Impiegati

Nel romanzo di Lodovico Festa , appena uscito per Sellerio, un ingegnere comunista, che si chiama Mario Cavenaghi, ritrova, nel 2015, le carte di un’inchiesta che aveva condotto nel 1977 in quanto vicepresidente della commissione probiviri lombarda del Partito Comunista Italiano, e che l’aveva portato a essere una specie di poliziotto del Partito Comunista, in competizione con la polizia di stato, rappresentata da Francesco «Ciccio» Modena, braccio destro del commissario della zona Sempione. Il romanzo di Festa è popolato da segretari della federazione di Quarto Oggiaro che hanno dei completi viola-azzurrini che ricordano quelli che si vendevano al Gum di Mosca, un grande magazzino che dava sulla piazza Rossa, da ritratti di Lenin e di Gramsci e busti di Palmiro Togliatti, da intellettuali di origini cuneesi, «testoni, come tutti quelli che vengono da quelle parti», da funzionari di partito che si meravigliano del fatto che il mezzo grattacielo di via Melchiorre Gioia non l’avessero fatto «con quel bel stile imperiale che usano a Mosca», da segretari di federazione che, quando parlavano del tesseramento erano «incantati dal rito» che permetteva loro di «esorcizzare le paure, propiziare esiti felici», da biblioteche lombarde che conservavano «una raccolta della rivista “Oltre”, organo dell’associazione delle pompe funebri italiane».

Era un periodo in cui lo stadio San Siro era ancora «uno stadio-monumento spettacolare, a strapiombo sul campo. Chissà – si chiede Cavenaghi – se sarebbero mai riusciti a rovinare un edificio così perfetto con un’erba come un panno di biliardo?». E era un periodo in cui «mostrarsi troppo apertamente innamorati era considerato abbastanza disdicevole», quasi quanto «essere addirittura gelosi», e era un periodo che se il responsabile della sezione Esteri della direzione nazionale del PCI incontrava un padre gesuita, c’era il caso che il padre gesuita gli chiedesse: «Avete qualche legame con i guerriglieri comunisti dell’Indonesia che stanno infastidendo una nostra missione? Credo siano stati finanziati dai cinesi ma che abbiano qualche rapporto con Mosca e Hanoi. E mi scusi se passo subito dalle stelle alle stalle. Sa a chi mi posso rivolgere per il nostro seminario di Senago, città ora amministrata da voi, che vorrebbe metter su una bocciofila e incontra tante difficoltà?».
E c’era anche il caso che il responsabile della sezione Esteri, dopo aver rassicurato il gesuita, rispondesse che gli servivano informazioni sull’atteggiamento che il «Banco Bilbao aveva verso le cooperative comuniste spagnole, appena uscite dalla clandestinità», e «informazioni sicure sul comportamento di un necroforo» che si chiamava Tonio Ruvo e su suoi eventuali legami con la malavita.

provvidenza rossa

E era un periodo, a stare al libro di Festa, in cui i funzionari di partito avevan già chiarissimo, nel 1977, il fatto che la necessità di fare delle riforme sensate non era compatibile con «l’esigenza di portare a casa dei risultati a breve nelle prossime elezioni», e quindi perché mai avrebbero dovuto fare le riforme, per «farci fischiare» e «perdere il posto con cui do da mangiare ai miei bambini? E cosa vado a fare poi, il portiere in un caseggiato?».
E era un periodo in cui Cavenaghi, ingegnere comunista, quando incontrava i russo-sovietici si dispiaceva del fatto che «La vecchia eleganza zarista era stata sostituita da una generazione di figli di contadini che non si erano integrati a un’élite ma l’avevano bruscamente sostituita-soppressa senza avere il tempo e la volontà di imparare le buone maniere».
Cioè anche in Italia, a giudicare da Cavenaghi, si era realizzato, nel 1977, quel che Joseph Roth aveva trovato nella Russia del 1926 e che aveva raccontato nel suo Viaggio in Russia (pubblicato da Adelphi): «Invano ci si sforza nella Russia sovietica di salvare la reputazione rivoluzionaria senza nuocere alla cosiddetta edificazione dello Stato. La reputazione rivoluzionaria resiste soltanto finché ancora non procede l’edificazione dello Stato. Si potrebbe dire: quando Dio nella Russa Sovietica dà a qualcuno un impiego, gli dà anche una psicologia borghese. Con una creatura così borghese come è Dio secondo l’opinione di tutti i marxisti incalliti la cosa non mi meraviglierebbe. – scrive Roth – Ma quando è un potere rivoluzionario come quello dei Soviet ad assumersi la funzione divina di distribuire gli impieghi, allora non si può non stupirsi che nella Russia di oggi lo spirito piccolo-borghese da mezzemaniche determini in così larga misura la vita pubblica, la politica interna, la politica culturale, i giornali, l’arte, la letteratura e una gran parte della scienza. Tutti sono impiegati» (la traduzione è di Andrea Casalegno). Ecco. Nel Partito Comunista Italiano raccontato da Festa, uguale: tutti erano impiegati.

(Pubblicato su Libero)

Paolo Nori

Mi chiamo Paolo Nori, sono nato a Parma, nel 1963, abito a Casalecchio di Reno e scrivo dei libri; l'ultimo si intitola "I russi sono matti" (Utet 2019). Il mio blog è: paolonori.it.