Il primo dibattito tv sulle elezioni europee

Lunedì 28 aprile si è svolto a Maastricht, nei Paesi Bassi, il primo confronto televisivo (qui il video integrale) tra i candidati dei principali partiti che parteciperanno alle elezioni del 22-25 maggio per il rinnovo del Parlamento europeo. Si è trattato del primo esperimento di questo tipo da quando ci sono le elezioni europee: una novità che si accompagna al fatto che per la prima volta, in questa elezione, i partiti politici possono indicare sulla scheda elettorale il loro candidato alla presidenza della Commissione europea, che succederà al portoghese José Manuel Barroso nell’autunno 2014.

Su tredici partiti politici europei (quelli a cui aderiscono i partiti nazionali), sono stati cinque quelli che hanno nominato un candidato alla presidenza della Commissione europea. Al dibattito, a cui ne seguiranno altri nelle prossime settimane (qui il calendario con tutti gli appuntamenti) hanno partecipato Jean-Claude Juncker candidato del Partito Popolare Europeo, Martin Schulz candidato del Partito Socialista Europeo, Guy Verhofstadt dei Liberali e i Democratici, Franziska Keller dei Verdi (che hanno candidato anche il francese José Bové). Al dibattito non ha partecipato (per sua scelta) il greco Alexis Tsipras candidato della Sinistra Unitaria: Tsipras ha annunciato però che parteciperà al dibattito in programma il 9 maggio a Firenze.

Il dibattito televisivo di Maastricht è durato novanta minuti. Nello studio televisivo della catena satellitare Euronews, che ha organizzato la diretta dell’evento, c’erano settecento studenti. Sono stati discussi tre temi generali: l’economia dell’Unione Europea e l’utilizzo di risorse nei prossimi anni; cosa fare per frenare il diffondersi dell’euroscetticismo; quali dovranno essere nei prossimi anni le principali azioni di politica estera.

I candidati che hanno partecipato al dibattito televisivo
Jean-Claude Juncker
Jean-Claude Juncker è stato nominato candidato ufficiale del Partito Popolare Europeo, di centrodestra, al congresso di Dublino, in Irlanda, un mese fa. Al congresso ha preso 382 voti contro i 245 voti ottenuti da Michel Barnier, attuale commissario europeo per il Mercato Unico. Nel discorso tenuto dopo la nomina, Jean-Claude Juncker – ex primo ministro del Lussemburgo ed ex presidente dell’Eurogruppo – ha detto di essere «allergico» all’idea di una divisione degli stati membri dell’Unione Europea, senza distinguere tra nord e sud.

Jean-Claude Juncker è nato nel 1954. Ha sempre militato in partiti politici di centrodestra, ma è stato anche molto cauto nel perseguire soluzioni economiche di libero mercato, tanto da essere stato definito in passato “il più socialdemocratico” tra i membri del suo partito. È stato eletto per la prima volta alla Camera dei deputati del parlamento lussemburghese nel 1984 con il Partito popolare cristiano sociale. In vari governi che si sono succeduti negli anni a seguire è stato nominato ministro del Lavoro e delle Finanze. È stato primo ministro del Lussemburgo dal 1995 al 2013, mentre ha guidato l’Eurogruppo – il coordinamento che riunisce i ministri dell’Economia e delle Finanze degli stati membri che hanno l’euro – dal 2005 al 2013. Inoltre, è stato il governatore (per un mandato) della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Proprio per le sue esperienze passate, durante la campagna elettorale si è concentrato sopratutto sui temi che riguardano l’economia.

Martin Schulz
Martin Schulz è l’attuale presidente del Parlamento europeo. È nato nel 1955 a Hehlrath, in Germania. Prima di venire eletto al Parlamento europeo è stato per alcuni anni il leader del Partito Social Democratico tedesco (SPD). La sua candidatura è stata ufficializzata al congresso del Partito Socialista Europeo a Roma, il marzo scorso. Prima di iniziare la carriera politica Martin Schulz faceva il libraio, dopo aver lasciato la scuola senza finire il ciclo di studi. Si è iscritto alla SPD a diciannove anni, diventando poco dopo il presidente dei giovani socialdemocratici della sezione locale del partito. A 31 anni è stato eletto sindaco di Würselen, città in cui possedeva una libreria, rimasta aperta fino al 1994.

