Lo scopo dei Fratelli Lumière

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Ogni giorno Federico Bernocchi tiene un programma su Radio Rai2 che si chiama Canicola. È tipo il più bel programma del mondo dopo Radio TSO e prima di Acapulco. Solo che Radio TSO non lo fanno più. E Acapulco lo stiamo aspettando un po’ tutti. A parte Dispenser. E aggiungo Condor per campanilismo. Insomma, lui Federico Bernocchi allora fa Canicola. Per il programma faccio un disegno brutto al giorno. Brutto che fa provincia. Ci provo almeno. Un mashuppone di alcuni argomenti toccati dalla puntata. Perché? Boh. Perché chi non farebbe dei disegni per la radio? Quindi dicevo, ogni giorno, da mezzogiorno all’una e mezza come dei veri califfi ascoltate Canicola oppure scaricatevi il podcast (che contiene il disegno del giorno che potete trovare anche qui grandissimo) E qui troverete fino a Settembre un disegno al giorno con il testo che ricevo dei temi della puntata da Bernocchi. Vi siete mai sentiti più felici? Ecco. Felicizzatevi.

Niente, ti volevo dire che ho visto la prima serie di Narcos e ci son rimasto male da quanto è bella. Poi ho scoperto perché: l’ha prodotta e diretta (almeno il pilota) il mio amico José Padilha, che è quel genio brasiliano che ha fatto Tropa de Elite 1 e 2. Anzi, m’è venuto in mente una cosa: quando è uscito il remake di Robocop, che è la sua prima prova statunitense (e probabilmente anche l’ultima), ho scritto un lungo post su i400Calci. Te lo copio e incollo.

Sono un turista bravo e consapevole. Una volta sono stato in Danimarca per andare a vedere Legoland, che si trova a Billund e di cui mi sa che vi ho pure già parlato, e ho scoperto Nicolas Winding Refn. Passeggiavo annoiandomi con la mia fidanzata di allora per le strade di Copenaghen e ad un certo punto vedo la locandina di questo film che si intitola Pusher. C’è della gente che fa brutto con le canottiere, i pantaloni della tuta, le mazze da baseball e le pistole. “Uh, hai visto che vestitino pazzesco in quella vetrina carinissima?” chiese lei. “Scusa, non ti sto ascoltando. Non mi interessano i vestitini a fiori della Danimarca. Devo spendere dei soldi per il bene del mondo: vado a comprare un DVD in danese senza sottotitoli!”. E quindi sono arrivato a Nicolas Winding Refn molto prima di voi. Cioè, è giusto secondo me sottolinearlo. Voi eravate lì che vi accapigliavate sul nostro sito dopo il Sylvester dato a Drive, mentre io, back in the days, ero già pronto a dire che aveva stufato, che era meglio quando faceva i dischi punk, poi l’ho rivalutato e poi mi ha definitivamente rotto le palle. Cioè, sono come Enrico Ruggeri: Nicolas Winding Refn prima di te.
