Il risultato di Bali

Bisogna immaginarsela una sala grande come un campo da calcio, con tavoli stretti e lunghi in cui ci sono quattro posti per ognuno dei 159 paesi, che si tratti del Nepal, degli Stati Uniti o del Benin. Il senso plastico dell’impresa compiuta da Azevedo, e voluta con tenacia da Unione Europea, Stati Uniti, dal gruppo dei paesi più poveri che hanno ringraziato a più riprese gli sforzi del Direttore Generale, sta tutto in quella sala. Era dalla fine dell’Uruguay Round nel 1994, che diede inizio al WTO, che non si raggiungeva un accordo comprensivo sul commercio e la ragione sta lì: mettere d’accordo tutti quei paesi riga per riga su un testo ambizioso è stata una sfida sulla quale molti hanno dovuto gettare la spugna. Nei prossimi anni i passi avanti più significativi di integrazione saranno compiuti probabilmente con accordi bilaterali e plurilaterali. I primi riguarderanno grandi blocchi economici, a partire dalla partnership transatlantica su commercio e investimenti tra UE e USA. I secondi saranno conclusi da gruppi di paesi più volenterosi che si concentrano su un tema soltanto – come il TISA in discussione, sulla liberalizzazione dei servizi. Tuttavia, l’importanza di mantenere un foro multilaterale legittimato, forte e ambizioso, è da non sottovalutare per gli equilibri economici e geo-politici. È questo forse nel lungo periodo il risultato più importante di Bali, e non a caso la Cina più di altri ha voluto sottolineare, anche in chiusura, alle 10 del mattino dopo l’ultima nottata insonne, il suo contributo ad una chiusura positiva. Si sta aprendo una fase molto diversa dell’economia internazionale e avere un luogo in cui paesi diversi, con livelli abissalmente diversi di sviluppo, con culture profondamente diverse, possano non solo parlarsi ma raggiungere dei risultati concreti, è certamente di auspicio positivo.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_