Mafia e politica a Roma

Il ritratto di Roma che esce dalle prime carte dell’inchiesta “Mondo di mezzo” è contemporaneamente il più pazzesco e anche il più verosimile. Qualcosa che stupisce – per alcuni dei nomi coinvolti, per certe assurde resurrezioni criminali a cominciare da quella di Massimo Carminati – ma che in realtà conferma quanto si sapeva, o si intuiva, o si sospettava a proposito degli intrecci tra amministrazione e raggruppamenti mafiosi di varie dimensioni.

La personalità più duramente investita è senz’altro quella di Gianni Alemanno, e del resto i suoi cinque anni da sindaco erano già stati travolti dalle inchieste, dal discredito e infine da una pesantissima stroncatura elettorale. Vedremo di quale entità sarà il suo coinvolgimento attuale ma una cosa è certa: il tentativo di riciclarsi come capopopolo della rivolta anti-immigrati va a sbattere contro una vicenda che, oltre tutto, racconta dei campi nomadi sfruttati come business. Nemesi implacabile per Alemanno e per tutti i neofascisti che provano a cavalcare i drammi della convivenza nelle periferie.
Tra il 2008 e il 2013 il Campidoglio è stato spolpato da una banda di vecchi camerati radunati in risposta al richiamo della foresta. E si sapeva. È perfino ricomparso un cognome terribile: c’è un Alibrandi fra gli indagati. Ma prendiamo per buona la frase di Carminati carpita dai carabinieri: sono affari, la politica non conta.

E allora guardiamo bene dentro la trasversalità del sistema di appalti e di potere. Affrontiamo la realtà di cooperative cresciute negli anni al fianco delle amministrazioni di sinistra, diventate holding di servizi e di collocamento, implacabili nell’accaparrarsi lavori in campi che l’amministrazione non sa o non può gestire da sé, tutti socialmente cruciali: il verde, la sanità, l’accoglienza di nomadi e immigrati, lo smaltimento dei rifiuti. È il lato oscuro della sussidiarietà, che si fa forte della debolezza e della transitorietà della politica per imporre l’eternità dei propri affari piccoli, grandi o grandissimi, e che per essere più sicura si associa con vera e propria criminalità.

Non possiamo fermarci alla strana amicizia tra l’ex Nar Carminati e il capo storico della coop 29 giugno, Salvatore Buzzi. Perché non è con i fascisti al potere che quest’ultimo ha costruito la propria presenza ovunque ci fosse da tappare una falla dei servizi pubblici. Inutile girare la testa dall’altra parte: sono storie che non possono essere confinate a destra, come del resto conferma il coinvolgimento nell’inchiesta dei pm di Pignatone di diversi e importanti dirigenti del Pd romano.
Per questo diciamo: rammarico, attesa di verificare accuse e prove, presunzione di innocenza per tutti, ma nessuna sorpresa se i sospetti si rivelassero fondati.

Infatti, al di là delle eventuali implicazioni penali, la colpa grave della sinistra romana è stata esattamente questa: quando Alemanno, Polverini, e Storace prima di loro, l’hanno estromessa dal potere, essa si è in gran parte acconciata ai tempi “nuovi”, e a contrattare con i nuovi padroni della città. Fino a quando con Zingaretti e Marino è tornato il suo momento. E, insieme al momento, sono tornati in posizioni preminenti molti degli eterni abitanti del sottobosco capitolino, politici o funzionari pubblici.
È in questo ambiente che può consumarsi una vicenda – questa sì, incredibile – come quella di Marco Di Stefano, il deputato Pd che proprio ieri per combinazione veniva interrogato a palazzo di giustizia: un’altra creatura del trasformismo e della vischiosità della politica romana, un altro esemplare di quella fauna che può accasarsi a sinistra se a contare sono solo le tessere più o meno false, le preferenze più o meno comprate e le poltrone quasi mai meritate.

Il capo della procura Pignatone è intervenuto giorni fa in un’assemblea che avrebbe voluto segnare una sorta di “rifondazione” del Pd. Che glielo abbiano chiesto, e che lui l’abbia voluto fare pur sapendo che cosa avevano per le mani i suoi colleghi, sono due segnali importanti e incoraggianti. Come la distinzione che lui stesso, in modo irrituale, ha voluto proporre tra la gestione di Alemanno e la gestione di Ignazio Marino. Su questo sindaco – goffo, sfortunato, «involontario» come l’ha definito il giornale che dirigo, Europa – s’è detto di tutto. Eppure oggi ce lo ritroviamo, nonostante giunta e consiglio comunale stiano perdendo pezzi, come un punto di riferimento sicuramente pulito in un mare di opacità.
Il Pd nazionale ha almeno qualcosa su cui appoggiarsi, in una ricostruzione che non sarà breve né indolore, come Matteo Renzi e Lorenzo Guerini hanno capito benissimo. Lo scandalo potrà perfino aiutarli. Il Pd romano, che molto ha attaccato il marziano Marino fin dal primo momento pretendendo più spazio e più potere, adesso farà bene a leccarsi le ferite, a cercare di guarire finalmente dal suo morbo oscuro, e a fidarsi.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.