso sulla futura ristrutturazione.

La badante dell’est europa un poco prova tenerezza e un poco pensa che stasera li lascia senza banane tutti e due.

Ma più di tutto pensa che se veramente qua tolgono la guaina e rifanno il terrazzo, poi in paese tornano pure le macchine. E a lei sedersi fuori sul gradino davanti alla pozzanghera piace.

Mario Fillioley

Ho tradotto libri dall'inglese in italiano. Poi ho insegnato italiano agli americani. Poi non c'ho capito più niente e mi sono messo a scrivere su un blog con un nome strano: aciribiceci.com