Tutto questo perché sono un bravissimo turista. Qualche anno dopo vado in Brasile. Anche del Brasile vi ho già parlato, ma si sa, ormai sono un vecchio rincoglionito che racconta sempre le stesse cose. Anche perché comunque parliamo di Legoland e Rio de Janeiro, due tra i posti più belli al mondo. Cioè, è anche normale che una che fatto quelle esperienze tenda a ribadirle il più possibile. Comunque, ero in giro per Rio con tre miei amici appassionati di calcio che continuavano a dirmi: “Dai, oh, basta andare in spiaggia a bere le caipirinhe circondati da gnocche che ballano! Andiamo al Maracanà!”. Apro una parentesi utilissima alla comprensione ultima del mio post. Sapete che a Rio de Janeiro c’è poca figa? Giuro. Cioè, in proporzione sono molto più belli gli uomini. Che per altro non fanno altro che allenarsi tutto il giorno. Per cui la cosa è così: arrivi speranzoso del fatto che tutte le Giselle Bundchen che incontrerai si innamoreranno del tuo fascino esotico ed europeo, mentre in realtà ci sono solo delle brutte e comunque tu fai cagarissimo in confronto a l’ultimo dei pirla che passa tutte le sue giornata ad allenarsi sulle parallele in spiaggia ed ha un fisico scolpito nel marmo. Chiaro? Ok. Comunque, i miei amici mi portano al Maracanà a vedere Flamengo contro Corinthians. Finisce 1 a 0 per il Flamengo con un gol di Adriano e noi impariamo a memoria tutti i cori del Flamengo. Usciamo dallo stadio e finiamo in 5 diverse risse che a Rio quella partita lì è un po’ sentita. Noi tanto non abbiamo problemi perché, siccome siamo coraggiosissimi, siamo andati allo stadio praticamente nudi per tema che ci inculassero il portafoglio e quindi riusciamo a scappare grazie alla nostra nudità. Mentre siamo sull’autobus che ci sta riportando in ostello (sì, sono andato a 30 anni in ostello in Brasile…), vedo la mega locandina di Tropa De Elite, un film brasiliano con tipo degli attori brasiliani, le scritte in brasiliano e tutto un contesto brasiliano. Vedo che c’è uno con una gran fazza con un fucile in mano e un bel simbolo cucito sul braccio: un teschio con un coltello infilato nel mezzo e due pistole incrociate dietro. Ho subito un’erezione, cosa che – a causa delle lamentele altrui – mi obbliga a scendere dall’autobus. Saluto dunque i miei amici e vado al cinema vedere Tropa De Elite. Da solo. Nudo. Ma prima di andare avanti, ecco a voi la testimonianza della mia gita al Maracanà e il coro più bello del mondo fatto dai tifosi del Flamengo. Mi si spezza il cuore. Grazie all’amico Zigulì all’Amarena a cui ho dovuto insegnare We Transfer per farmi passare questo video. Noi eravamo lì. Tu no.
Tropa De Elite è un filmone. Ma un filmone vero e proprio. Una di quelle perle che scopri e rimani assolutamente interdetto dalla sua bellezza e ti chiedi: “Ma perché? Perché, Gesù, noi abbiamo il cinema che ci ritroviamo e questi fanno una bomba atomica come Tropa De Elite?”. Il film è così: il protagonista è Roberto Nascimento, detto Beto, capitano del BOPE. Lo interpreta Wagner Moura che è un attore talmente pazzesco che qui ti caghi addosso ogni volta che parla, ma se lo guardi bene nelle foto è alto tipo un metro un cazzotto e peserà, boh, 70 chili. Il BOPE è Batalhão de Operações Policiais Especiais, ovvero il Battaglione per le Operazioni Speciali di Polizia. Sapete che a Rio ci sono le favelas, no? Nelle favelas ci sono quei due o tre criminali, armati fino ai denti, che non ci mettono manco mezzo secondo a ucciderti. Perché sono poveri, incazzati come le bisce e manco hanno i documenti per cui sa che cazzo gliene frega a loro. Quando vai a Rio, nelle favelas è meglio non andare così a cuor leggero. Quando succede un casino brutto nelle favelas, che vuol dire che tipo è come la guerra, quella con i fucili e le mitragliette, ci mandano il BOPE. IL BOPE arriva, vestito di nero, con quello stemma lì con il teschio, le pistole e spacca tutto.
Non sono come la polizia normale, loro sono dei cazzo di killer addestrati. Beto ci introduce con un voice over a questo mondo e poi ci presenta due nuovi amici: Matias e Neto, due piccoli poliziotti normali. Ce li fa vedere mentre sono appostati con un fucile in mano sotto una casa di gangster nella favelas che giocano a biliardino. Questi hanno più armi che il furgone dell’A-Team e loro sono lì sotto, in due con solo un piccolo fucile. Il fucile punta in direzione della piazza della favelas dove al momento c’è una festa piena di fighe, criminali e poliziotti corrotti. Beto, sempre in voice over ci dice che lui è stanco di fare il lavoro che fa e che tra questi due piccoli poliziotti si nasconde il suo successore. Chi sarà un giorno a comandare la Tropa de Elite? Chi sarà a capo di quel piccolo esercito di cazzutissimo guerrieri che vivono in una megalopoli che per molti di noi è solo una meta turistica e che invece assomiglia per certi versi a una vera  propria zona di guerra? Poi parte un colpo di fucile. Freeze frame. E inizia il film.