Nello stesso anno è stato eletto al Parlamento europeo, diventando poi il capogruppo dei deputati nel 2000 e successivamente presidente del gruppo nel 2009. L’elezione alla presidenza del Parlamento europeo risale invece al 2012. Durante la campagna elettorale Martin Schulz ha detto che la sua priorità, se sarà eletto alla presidenza della Commissione europea, sarà quella di creare nuovi posti di lavoro per i cittadini europei, di voler abbattere il tasso di disoccupazione giovanile (pari oggi a circa il 12 per cento) e di voler mettere fine ai salari definiti “iniqui”. Il suo programma politico è concentrato soprattutto sulla riduzione delle diseguaglianze economiche e sociali, tramite la lotta contro l’evasione fiscale e una riforma del sistema bancario in Europa.

Guy Verhofstadt
Guy Verhofstadt è stato scelto come candidato dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (ALDE) durante il congresso che si è svolto a Bruxelles il primo febbraio scorso. Guy Verhofstadt è nato nel 1953 a Dendermonde, in Belgio. Nel 1985 è stato nominato vice primo ministro, all’età di 32 anni: venne soprannominato “Baby Thatcher” a causa della sua ideologia per il libero mercato. Le sue posizioni sono diventate negli anni più moderate ed è stato primo ministro del Belgio dal 1999 al 2008.

È la terza volta che si candida alla presidenza della Commissione europea: aveva avuto qualche buona possibilità di essere nominato nel 2004, dopo la presidenza di Romano Prodi, ma il suo nome fu osteggiato da alcuni stati membri, tra cui l’Italia e il Regno Unito. Ci ha riprovato nel 2009 ma le sue posizioni sono sempre state definite troppo federaliste; nonostante ciò ha continuato a promuoverle, anche durante questa campagna elettorale. Come aveva annunciato nel discorso seguito alla nomina, Guy Verhofstadt si è concentrato soprattutto nel criticare i temi degli esponenti e dei partiti cosiddetti “euroscettici”, promuovendo una visione federale dell’Europa.

L’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa ha nominato anche un vicepresidente del partito: si tratta di Olli Rehn, attuale commissario europeo per l’Euro. I due si erano accordati prima del congresso, e a Rehn era stata promessa la carica di vicepresidente in caso di nomina di Guy Verhofstadt. Molto simpatica è stata la citazione dello stesso Rehn, che ha indicato se stesso e il suo alleato come i «Simon and Garfunkel della politica europea», facendo riferimento al duo di musicisti statunitensi Paul Simon e Art Garfunkel.

Franziska “Ska” Keller
Franziska Keller, conosciuta da tutti come Ska Keller, è uno dei due candidati dei Verdi: l’altro candidato è il francese José Bové. I Verdi hanno deciso di nominare due candidati, un uomo e una donna, per la parità di genere. Franziska Keller è nata in Germania nel 1981 ed è stata eletta al Parlamento europeo nel 2009, all’età di 27 anni.

Ha iniziato la sua carriera politica nella federazione dei Giovani Verdi di Germania. Tra i due candidati dei Verdi, Franziska Keller rappresenta sicuramente la parte “più moderata”, e già in alcune occasioni ha dovuto fare da mediatrice, nel confronto politico, rispetto alle posizioni più radicali di Bové. Tra l’altro, in caso di nomina alla presidenza della Commissione europea non è chiaro chi dei due sarà il presidente o se ci sarà un co-presidente.

