L’elenco che manca a Renzi

Ieri Franco Bechis su Libero ha pubblicato un articolo su alcune fatture che dimostrerebbero un contributo di Luigi Luisi, l’ex tesoriere della Margherita accusato di essersi portato via 13 milioni di euro, per la campagna elettorale di Matteo Renzi. Il che, se fosse vero, cozzerebbe con le tante dichiarazioni del sindaco di Firenze contro il finanziamento pubblico ai partiti (lo ha detto anche ieri su Facebook rispondendo al pezzo di Libero):

Sono tra i non moltissimi (eufemismo) amministratori a dire che il finanziamento pubblico ai partiti va abolito, non riformato: abolito.

Pochi giorni fa ne avevo parlato sul Corriere Fiorentino. Mi sembra che quelle argomentazioni siano valide ancora oggi. Renzi ha più volte chiesto piena trasparenza, ha detto che bisogna essere certi di «chi dà i soldi a chi». Una iniziativa da lodare, in tempi in cui non solo non sappiamo chi è che dà i soldi ma neanche chi li riceve davvero. È giusto richiedere che i partiti diano pubblicamente conto delle proprie entrate, perché è giusto che elettori e militanti sappiano come sono state vinte o perse non solo le campagne elettorali, ma anche come viene gestita l’attività ordinaria quotidiana. Non bisogna essere seguaci di Beppe Grillo per comprendere che questo tipo di sorveglianza fa parte delle regole del gioco democratico. Allo stesso modo, è giusto che venga concessa libertà, non totale, ma regolata da alcuni criteri, per cui un candidato che si presenta alle elezioni sceglie la via migliore per trovare finanziamenti con cui affrontare mesi e mesi di campagna elettorale. Fare politica costa, e ricorrere ai privati per autofinanziarsi non è disdicevole. Anzi, può essere anche uno stimolo alla competizione. Renzi è sempre stato piuttosto abile nel raccogliere voti e soldi. Ed è legittimo che lo faccia. Esiste però anche un problema di coerenza politica. Lusi qualche tempo fa ha anche firmato un appello pro-Renzi insieme ad altri senatori. Anche qui, nulla di male. Se le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, figuriamoci se chi riceve appoggio politico da qualcuno che non si è comportato correttamente può a sua volta essere ritenuto colpevole di qualcosa. Ma il punto non è questo. Non è la prima volta che qualcuno mette in dubbio l’origine delle sponsorizzazioni per le campagne elettorali di Renzi. E ciò capita perché il sindaco di Firenze, pur molto attento al suo profilo etico, non ha mai voluto rendere pubblici i finanziatori della sua attività politica, nonostante sia stato lui nei mesi scorsi a dare la sua disponibilità a dire chi aveva sostenuto finanziariamente l’iniziativa della Leopolda (e ieri in tarda serata ha di nuovo annunciato che lo farà). Non si tratta di pubblicare elenchi di proscrizione. È solo un problema di trasparenza, in coerenza con il modello americano, molto apprezzato da Renzi e non solo. L’obiezione di Palazzo Vecchio finora è sempre questa: così spariranno molti dei possibili finanziatori. Il rischio c’è, ma è un prezzo che vale la pena pagare se prima di tutto la politica deve recuperare credibilità.

David Allegranti

Giornalista, blogger. La Stampa, Panorama, Vanity Fair, Foglio, Corriere Fiorentino, Gazebo. Autore di The Boy (Marsilio). Interista. Ghinetti giovani 2012. Su Twitter è @davidallegranti.