La follia dell’Europa

Una volta, qui, l’ho detto così: secondo me solo Pierino Porcospino può salvare l’Europa. Me ne sono accorto vivendo fuori dal mio paese e viaggiando per il continente: ci sono molte cose che ci uniscono, ma non ci conosciamo abbastanza. Ogni volta che sento una filastrocca tedesca, una favola francese, un modo di dire particolare, mi rendo conto della straordinaria diversità europea (e di quanto questo sia anche spaesante).

E mi sono anche accorto – almeno questo mi sembra – di come questo continente e il suo grandioso progetto di integrazione – nonostante tutti gli impedimenti e impicci oggettivi e nonostante quello che raccontano i disfacitori professionali e interessati della tela dell’integrazione – siano naturalmente caratterizzati da un’unità complessa e da una fortunatamente irriducibile diversità.

Lo si vede in certe aree del continente che per storia propria sono delle grandi cerniere tra culture europee, dei grandi apparati digerenti di diversità, che la storia otto-novecentesca ha voluto vedere come frontiere, ma che sono sempre state (e continueranno a essere) degli spazi di integrazione.

È la lezione che mi ha insegnato Strasburgo, dove lavoro, e quella vastissima area renana che certo per un verso è stata limes, confine, ma per un altro verso è cerniera. Proprio in queste settimane ho chiesto ai miei studenti dell’università di Strasburgo di riflettere su un tema nel quale ci siamo imbattuti in un mio corso sul Rinascimento – Rinascimento che nel senso comune degli italiani è fenomeno esclusivamente nostro, ma che è invece un fenomeno europeo – e cioè quello della follia. Nel cuore stesso della razionalità dell’Europa della prima modernità, tra rinascite, tentativi di controllo della natura di vario segno, prima grande globalizzazione, viene sussurrato e poi prende forza il richiamo della follia.

Un vero bestseller europeo è proprio un poemetto alsaziano (e scritto in tedesco alsaziano) del 1494, stampato, ristampato, letto e riletto, tradotto in varie lingue e addirittura anche in latino, con un processo inverso a quello che ci si potrebbe aspettare, La nave dei folli, dello strasburghese Sebastian Brant, con le xilografie di Dürer. Il tono lì è carnevalesco e la follia è un po’ mondo alla rovescia, un po’ follia delle ambizioni umane, un po’ modo giocoso per integrare nell’ordine quel sentore di disordine che attraversa tutte le relazioni (Foucault qui non lo scomodiamo). Ma poi c’è anche la follia di Bosch, la sua Nave dei folli è dello stesso anno, ma il tono sembra miscelare insensatezza, allegria e inquietudine.

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Non voglio farla lunga, perchè è invece l’elogio della follia che mi interessa. Quello di Erasmo, l’olandese che amava l’Europa, che poteva stare dei mesi da Aldo Manuzio a Venezia, fare una capatina per caso a Bologna proprio quando entrava papa Giulio II con la sua armata, educare figli di re scozzesi, visitare Enrico VIII in Inghilterra, passare per le università parigine ma non amarle troppo, stringere amicizia con Thomas More e con tutti quegli intellettuali greci che dopo la fine dell’impero bizantino avevano popolato i circoli umanisti europei, capire che Lutero non aveva tutti i torti e che però forse qualcuno ne aveva.

Con Erasmo tutta l’Europa diventa una cerniera e la follia è tante cose: è la pazzia degli Stati dello stesso continente che si fanno la guerra in continuazione, è la pazzia di una ragione cinica che si vuole centro di ogni rapporto sociale e di ogni ambizione, ma è anche la pazzia dello slancio verso gli altri (chi farebbe figli se non fosse pazzo? si chiede Erasmo), la follia del ricostruire dopo ogni distruzione quotidiana.

Ecco, pensando all’Europa, in questi giorni di celebrazioni, forse l’idea che per prima mi viene in mente è la follia. La follia di Brant il renano, che è quella di un’inversione quotidiana di ruoli e di ambizioni, di una nave che fa temere il naufragio ogni momento; la follia di Bosch, inquieta e allucinata, che sembra nascondere mostri misteriosi pronti a manifestarsi. E soprattutto la follia di Erasmo, l’olandese, e renano, italiano, scozzese, inglese, che è anche la consapevolezza che la vera saggezza è il coraggio di imprese piccole e grandi allo stesso tempo. Se fosse questa follia la cifra dell’Europa?

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.