I contenuti del dibattito
I temi affrontati dai candidati, con qualche piccola e studiata eccezione, sono stati quelli ripetuti costantemente in queste settimane di campagna elettorale. Jean-Claude Juncker, in linea con la sua impostazione economica, ha specificato che vuole battersi per «un’Europa in grado di creare nuovi posti di lavoro e per la crescita, senza spendere soldi che non abbiamo». Su questo punto è stato attaccato dagli altri tre candidati, che hanno criticato il suo punto di vista, figlio delle politiche economiche di questi anni. E Jean-Claude Juncker ha risposto: «Sono favorevole a finanze pubbliche sane, perché non c’è crescita senza un risanamento delle finanze pubbliche».

Martin Schulz, candidato del Partito Socialista Europeo, ha giocato il ruolo dell’oppositore. D’altronde negli ultimi cinque anni la maggioranza parlamentare – come numero di seggi – è appartenuta al Partito Popolare Europeo. Non bisogna dimenticare però che Schulz è uno degli eurodeputati con più esperienza, essendo stato eletto al Parlamento europeo per la prima volta più di vent’anni fa. E quindi, in tutto questo tempo e insieme al suo gruppo, Schulz è stato co-protagonista di alcune delle decisioni più importanti, in campo economico, a cui sono giunte le istituzioni europee.

Schulz ha insistito molto nel descrivere il candidato dei popolari europei (che negli ultimi sondaggi sono dati in leggero vantaggio rispetto al suo partito) come uno dei responsabili della gestione economica degli ultimi anni. «Un’intera generazione ha pagato il prezzo di una crisi creata da persone irresponsabili», ha detto Schulz, che ha incentrato il suo discorso sulla battaglia contro le diseguaglianze sociali: «Ci sono persone che fanno miliardi e non pagano le tasse. Io non voglio che siano sempre gli stessi contribuenti a pagare». Altro punto del programma del Partito Socialista Europeo è quello della creazione di nuovi posti di lavoro: Schulz ha spiegato che devono essere investiti più soldi per aiutare le persone a trovare lavoro, elaborando un programma di crediti per le aziende che assumono i più giovani.

Guy Verhofstadt non ha fatto invece distinzioni tra i candidati dei due partiti maggiori e ha insistito sull’alternativa liberale, definita come l’unica via possibile per una ripresa dell’economia: «Ci sono colleghi qui che vogliono creare più debito, quando invece abbiamo bisogno di una maggiore integrazione come l’unione bancaria». L’approccio di Guy Verhofstadt è sembrato il più deciso, se non altro per la sua convinzione (ripetuta in tutti questi anni) di una visione dell’Europa come di una federazione di stati più che di un “superstato”: «Abbiamo bisogno di un mercato unico con meno vincoli e con maggiori politiche comuni», ha spiegato, «non solo in economia ma anche nelle politiche energetiche e nella difesa».

Franziska Keller ha avuto forse l’approccio meno convincente: si è concentrata, in più occasioni, a ribadire che il suo partito vuole «un’Europa più democratica, che si occupi delle persone», anche in questo caso senza entrare nel dettaglio di proposte o programmi specifici. Franziska Keller è stata anche la prima a tirare fuori il tema del cosiddetto “euroscetticismo”, citando «partiti di centrodestra che usano slogan e proposte di estrema destra». Guy Verhofstadt, continuando sulla stessa linea, ha citato il caso che ha riguardato Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, incalzando su questo punto il leader del Partito Popolare Europeo a cui Forza Italia afferisce: «Berlusconi in realtà è un euroscettico, che vuole lasciare l’Euro».

Ultimamente Jean-Claude Juncker è stato costretto a dover gestire, anche a causa di alcune esternazioni all’interno del suo partito, le posizioni di alcuni esponenti europei che appartengono al PPE su temi che riguardano l’Euro e l’immigrazione. La situazione è molto particolare: ricordiamo che Forza Italia ha un ruolo fondamentale per i voti che si riversano nel Partito Popolare Europeo. Inoltre, al di là di alcune dichiarazioni di Silvio Berlusconi sulla moneta unica, ancora più problematico è stato gestire la posizione di Viktor Orbán. Il primo ministro ungherese – che ha recentemente ottenuto un nuovo mandato – ha fatto approvare negli ultimi anni alcune riforme costituzionali molto contestate, giudicate antidemocratiche dalla stessa Unione Europea. Incalzato su questi due punti da Verhofstadt, Jean-Claude Juncker ha ribattuto: «Sì, ci dobbiamo coordinare meglio, ma io non condivido affatto certe prese di posizione. Noi popolari non formeremo mai una coalizione con l’estrema destra».

