La prima vera serie tv della RAI

Alla fine anche mamma RAI ci è arrivata; ha capito che è il momento di cambiare, di modernizzare e di migliorare. Non uccidere, serie tv che va in onda ogni venerdì sera su Rai3, è la “ventata di aria fresca” che aspettavamo da tanto – forse troppo – tempo. È un crime sinuoso, elegante, figlio della tradizione nordeuropea e di un modo nuovo di pensare – non solo alla televisione, ma anche – all’intrattenimento.
Miriam Leone – qui struccata, pallida, con i capelli sempre raccolti in una coda di cavallo – interpreta l’ispettore Ferro: la sua è una storia tragica, particolare; sua madre ha ucciso suo padre ed è appena uscita di prigione. Ogni puntata è un nuovo caso (in perfetto stile crime): si indaga, si scopre; e spesso il colpevole è uno dei personaggi meno sospettabili, proprio come vuole la tradizione inglese. Una trama verticale che segue una trama orizzontale (12 episodi, 12 delitti, ciascuno della durata di circa un’ora e mezza).

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Miriam Leone in una scena di “Non uccidere”

La fotografia, patinata e pulitissima, una delle prime – e poche – eccezioni della RAI, è un biglietto da visita vincente e invitante. La regia, affidata a Giuseppe Gagliardi, è un altro, decisivo passo in avanti: Gagliardi, già director di 1992, sa quando e dove posare l’attenzione della camera, quando farla soffermare; dove, soprattutto, dire al pubblico di guardare. La sua regia si fa “indiziale”, curiosa – ennesimo elemento di un seriale perfetto. E diventa necessaria, talvolta fondamentale, per la buona riuscita del prodotto.

L’idea a monte di Non uccidere è venuta a Lorenzo Mieli e a Claudio Corbucci. Qui, come ha sottolineato giustamente lo stesso Gagliardi in un’intervista all’Huffington Post, “in veste di showrunner”. E anche in questo, nella riorganizzazione anglofona della produzione, si riconosce l’ennesimo passo in avanti che ha compiuto la RAI: circondata com’è da esempi positivi, da Sky, da Netflix, dalle cugine Canal+ e BBC, ha capito che è l’ora di rilanciare, di sgomitare per arrivare tra i primi posti. Il progetto – come si capisce dal canale di messa in onda – non è stato supportato a dovere, questo va detto: in pochi sanno della sua esistenza; in ancora meno, sanno che è possibile rivederlo on demand, gratis, sul sito della RAI.

E sebbene, a ragione, ci sia ancora un’incertezza di fondo (andava mandata in onda sull’ammiraglia? Ma il pubblico generalista l’avrebbe apprezzata?), Non uccidere è anche una vetrina perfetta, un punto da cui ripartire. Per esempio: al di là del cast (sottolineo la bravura della Leone e le tante scelte ad hoc, a ogni puntata, di interpreti giovani e talentuosi come Giovanni Anzaldo, che abbiamo già visto ne Il capitale umano) è anche l’apparato tecnico che merita una valutazione positiva.

Non uccidere, insomma, è la dimostrazione che anche qui, in Italia, la televisione pubblica può diventare impresa e farsi competitiva; c’è la presa di coscienza profonda (non si sa quanto, non si sa fino a che punto) che il lavoro altrui può essere preso ad esempio, che si può, e anzi si deve, imparare dai competitor. E soprattutto che la tv generalista ha più di un compito: non solo quello, trito e ritrito, di vecchissima data, di “compiacere il pubblico”, ma anche di educarlo e di mostrargli che c’è di che scegliere e di che fruire.

Gianmaria Tammaro

Napoletano convinto dal '91. Scrive di cinema, serie tv e fumetti. Gli piace Bill Murray. Il suo film preferito è Ricomincio da tre.