Non è più il tempo delle avventure

La crisi letale ha le fattezze rubizze di un faccendiere, il volto congestionato dalla rabbia di una vicepresidente del senato detta la Badante, la faccia da schiaffi di un erede noto come il Trota (schiaffi nel senso di quelli che avrà rimediato da suo padre nelle ultime ore). Una roba a metà fra Balzac, commedia all’italiana (che beffa) e tragedia shakespeariana. Ma la Lega Nord – simbolo della Seconda repubblica, dopo Berlusconi – è spinta in questo sprofondo da un doppio fallimento, molto più grave e irrimediabile delle ruberie di un Belsito.

Bossi ha fallito catastroficamente nella sua missione nel nome del Nord contro l’Italia. Il potente soffio rivoluzionario che spirava tra il ’90 e il ’92 s’è spento un po’ alla volta, come la voce del capo. E in chiusura del ciclo, il massimo che la Lega consegna alla sua inesistente Padania è un pugno di discreti amministratori, non a caso alla ricerca di una via d’uscita per sé ora che l’epopea collettiva finisce nel nulla.

Il secondo fallimento, dalle conseguenze anche più profonde, è quello del partito personale. Bossi molla umiliato, Berlusconi svanisce tipo gatto del Cheshire. E poi Grillo non sfonda, Di Pietro e Vendola rimangono a metà, i sindaci più ambiziosi restano parcheggiati o impantanati, nomi nuovi appaiono e scompaiono in un amen, inevitabile risorge il proporzionale: insomma, si chiude l’era delle piccole o grandi avventure legate alla singola personalità.

È un paradosso, perché invece il momento (paragonato spesso al ’92-’93) è di nuovo di grave crisi dei partiti, la capacità di leadership personale continua a contare per l’opinione pubblica (come spiegare altrimenti il caso Monti, il consenso per Napolitano?), proprio ora dovrebbe aprirsi lo spazio per i newcomers. Invece niente. L’unica spiegazione è che, un po’ come accadde col ventennio fascista, abbiamo fatto indigestione di uomini simbolo. Il vuoto lasciato da un duce venne allora colmato da grandi masse, organizzate in partiti capaci di nuove narrazioni: un passaggio storico irripetibile. Che cosa verrà adesso?
Il Pd, pur con tanti problemi, è la forza centrale del campo politico anche perché con Bersani ha investito su un altro modello. Il vuoto intorno però fa spavento, il futuro offre molte più incognite che certezze. Grazie anche, pensate un po’, a gente come il Trota.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.