Nando-philosophy

Non morivo dalla voglia di tornare in Italia. Mese dopo mese, ho letto i bollettini rovinosi da un paese allo sfacelo, nelle email, nei siti Internet, nei giornali stranieri. Amici ottimisti, che di vivere in questo paese finora non si erano mai stancati, mi scrivevano messaggi inediti: “Resta in India che è meglio”. Non era una minaccia personale. Era un’avvertenza, come la data di scadenza sui farmaci.

In questi 10 giorni ho parlato con un direttore di banca che teme che un giorno un cliente gli spari, com’è successo a un suo collega per una questione di fidi non concessi. La barista che ha fatto sparire gli occhiali da sole scordati nel bar sotto casa ha sbuffato: “Faccia pure le denuncia”, sapendo che sarebbe stato inutile. Ho scoperto valori immobiliari al tracollo, le vie delle città con molti più cartelli “VENDESI” su vetrine di negozi e appartamenti.

Però ho visto anche centinaia di visi intelligenti e vivaci in una cittadina di provincia, Valdagno, che riempivano due piani di un palazzo per ascoltare le parole e letture di una scrittrice. Un teatro a Venezia pieno fino alle piccionaie per ascoltare un romanziere indiano dialogare con la sua traduttrice. Aule, teatri, scantinati pieni di persone che si ritrovano e dialogano. Anche senza rabbia, con civiltà.

Una sera, nella periferia di Vicenza, assieme ad altre decine di cittadini in un seminterrato male illuminato e mal ventilato, ho ascoltato un architetto, un ingegnere idraulico e un euro-parlamentare discutere sulle vere cause dell’alluvione che ha devastato il territorio due anni fa: diapositive, grafici, dati alla mano. Ho visto sale piene di centinaia di persone curiose di sapere se può esserci un referendum per l’indipendenza in Veneto. Persone che comunque escono di casa per parlare e ascoltare.

Ho avuto l’impressione che dietro l’imminente e annunciato disastro che attende l’Italia, oltre la coltre di fuliggine generata da chi segue passo passo il dialogo tra politica, industria, giustizia e cronaca, vi siano tante persone che cominciano, piano piano, a partecipare (e non mi riferisco al grillismo). Almeno questo ho potuto vedere in questi giorni a Valdagno, Vicenza e Venezia.

E di fronte a un’evidenza preoccupante, ho sentito crescere in me qualcosa di simile a un sorriso antico.

Poi però mi sono detto che, in quanto veterano dei rientri in Italia dopo lunghi periodi, sarebbe stato un po’ ingenuo non fare dei paragoni con il passato.

E mi è venuto in mente un rimpatrio nel ’93, quando m’illusi che Mani Pulite avrebbe cambiato tutto.

Un pomeriggio, nell’ascensore del palazzo a Roma dove lavoravo, incontrai un collega, il caporedattore della cronaca nazionale di “Repubblica”, che si dichiarò sorpreso del mio sorriso e del mio buonumore da oriundo da poco in Italia.

“Come va, Pizzati, ancora bene, ancora contento?”

“Sì,” risposi un po’ sorpreso da quegli “ancora”.

Salutandomi dal pianerottolo, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano sul suo realismo e sul mio mal riposto ottimismo, Nando mi freddò con questo commento:

Nun te preoccupare, passerà.”

 

Carlo Pizzati

Scrittore, giornalista e docente universitario. Scrive per "Repubblica" e "La Stampa" dall'Asia. Il romanzo più recente è "Una linea lampeggiante all'orizzonte" (Baldini+Castoldi 2022). È stato a lungo inviato da New York, Città del Messico, Buenos Aires, Madrid e Chennai. Già autore di Report con Milena Gabanelli su Rai 3, ha condotto Omnibus su La7. Ha pubblicato dieci opere, tra romanzi, saggi, raccolte di racconti brevi e reportage scritti in italiano e in inglese. carlopizzati.com @carlopizzati - Pagina autore su Facebook - Il saggio più recente è "La Tigre e il Drone" (Marsilio 2020),