Non tutto ciò che è intercettato luccica

Sono state pubblicate le motivazioni dei giudici del Tribunale di Firenze del processo su Castello che il 6 marzo scorso hanno assolto il presidente onorario di Fondiaria Salvatore Ligresti, il suo braccio destro Fausto Rapisarda e l’altro suo collaboratore Gualtiero Giombini insieme all’ex assessore Graziano Cioni, all’architetto Marco Casamonti e all’imprenditore Aurelio Fontani; erano accusati di corruzione, concussione, violenza privata, appropriazione indebita. Da quelle accuse è stato assolto anche l’ex assessore Gianni Biagi, condannato invece a un anno per abuso d’ufficio e turbativa d’asta. L’inchiesta e il processo su Fondiaria-Castello non sono stati una cosa da niente a Firenze. Hanno bloccato lo sviluppo urbanistico della città, fermato la corsa di dirigenti politici alle primarie fiorentine del 2009 (Cioni fu costretto a ritirarsi dopo un avviso di garanzia e a quei tempi, era la fine del 2008, l’ex assessore alla sicurezza di Palazzo Vecchio era un competitor tutt’altro che marginale, specie per Matteo Renzi). I giornali locali per mesi e anni sono stati zeppi di pagine e pagine di intercettazioni brillanti. Nel 2013 i giudici del Tribunale di Firenze, motivando la loro sentenza, hanno scritto questa frase (il riferimento è naturalmente ai pm che hanno condotto l’inchiesta): «Le telefonate devono essere vagliate con cautela estrema senza ritenere aprioristicamente che le cose dette in tali occasioni siano sempre la rappresentanza certa della verità sol perché gli interlocutori parlano senza sapere di essere ascoltati». Questo è ciò che ho scritto sul Corriere Fiorentino, a proposito dell’uso delle intercettazioni.

 

Il contesto, il famoso contesto, e poi la voce, il tono, le pause, gli occhi che dicono una cosa diversa dalle parole che pronunci, i muscoli facciali che trattengono una bugia o la verità che vorresti dire ma che ancora non è arrivato il momento di pronunciare. Stai parlando al telefono, c’è qualcuno che ti registra, ma ti senti libero, dici cose in privato che in pubblico non diresti mai. Oppure dici cose che, trascritte, perdono la loro tridimensionalità, vengono schiacciate sulla carta, sminuzzate, trasformate in titoli di giornale, in sommarietti, catenacci, diventano un marchio, ti identificano. Magari ti identificano per quello che sei davvero, magari invece ti identificano per ciò che non sei ma in quel momento sembri. Potresti essere davvero un «furbetto del quartierino» — detta dal memorabile Stefano Ricucci, il processo è solo al primo grado — oppure non sei «un facilitatore» nel senso deteriore del termine, come Paolo Cocchi stesso si autodefinì e come l’accusa cercò di inchiodarlo (il giudice l’ha poi assolto). Anche l’inchiesta di Castello aveva un bel po’ di intercettazioni, il «serpentello» di Graziano Cioni, il parco che faceva «cagare» (o «cacare», nannimorettianamente parlando; «cacare non cagare, fica non figa!») di Leonardo Domenici. Intercettazioni perfette per i giornali, perché fanno titolo, e per chi cerca la verità pensando che basti la trascrizione per coglierla. Per dire, il giorno dopo il naufragio della Costa Concordia, Salvatore Ursino di Messina, all’epoca della tragedia «stagista» sulla nave, ufficiale in addestramento che fu presente in plancia di comando per tutta la navigazione, venne intercettato mentre diceva che Schettino se n’era andato; in aula ha poi spiegato «che se n’era andato, ma non fisicamente dalla nave, mi riferivo al fatto che se n’era andato di testa, era giù di morale». Il Tribunale di Firenze, nelle motivazioni della sentenza su Castello, l’inchiesta che ha segnato pesantemente lo sviluppo urbanistico della città e condizionato il quadro politico fiorentino, dice però che non tutte le intercettazioni, per quanto brillanti e mediaticamente funzionali, hanno valore: «Le telefonate — scrivono i giudici — devono essere vagliate con cautela estrema senza ritenere aprioristicamente che le cose dette in tali occasioni siano sempre la rappresentanza certa della verità sol perché gli interlocutori parlano senza sapere di essere ascoltati».

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David Allegranti

Giornalista, blogger. La Stampa, Panorama, Vanity Fair, Foglio, Corriere Fiorentino, Gazebo. Autore di The Boy (Marsilio). Interista. Ghinetti giovani 2012. Su Twitter è @davidallegranti.