La storia del Baron Hotel di Aleppo

Il souk brucia. Su Aleppo si è abbattuta la furia distruttrice della guerra civile. Interi quartieri sventrati, per le strade centinaia di morti. Donne, uomini e bambini, soprattutto bambini. E mi è venuto di pensare al bel libro, I Baroni di Aleppo, e alle vicende così ben descritte nella fascinosa cornice delle stanze del Baron Hotel. È molto più della storia di un albergo e della famiglia armena che lo ha costruito e gestito: è la storia della Siria, del Medio oriente e della diaspora armena.

Prima della guerra civile, la comunità armena in Siria contava circa 150.000 persone, di cui la maggior parte residenti ad Aleppo. Ora bisognerebbe rifare i conti. Le relazioni tra la Siria e l’Armenia sono sempre state ottime, come il rapporto tra la minoranza armena e la famiglia al-Assad. Per raccontare gli ultimi trent’anni di relazioni ci vorrebbe un altro libro: a Damasco fu aperta la prima ambasciata armena dopo l’indipendenza dall’Urss e proprio Aleppo diede i natali al primo presidente dell’Armenia libera, Ter Petrosyan, che nel 1992 scelse Damasco per la sua prima visita ufficiale.

Sono passati circa centovent’anni da quando Krikor, da un piccolo villaggio fra le alture dell’Anatolia e per sfuggire alle deportazioni dei cristiani dell’impero ottomano, raccolse la sua famiglia, «spezzò il pane, lo distribuì alla moglie e ai figli, lanciò le briciole agli uccelli… e cominciò un’altra giornata di lavoro». Qualche anno prima era passato per Aleppo, seconda città dell’impero ottomano, mentre si recava in pellegrinaggio a Gerusalemme. L’unica possibilità di alloggio era un vecchio khan (caravanserraglio) dove stavano insieme merci, animali ed esseri umani. Aleppo allora era un fiorente nodo commerciale, capolinea dell’Orient Express. La via della seta passava di lì prima della nascita di Cristo e collegava la Cina al Medio Oriente e all’Europa. Aleppo è infatti uno degli insediamenti umani più antichi del mondo, abitato ininterrottamente da circa 4mila anni (si contende il primato con Damasco). Tornato con tutta la famiglia, Krikor pensò di costruire ad Aleppo un hotel degno di tale titolo: prima l’Hotel Ararat e poco dopo il Parc Hotel. Gli affari andavano bene, i giovani Mazloumian, Armen e Onnig, crescevano e con loro le ambizioni dei nuovi hôteliers del Medio oriente. Fu così che, nei pressi del lago nella malandata periferia della città, fu posta la prima pietra del Baron, destinato a divenire luogo di incontro per politici, diplomatici, generali, spie, aeronauti e registi del secolo scorso.

Gli ospiti celebri
Il giovane archeologo T.H. Lawrence, alle cronache Lawrence d’Arabia, fu tra i primi celebri ospiti mentre si trovava ad Aleppo per condurre degli scavi nel nord della Siria, in un momento in cui archeologia e spionaggio andavano a braccetto. Agatha Christie e suo marito Max Malloway, archeologo di fama mondiale, chiedevano sempre la stanza 203, dove fu concepito parte di Assassinio sull’Orient Express; di Rockfeller si ricorda la celebre frase dopo un brindisi: «ognuno paga per sé».

Nella presidential suite del Baron soggiornarono il maresciallo Montgomery, il generale Allenby, i triumviri ottomani e Kemal Ataturk, il principe Gustavo di Svezia con la regina Luisa, il fondatore degli Emirati Arabi Uniti Sheik Zayed bin Sultan e Christine Gronville, attiva combattente della resistenza polacca. E poi ancora De Gaulle, Nasser, Ceausescu, Tito, Re Feisal e Hafez al-Assad (padre di Bashar). Nel 1968, Pierpaolo Pasolini, impegnato nelle riprese di Medea, vi trascorse alcune settimane. Più di recente, tornarono al Baron la mitica Freya Stark, viaggiatrice ultra ottantenne inviata dalla BBC e David Rockfeller che sul Libro d’Oro scrisse: “Questo è l’albergo del mio cuore”.

Il genocidio degli armeni e la prima guerra mondiale
Nel 1911, al Baron si ritrovavano gli ingegneri tedeschi impegnati nella costruzione della linea ferroviaria Berlino-Bisanzio-Bagdad (BBB), con molti inglesi attenti a osservarne i progressi. La Germania destava preoccupazioni e gli inglesi non intendevano uscire dal loro “splendido isolamento” per contrastarne la minaccia. L’Europa viveva in una condizione di pace che permetteva all’impero ottomano, considerato l’Uomo Malato d’Europa, di mantenere le posizioni.

