LeBron James torna a casa

Breve riassunto delle puntate precedenti.
The Decision”, 8 luglio 2010: LeBron James dice addio a Cleveland e “porta il suo talento a South Beach”, Miami (in diretta nazionale, of course).

Rise”, 26 ottobre 2010: dopo infinite polemiche, LBJ e il suo sponsor regalano al mondo questo piccolo capolavoro (già videoPost qui).

What should I do?”. Cosa dovrei fare, si chiede il giocatore nativo dell’Ohio?
Le risposte arrivano, sotto forma di parodia (quelli di South Park) o sotto forma di semplice replica ironica da parte dei suoi tifosi.

Delusi, disillusi, incazzati.
Il mio preferito è quello con cappellino e felpa degli Indians (via LeBron, c’è sempre il baseball con cui consolarsi) & vanga in mano (l’Ohio rurale, mica l’Art Deco District…). Dalla sua bocca escono i veri motivi per cui in Ohio hanno il dente avvelenato, verso il loro (ex) pupillo: “Potevi fare a meno di sputtanarci in diretta nazionale. Grazie”. “Potevi dirci prima che te ne saresti andato”.
Trovo che sia, tra l’altro, l’unica cosa che si possa davvero contestare al Prescelto: la forma, non la sostanza.
Poteva andarsene? Sì.
Ha fatto bene a farlo? Sì.
Miami era la scelta giusta? Sì (o almeno, perché no?).
Lo ha fatto nel modo migliore? No, quello no.
E allora “Witness” diventa “Quitness”, il baffo dello sponsor si rovescia, perché tutto è il contrario di ciò che doveva essere. Loro, i tifosi, non saranno più “testimoni” (della storia, almeno quella sportiva). Lui, l’eroe, è solo un cagasotto, uno che molla quando si gioca sul serio, per vincere.
E si gioca sul serio – anche se il calendario dice che è soltanto una delle 82 partite di stagione regolare – anche stanotte.
“Miami Heat @ Cleveland Cavaliers”, 2 dicembre 2010.
Il primo ritorno di LeBron James, da avversario, a Cleveland.
Impossibile raccontare l’attesa, perché si è visto davvero di tutto.
Le raccomandazioni pubbliche alla calma (raddoppiato il numero degli agenti, in divisa e in borghese, presenti al palazzo)
La coppia di tifosi/imprenditori che crea la linea di t-shirt “Queen James”.
Lo psicologo, il Dr. Michael McKee, che dalle pagine del quotidiano locale consola gli inconsolabili.
Il giornalista/scrittore (Scott Raab, firma di Esquire) che intitola il suo prossimo romanzo “La puttana di Akron” – e intanto viene messo al bando dal palazzetto dello sport di Miami.
I pazzi che – a Milano, Italy – creano un afterhour sportivo per vivere assieme “il ritorno”: maxischermo, birra&popcorn durante la partita, caffè&cappuccino prima di andare a casa (o diretti in ufficio…).
Perché si gioca alle 8 PM locali, le due di notte qui da noi.
Ed ecco come andrà.
Presentazioni dei quintetti. Al nome di LeBron James, 20.000 tifosi rideranno. Il più forte possibile. Una risata collettiva, di un intero palazzo, di un’intera città, di un’intera regione (se riuscirà a seppellirlo o meno, si vedrà a fine gara).
Sulla palla a due cominciano i cori.
Il primo: “NO-RING-KING, NO-RING-KING”. Il Re (King James, uno dei suoi soprannomi) senza anello, il premio per chi vince il titolo NBA. Cosa che, appunto, LeBron a Cleveland non ha fatto.
Poi si va avanti: “WIT-NESSED NOTH-ING”. Non siamo stati testimoni di niente. James (e il suo sponsor) avevano promesso tutto, successi, fama, popolarità mondiale. Invece nulla. King James se n’è andato, Cleveland non ha vinto, la Storia non è cambiata.
Quindi viene il momento del mio coro preferito: “SIDE-KICK! SIDE-KICK”. Volete mettere che soddisfazione dargli del “secondo violino”? Perché a Miami il padrone di casa si chiama Dwyane Wade, e per i critici unendosi a lui James ha rinunciato a essere il n°1, la stella, il leader della propria squadra. Al massimo un ottimo giocatore di secondo piano. L’offesa peggiore.
Per questo si va avanti a battere sullo stesso, dolente tasto: “SCOT-TIE PIP-PEN! SCOT-TIE PIP-PEN!”. Ovvero la spalla di Michael Jordan ai Chicago Bulls. Sei titoli NBA vinti. Giocatore già nella Hall of Fame. Ma spalla, appunto.
Aggiungeteci un “TRAI-TOR, TRAI-TOR” a ogni pausa valida, e il bentornato al traditore è servito.
Nel frattempo – tra hot-dog, popcorn, nachos, birra e file interminabili alla toilette – si sarà disputata anche una partita. Interessa anche il risultato?

[SPOILER: l’idea qui è questa: vincerà Miami. Vincerà LeBron. Perderà Cleveland. Avessi preferito sognare, non avrei messo la sveglia all’1:59…]

Mauro Bevacqua

Nato a Milano, nel 1973, fa il giornalista, dirige il mensile Rivista Ufficiale NBA e guarda con interesse al mondo (sportivo, americano, ma non solo).