José Padilha all’epoca aveva fatto un documentario intitolato Ônibus 174. L’ho recuperato ieri sera, sulla scia dell’entusiasmo. il 12 giugno del 2000, a Rio de Janeiro, un criminale, un Niño de Rua, si mette in testa di rubare un autobus di linea, il Bus 174 del titolo. Ha una pistola, pippa cocaina da tre giorni e non ha nulla da perdere. Prende in ostaggio una decina di passeggeri e blocca un’intera città. Fuori dall’autobus, in attesa c’è la polizia, c’è il BOPE, c’è la stampa e ci sono i curiosi. Dentro, il macello. Non vi dico di più (anche se vi consiglio assolutamente di recuperarlo), ma si tratta di un documentario pazzesco che, partendo dal fatto di cronaca singolo, riesce ad allargare il discorso parlando di un’intera città come Rio. Si ricostruisce la storia personale del sequestratore, di tutti coloro che erano su quell’autobus, si racconta la storia di una città, dei suoi fatti di sangue, di un’intera parte della popolazione che vive senza alcuna regola, sotto la continua minaccia di essere uccisi dalla polizia o di morire di fame a un angolo di strada.
Bus 174 va molto bene e Padilha insiste su quella strada. Compra i diritti del libro Elite da Tropa, dell’antropologo Luiz Eduardo Soares e dei veri ufficiali del BOPE André Batista e Rodrigo Pimental. Il problema è che in Brasile quelle cose le puoi solo leggere, non le puoi raccontare per immagini in un documentario. Perché, come detto, lì è in corso una guerra vera e propria. Tutto quello che si poteva fare l’ha già fatto, rischiando, in Bus 174. Allora José fa un po’ come Garrone ha fatto con Gomorra: prende un libro “documentaristico” e ne tira fuori un film di fiction. Una fiction che in questo modo ha l’opportunità di essere più reale del Vero. Ora, non mi rompete i coglioni che il vostro amico più intelligente di voi vi ha detto l’anno scorso che Saviano fa schifo e il film di Gomorra non v’è piaciuto. Diciamo che l’operazione Tropa de Elite è simile all’operazione Gomorra. Si vede che Padilha viene dal documentario e si nota, soprattutto ad una seconda visione, che alcuni passaggi sono un po’ forzati. Forse quella voce fuori campo che spiega tutto è un po’ troppo ingombrante, ma è anche vero che non c’è il tempo di accorgersi di piccoli difetti o di sbavature. Il ritmo è altissimo e le cose da raccontare sono tante, tantissime. Perché non c’è solo la storia di Beto, di Matias e Neto. C’è la Storia di una città come Rio spiegata anche a uno che magari non metterà mai piede in Brasile. Ora, non so se avete mai avuto la fortuna di vedere The Wire, la vecchia serie della HBO ambientata a Baltimora (che è l’unica serie più figa di Breaking Bad che io abbia mai visto). Alla fine della quinta stagione, dopo aver capito gli intrighi che ci sono tra i palazzi con gli spaccini, dopo aver capito le magagne tra i portuali, i sindacati polacchi,la mafia greca, le beghe politiche legate all’edilizia, alle elezioni del sindaco e al sistema educativo, dopo aver capito come funziona la stmpa in una città così complessa, ti sembra di aver vissuto per un anno della tua vita a Baltimora. La conosci, ti ci ritrovi, l’hai vissuta sulla tua pelle solo guardandola in televisione. E con Tropa de Elite è un po’ così: lascia stare che son stato a Rio de Janeiro davvero, ma io ho fatto la vita del turista bambascione. Non mi sono manco avvicinato a una delle favelas e quando sono andato a Copacabana ancora un po’ mi cagavo sotto solo perché uno mi ha chiesto dei soldi in mezzo alla strada. Però dopo aver guardato il film di Padilha hai l’impressione di conoscere un po’ di più quella città. Perché sai come lavora la polizia, conosci i motivi e i modi in cui mette in pratica una corruzione folle. Capisci come ragionano i ragazzi, gli studenti di diversa estrazione sociale nel momento in cui sono costretti ad avere a che fare con le Forze dell’Ordine o con un sistema malavitoso che in qualche modo regola la oro esistenza. E poi capisci anche la mentalità di un protagonista che, di lavoro, uccide la gente. Di lavoro, mette dei sacchetti di plastica in testa a della gente e la interroga così. Di lavoro si agirà tra delle baracche con un fucile in mano pronto a sparare a tutto quello che si muove.