Nel novembre del 1914, mentre continuavano le persecuzioni ai danni degli armeni, i turchi ruppero ogni indugio e si schierarono con la Germania, unico paese europeo contrario a concedere riforme in favore dei cristiani d’oriente. La Pasqua del 1915 coincise con una grande ondata di arresti e il 24 aprile il ministro degli Interni Talaat Pasha annunciò che “da lì a cinquant’anni non ci sarebbe stato nemmeno più un armeno”. Ma si sbagliava. Cinquant’anni dopo, migliaia di armeni si riunivano sulle colline di Tsitsernakaberd, alle porte di Yerevan, per appiccare una fiaccola che da allora è sempre accesa in memoria del Medz Yeghern, il Grande Male.

Durante la Grande guerra Jamal Pasha, un altro dei triumviri, si era stabilito in un’ala del Baron. In un’altra ala alloggiava il famoso generale tedesco Leman von Sanders. I due si scambiavano sontuosi banchetti e i Mazloumian se ne ingraziarono i favori così da poter intercedere in favore di centinaia di armeni condannati alla deportazione. Con lo scoppio della rivolta araba, Jamal fu spostato a Gerusalemme e lasciò il posto a Abd el-Khaliq, detto anche “il macellaio di Bitlis”, sotto il quale la condizione degli armeni di Aleppo divenne insostenibile. Finanche i tedeschi presero le distanze da Costantinopoli.
Talaat Pasha ordinò la deportazione della famiglia Mazloumian a Mosul, una via senza ritorno. Ma grazie alle pressioni di Jamal, riuscirono a stabilirsi in Libano. Alla fine del 1917 fecero ritorno ad Aleppo, sotto i bombardamenti anglo-francesi, trovarono alloggiato Kemal Ataturk, gigante del nazionalismo anatolico e del laicismo musulmano.

La conferenza di Parigi del 1919
Un pianoforte si trovava all’ingresso al Baron mentre a Parigi si decideva la fine dell’Impero ottomano. Il turco Naim Bey, dilapidate le fortune accumulate da responsabile del campo di deportazione di Meskene, diventò capo cameriere. Naim aveva conservato gli originali degli ordini ricevuti da Costantinopoli che provavano la sistematicità dello sterminio. I documenti giunsero alla delegazione armena impegnata nella conferenza di pace a Parigi e furono utilizzati nel processo contro Talaat (tuttora rappresentano uno dei principali capi d’accusa contro l’establishment ottomano). Nel 1918, il verdetto della Corte marziale riconobbe responsabili dei crimini i due Gran vizir dell’epoca: Said Halim e Talaat Pasha.

I Giovani Turchi di Ataturk tirarono un sospiro di sollievo e, sulle macerie dell’impero, avviarono la costruzione del nuovo stato. A Parigi, la frammentazione della delegazione armena favorì i francesi che ottennero il mandato su Libano e Siria (all’Inghilterra toccarono Iraq e Giordania). Il sogno dell’indipendenza armena svanì: a nord c’era stata la rivoluzione russa e i sovietici inglobarono la neonata Repubblica armena. In Siria la resistenza ai francesi fu forte, ma questi si imposero con la forza delle armi. A nulla valse la Dichiarazione d’indipendenza pronunciata l’8 marzo del 1920 da re Feisal – presentato come eroe della rivolta – dal balcone della stanza 215 del Baron. Ad Aleppo la convivenza divenne presto cordiale, soprattutto dopo che la Francia manifestò il piano di dividere la Siria in quattro zone, con l’autonomia di Aleppo rispetto a Damasco, da sempre città rivale.

Il Baron ritorna agli albori
Nel 1931, oramai ventenne, il rampollo di famiglia Koko rientrò dall’American University di Beirut. Voleva fare il pilota di aerei, ma il padre Armen aveva deciso che doveva occuparsi dell’albergo e lo inviò per un lungo viaggio in Europa. Koko visitò raffinati salotti e i migliori alberghi del vecchio continente: la Tour d’Argent di Parigi, il Sacher di Vienna, l’Hungaria di Budapest, il Savoy di Londra. Rientrato ad Aleppo, fece del Baron quello che sul versante nord-africano era l’Hotel de la Poste di St. Louis du Senegal, riferimento di ogni famoso aviatore del tempo. Charles Lindbergh, il primo a effettuare il volo transatlantico da New York a Parigi, fu più volte ospite del Baron.

Koko, responsabile per la tappa ad Aleppo della transvolata Londra-Melbourne, fece gli onori di casa alla coppia Jim Mollison e Amy Johnson, the flying sweethearts. Esuberante e mondano, quando celebri clienti lasciavano l’hotel «presentava il Libro d’Oro per la firma di rito, (mentre) il vecchio Armen offriva, con una cerimoniosità un po’ d’altri tempi, il conto».

Aleppo, incontro di culture e religioni
In città coabitavano almeno una decina di diverse confessioni religiose e negli eventi ufficiali era un grattacapo conciliare la sensibilità dei dignitari politici e dei religiosi. Una volta, nel 1937, alla parata del 14 luglio organizzata dai francesi, il katolicos armeno, Ardavast Surmelian, abbandonò la tribuna dopo aver scoperto che il suo posto non sarebbe stato in prima fila. L’ambasciatore francese lo rincorse in strada, presentò le sue scuse e insistette per riportarlo indietro. Il patriarca accettò la prima fila, e rivolgendosi al capo del protocollo disse: «Dovresti sapere che rappresento gli armeni qui e dovresti sentirti in dovere, nel giorno della liberazione del tuo paese, di darmi il posto migliore, il posto che spetta a un popolo che ancora attende la sua libertà».