Oltre che sulla questione monetaria e su quella dell’immigrazione, Jean-Claude Juncker è stato attaccato (da Schulz) su un altro punto a lui molto caro, il salario minimo: «È giusto sostenere chi guadagna poco e infatti io sono a favore di un salario minimo in tutti i paesi d’Europa», aveva detto Juncker. Tutti e quattro i candidati si sono invece detti “teoricamente” favorevoli all’adozione degli Eurobond, un tipo di obbligazione “collettiva”, cioè titoli di Stato garantiti da tutti i paesi che fanno parte dell’euro. Su questo punto si discute da anni, ma come ha detto Juncker «servono delle precondizioni che non si realizzeranno nei prossimi cinque anni». Sulla stessa questione Schulz ha detto: «Bisogna essere realisti, non c’è una maggioranza a favore», riferendosi probabilmente allo stallo del dibattito che c’è su questo tema in Germania, il suo paese.

Un punto di scontro tra i candidati è stato quello sui rapporti con la Russia, a seguito delle ultime vicende che hanno riguardato la situazione in Ucraina e in Crimea. Jean-Claude Juncker ha detto che «non è accettabile il comportamento della Russia con l’Ucraina» e di voler puntare «sulle sanzioni per difendere i nostri valori». Al riguardo Schulz ha avuto forse l’approccio più realistico: «Dovevamo pensarci prima. A Vilnius quando l’Ucraina ci ha chiesto più soldi per firmare l’accordo d’associazione non glieli abbiamo voluti dare», ha detto.

Com’è andato il dibattito
La decisione di organizzare un dibattito televisivo ha rappresentato, almeno nelle intenzioni originarie, uno strumento voluto dalle istituzioni europee per cercare di coinvolgere il numero più alto possibile di cittadini nella campagna elettorale, in vista del voto del 22-25 maggio, sperando nello stesso tempo che il dibattito potesse rappresentare uno spunto per i mezzi di comunicazione di riprendere temi e discorsi dei principali partiti politici.

Obiettivamente, la forma del dibattito televisivo ha presentato alcuni aspetti innovativi, come forma e come contenuto: ogni candidato aveva trenta secondi per rispondere alle domande degli studenti dell’università europea di Maastricht presenti in studio, rispondere alle domande via Twitter e a quelle di due conduttori che non si sono obiettivamente impegnati troppo a incalzare i candidati.

Alla fine, si sono ascoltati dei piccoli monologhi e frasi a effetto, con un linguaggio politico standard, che non ha lasciato il segno. Insomma, se il dibattito poteva rappresentare uno strumento utile per i cittadini (è stato tradotto in contemporanea in tredici lingue diverse), il modo in cui è stato condotto e affrontato dai candidati, non è riuscito a coinvolgere i cittadini europei come si sperava.

Quanti hanno seguito il dibattito
Il dibattito tra i candidati alla presidenza della Commissione Europea è stato molto seguito su Twitter: in totale i tweet inviati durante il dibattito con l’hashtag #EUdebate2014 (appositamente creato per l’evento) sono stati circa 45mila. Gli organizzatori del dibattito hanno spiegato in un comunicato che l’hashtag è stato “top trending” in sette paesi europei: Belgio, Germania, Paesi Bassi, Irlanda, Austria, Italia, Francia. Gli spettatori in diretta streaming, secondo dati di Euronews, sono stati invece circa 70mila.

Questa la foto che si sono fatti i quattro candidati alla fine del dibattito, postata su Twitter.

 

Il prossimo dibattito tra i candidati è in programma il 9 maggio a Firenze.

Francesco Marinelli

Giornalista, qui per parlare di Europa, su Twitter è @frankmarinelli