Le prede russe che si credono cacciatori artici

Cerco di scrivere solo su temi che posso dire di conoscere e sui quali ho avuto esperienza diretta. Per questo oggi vi vorrei parlare di Christian D’Alessandro.

Non l’ho mai conosciuto e non mi pronuncio sulla persona, sul 31enne napoletano con laurea in biotecnologia, ex cameriere in Inghilterra per imparare l’inglese, volontario di Greenpeace che da quasi due mesi è in un carcere russo. Dal breve curriculum mi pare di capire che si tratti di una persona a posto.

Vi parlo di lui perché qualche anno fa fui arrestato dalla Legione Straniera a Mururoa mentre scrivevo una serie di reportage sulla protesta di Greenpeace ai test nucleari francesi. Ce la cavammo con un po’ di timore. E, dopo una notte nelle baracche militari dell’atollo polinesiano, fummo rispediti a Papeete. I francesi agirono con saggezza lasciandoci andare in fretta.

Pochi mesi dopo, in frangenti simili, assieme ad attivisti di Greenpeace, fummo fermati dalla Guardia Costiera di Shanghai. Si rischiavano fino a 10 anni di prigione per “attività anti-rivoluzionarie”. Militanti e giornalisti compresi. Dopo alcune ore ci lasciarono andare. Per fortuna. Anche questa fu una scelta intelligente da parte delle autorità cinesi.

Grazie a queste partecipazioni, mi fu consentito di documentare l’addestramento dei militanti verdi nella zona industriale di Amburgo, assieme alla fotografa Delia Wöhlert. Come potemmo testimoniare, l’addestramento di Greenpeace era (e immagino sia ancora) molto rigoroso. Le teste calde, i teppisti, venivano subito individuati ed espulsi.

Tutto questo per dire che un’azione di disturbo che ha come fine la comunicazione di una protesta può benissimo essere frenata dalle forze dell’ordine (anche se in questo caso pare sia accaduto in acque internazionali su una nave olandese, quindi la legittimità verrebbe meno, qui il video). Ma tenere in carcere per quasi due mesi 28 militanti pacifisti e due giornalisti è un’azione che meriterebbe una mobilitazione di protesta più partecipata. L’appello del padre di Christian D’Alessandro, Aristide, pubblicato dai giornali italiani e la lettera al presidente Napolitano della madre, Raffaella Ruggiero, pubblicata anche sul sito di petizioni Change.org, meritano di essere rilanciati.

Qui non si tratta di militari italiani indagati per omicidio e imbrigliati in un complesso nodo diplomatico-legale. Si tratta di un pacifista napoletano arrestato durante un’azione dimostrativa non-violenta. Le accuse per lui, altri 27 attivisti e due giornalisti free-lance (che quindi non hanno nemmeno il sostegno legale di una testata) sono state sulle prime di “atti di pirateria” (15 anni di carcere) e poi si sono trasformate in “atti di teppismo,” accusa che prevede pene meno severe.

Non amo la petizione facile. Ma in questo caso mi pare che punire un’azione di disturbo che ha come fine la pubblicità attorno a un evento non possa essere paragonata né al teppismo né alla pirateria. Fingere di non vedere la differenza (come già con le Pussy Riot) è un atto di prepotenza, non di applicazione delle leggi. Ed è anche un po’ sciocco.

Christian D’Alessandro è salito a bordo di quella nave di Greenpeace con l’intenzione di salvare l’Artico dalle trivelle della Gazprom. Si può essere favorevoli o contrari alla sua azione. Ma non si può essere favorevoli alla carcerazione prolungata e largamente immotivata di fronte a una protesta che è risaputo rientra sempre nei margini della non-violenza.

Ma davvero un manifestante pacifista, che non usa la violenza, ma solo urla, gesti e parole, merita di restare in carcere per due mesi? Non si rendono conto, le autorità russe, che così facendo hanno garantito che si parlasse per due mesi delle trivellazioni della Gazprom nell’Artico? La protesta contro la carcerazione degli “Arctic30” ha una doppia motivazione: contro l’ingiustizia e contro l’ingenuità di pensare che la “linea dura” sia il modo di bloccare un’azione dimostrativa. È e dev’essere sempre il contrario.

Il prezzo da pagare in termini umani è alto, e lo paga Christian D’Alessando assieme ad altre 29 persone. Ma non capire che così facendo ci mettiamo tutti a parlare di Greenpeace, della sua azione, ed eventualmente ci mettiamo a ricercare il significato di quell’azione, vuol dire proprio, per le autorità russe e per la Gazprom, scoprirsi prede in una trappola mediatica internazionale, mentre si pensa d’essere i cacciatori.

(versione con foto a questo link)

 

 

Carlo Pizzati

Scrittore, giornalista e docente universitario. Scrive per "Repubblica" e "La Stampa" dall'Asia. Il romanzo più recente è "Una linea lampeggiante all'orizzonte" (Baldini+Castoldi 2022). È stato a lungo inviato da New York, Città del Messico, Buenos Aires, Madrid e Chennai. Già autore di Report con Milena Gabanelli su Rai 3, ha condotto Omnibus su La7. Ha pubblicato dieci opere, tra romanzi, saggi, raccolte di racconti brevi e reportage scritti in italiano e in inglese. carlopizzati.com @carlopizzati - Pagina autore su Facebook - Il saggio più recente è "La Tigre e il Drone" (Marsilio 2020),