La scelta di Angelina

La prima volta che ho sentito le parole “tumore al seno” avrò avuto tredici anni. La migliore amica di mia madre, una signora con cui ero praticamente cresciuta, che mi ha portato in vacanza, con cui ho condiviso cene, pranzi, estati, viaggi, insomma la vita,  ecco a questa signora era stata asportata la mammella sinistra a causa di un tumore. La sua vita, ma anche la mia, non fu più la stessa. La poverina cadde in depressione e non ci furono più vacanze, soprattutto al mare, per l’imbarazzo di doversi mettere in costume. Non ci furono però più neanche cene o pranzi in cui lei, ad un certo punto, non si chiudesse in bagno a piangere disperata, inconsolabile, una donna completamente diversa – fisicamente e psicologicamente – da quella bella e allegra che mi aveva fatto da vice mamma. L’ultima volta in cui ho sentito le parole “tumore al seno” è stato un anno esatto fa, in un sms in cui mi si annunciava la scomparsa di una collega a cui tutti, nessuno escluso, avevamo voluto un mondo di bene e ancora gliene vogliamo. In mezzo anni in cui tutti i ginecologi da cui sono stata hanno sempre insistito affinché – a causa della particolare natura dei seni abbondanti come il mio – mi sottoponessi alle pratiche preventive con scrupolo ancor maggiore di quello che tocca a ogni donna. Ovviamente non l’ho mai fatto: informandomi il giusto, mi sono convinta, troppo ingenuamente e troppo facilmente, che al giorno d’oggi con la prevenzione e le cure e i progressi della medicina di tumore al seno non si muore praticamente più. E lo so che mi sbaglio, lo so. Tutto questo per dire che ieri, dopo aver letto l’articolo del New York Times in cui Angelina Jolie racconta di essersi fatta asportare entrambi i seni per prevenire il rischio di ammalarsi di tumore, mi sono bastati 75 secondi per articolare il mio giudizio: ha fatto bene. Ha fatto bene a parlarne, non a farsi operare. Quella è una scelta troppo personale: non può e non deve essere giudicata. Il corpo è suo, il rischio è il suo (nel caso della Jolie alto: 87% di probabilità di ammalarsi dovuta a una alternazione del gene BRCA1), le conseguenze sono le sue. La diagnosi genetica preventiva è un’opzione, ognuna decide come crede. Parlare di come si può e si deve vivere normalmente dopo un tumore e una mastectomia però sì, è una cosa importante, e se lo fa una donna che di mestiere usa il corpo diventa ancora più importante. In una società ossessionata dalle tette, in un ambiente in cui le donne e le loro parti anatomiche sono continuamente analizzate, giudicate, ritoccate, photoshoppate per farle sembrare senza difetti, Jolie parla di cicatrici, di tubi, di ferite, di sangue. Le sue parole raccontano un corpo vivo e umano, non quello bidimensionale e falso dei giornali. Un corpo che si può ammalare, che è imperfetto, segnato, sfregiato, ma non per questo meno amabile o attraente. Sono affermazioni potenti. È come se un calciatore si fosse fatto tagliare un piede e stesse lì ad affermare: sono sempre uno sportivo. E infatti lo dice: «Non mi sento meno donna. Questa scelta non ha diminuito la mia femminilità». Se poi le parole non bastano ecco le foto. Dal 2 febbraio 2013 – giorno in cui racconta di essersi sottoposta al primo pre intervento – fino al 20 aprile – giorno in cui ha completato la ricostruzione – Jolie si è fatta vedere ufficialmente in pubblico tre volte, senza contare le paparazzate. La prima il 26 marzo, in Congo, dove si reca in quanto ambasciatrice Onu.  La seconda volta, il 4 aprile, parla a New York al Women in the World Summit. A questo stadio le sono già stati asportati entrambi i seni.  La terza l’11 aprile: è al G8 di Londra. Tre occasioni in cui Jolie appare come sempre meravigliosa e perfetta. Tre occasioni in cui – ignari di tutto – i media parlano della sua eleganza, di quanto è glamour, la analizzano per quello che è –  un sex symbol mondiale – ne giudicano l’eleganza, la magrezza, ne apprezzano la bellezza. Siccome niente di quello che fa Jolie è frutto del caso, credo che la vera prova di coraggio, il messaggio a tutte le donne che hanno la sfortuna di andare incontro a un tumore al seno sia qui, in queste foto: sentitevi femmine e femminili quanto e come prima, perché potete esserlo. Anzi, lo siete.

Simona Siri

Vive a New York con un marito e un cane. Fa la giornalista e ha scritto due libri: Lamento di una maggiorata (Tea, 2012) e Vogliamo la favola (Tea, 2013). Segue la politica americana, il cinema e le serie tv. Ama molto l'Italia e gli italiani, ma l'ha capito solo quando si è trasferita negli Usa.