La seconda guerra mondiale e l’indipendenza della Siria
Aleppo era un luogo di terza linea per chi proveniva dai deserti della Libia e dell’Egitto. L’Alto Commissario francese in Siria si era schierato con il regime di Vichy e aveva garantito ai tedeschi l’utilizzo dell’aeroporto di Aleppo. Al Baron era un via vai di tedeschi finché gli inglesi bombardarono l’hotel (non ci furono grossi danni) pensando che nella cassaforte si custodisse dell’oro destinato a finanziare un colpo di stato in Iraq. La Gran Bretagna invase la Siria nel giugno del 1941. L’anno successivo, dopo una cena segreta con Churchill al Cairo, giunse al Baron Charles De Gaulle, generale delle forze francesi per la libertà. L’attesa per il discorso del generale era elevata. Si attendevano grandi proclami e Armen sarebbe voluto sprofondare quando un cameriere inciampò con un vassoio di calici riempiti a champagne proprio accanto all’ospite più importante!

Il 12 aprile del 1945, insieme al Libano, la Siria ottenne l’indipendenza. L’evacuazione dei reparti militari anglo-francesi tardò ancora un anno. Saad Allah Jabri, dello stesso gruppo di potere di Armen, fu eletto primo ministro, ma le speranze di rinascita degli aleppini e dei Mazloumian si spensero ben presto: “basta poco per scivolare da un grande futuro a un modesto passato”. Si svuotarono i saloni del Baron.

Dopo ogni golpe le cose vanno sempre un po’ peggio
La sconfitta siriana nella prima delle guerre arabe contro Israele (1948) segnò l’inizio di una catena di colpi di Stato. Con le elezioni del 1954, il partito socialista panarabo Ba’ath si affermò e si intensificarono i rapporti con l’Egitto di Nasser. I destini della Siria e dell’hotel furono in pericolo quando, nel 1956, l’Egitto nazionalizzò il canale di Suez provocando la reazione militare di Francia, Inghilterra e Israele. La Siria si schierò con i fratelli arabi mentre Urss e Usa favorirono il compromesso. Nulla sarebbe più stato lo stesso. La rottura delle relazioni con Francia e Gran Bretagna, significò la cancellazione della Siria dalle mappe del turismo europeo. Nel 1958, Egitto e Siria si unificarono nella RAU (Repubblica Araba Unita), che durò solo tre anni. Il Ba’ath teneva saldamente le redini del potere, una giunta militare si insediò nel 1963 mentre la diramazione irachena dello stesso partito prese il potere a Bagdad.

Un triste destino per il Baron
Il seguito degli eventi legati al Baron vide come protagonisti tribunali, aste, minacce di pignoramento e amministratori giudiziari, con i Mazloumian ridotti a semplici dipendenti. Quando una soluzione stava per avvicinarsi, gli eventi della storia non furono clementi. Nel 1970 il Settembre Nero in Giordania paralizzò ogni attività politica e burocratica anche in Siria. L’anno successivo, Hafez el-Assad, contrario a sostenere i guerriglieri palestinesi in Giordania, prese il potere, che conservò fino al giugno del 2000 quando il comando passò al figlio Bashar. A nulla valsero le commissioni nominate per sbrogliare la situazione del Baron. Nel 1973, con la Siria impegnata nella quarta guerra arabo-israeliana, il giovane Armen rientrò da Londra per lavorare nell’hotel, assunto come sostituto cuoco. Oggi Armen è titolare della gestione e continua la battaglia per la sopravvivenza. La guerra civile ha dato il colpo di grazia.

Oggi Aleppo
Non è più il prospero crocevia sulla via della seta e nemmeno più una caotica metropoli abitata da diversi milioni di persone. Dopo che il centro storico fu dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità (1986), numerosi imprenditori avevano cominciato ad investire nella tutela architettonica, promuovendo la nascita di nuovi boutique hotel stile Mille e una notte. Ma Aleppo oggi è un cumulo di macerie e migliaia di armeni hanno lasciato la città. Il Baron è oramai un modesto hotel di periferia che non serve più champagne e marron glacés, tenuto in vita dal ricordo di ogni aleppino delle sue gloriose gesta.

In questi giorni, violenti combattimenti continuano nel souk, il più grande mercato coperto al mondo, e nel resto della città. Gli scontri vedono opposti i ribelli – posizionati all’interno – e i soldati all’esterno. E ripenso ai Baroni di Aleppo: cosa ne sarà della Siria? Ripartirà come stanno facendo ancora una volta gli armeni?

Michele Camerota

Michele Camerota è di Scauri (Lt), laurea in scienze politiche, master in diritti umani, viaggia e lavora in quattro continenti come osservatore elettorale e affini. Saldamente legato alle sue origini.