Il secondo film della serie, Tropa de Elite 2 – O Inimigo Agora é Outro, arriva tre anni dopo, nel 2010. Nel frattempo José Padilha è diventato tipo Dio in Brasile. Il suo film in patria è stato il primo a finire illegalmente in rete prima della sua uscirà ufficiale. Se lo sono visti tutti così ma comunque è stato il maggior incasso dell’anno. Vince l’Orso d’Oro a Berlino nel 2008 e fa il giro del mondo. In Brasile vengono girati ben 3 seguiti apocrifi che non riesco a trovare ma vorrei tantissimo vedere. Insomma, un casino. E Padilha fa un seguito che forse è ancora meglio del primo, ma che punta in direzione quasi opposta. Tropa de Elite 2 parte con una rivolta in un carcere (per altro portata avanti da Seu Jorge, quello che canta le canzoni di David Bowie in portoghese in Le Avventure Acquatiche di Steve Zissou) ma poi abbandona quasi completamente la strada dell’action per concentrasi ancora di più sull’aspetto The Wire della questione. Il tutto gira ancora attorno alla corruzione delle forze di polizia, ma qui le cose si fanno ancora più specifiche. Beto Nascimiento non è più neanche sul campo, l’hanno messo in un ufficio a coordinare delle operazioni per cui, figuratevi. Siamo al limite con il film prettamente calcista. Ed è pure strano, eh? Perché quando poi Padilha si mette in testa di girare delle scene action, è uno che la sa lunga. Sembra quasi un Greengrass in stato di grazia. Quando c’è da premere l’acceleratore, sa come fare e  gli piace anche farlo vedere. Ma a lui, evidentemente, interessa di più altro. In questo, e siamo al terzo paragone che ci serve ad inquadrare Padilha, possiamo avvicinarlo a Sollima Jr., regista e autore di Romanzo Criminale e A.C.A.B. Le possibili letture politiche o schierate dei film di Padilha non hanno alcun significato: il suo approccio documentaristico alla materia serve anche ad avere quella specie di ambiguità che, oltre a preoccupare tutti coloro che se guardano un film esotico vogliono, esigono che ci sia solo una ferma condanna degli sbirri cattivissimi e tanti bei colori, rende il racconto più sfaccettato e quindi più interessante. In conclusione proprio questo aspetto di Padilha rischia di essere il più interessante se pensiamo al Robocop originale. Perché può essere che il digitale, i robot, i soldoni, la fotta, le multinazionali del terrore che stanno dietro alla produzione di un film del genere, gli attoroni, possano in qualche modo influire sulla realizzazione tecnica del film di Padilha. Ma quando sarò in sala a vedermi il suo Robocop, io cercherò un po’ di quella sua visione cinica, realista, fredda e vera che mi ha fatto amare il suo cinema. Una visione che se ben utilizzata potrebbe essere perfetta per rileggere e riadattare alle nostre esigenze un film come Robocop. E che spero sia riuscito a conservare.
Narcos è la sua serie Netflix sulla storia di Pablo Escobar e sembra essere una bomba atomica. Oddio, son tutto energisado.

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Emanuele Sferruzza Moszkowicz

Mi chiamo Emanuele Sferruzza Moszkowicz, preferisco Em, o Hu-Be. Questo è il mio archivio: www.hu-be.com e questo è un progetto che porto avanti che mi permette di conoscere molte persone: www.scribblitti.com