Il mondo digitale a grandi linee

Non vado a correre: al massimo cammino. Non vado in bici dentro certe tutine attillate in tinta con gli occhiali e il casco. Non nuoto in piscina: a parte qualche bagno d’estate quando è caldo. Non ho intenzione di monitorare il mio battito cardiaco dal mattino alla sera. Non mi interessa analizzare le fasi del sonno. In altre parole, fin dall’inizio, l’Apple Watch e, più in generale, i molti fitness band e smartwatch che sono in commercio da qualche anno, non mi hanno affascinato granché. Per un istante brevissimo quando Apple ha presentato il suo “orologio” qualche anno fa ho cercato di convincermi sul suo insostituibile ruolo di annunciatore da polso delle notifiche del cellulare nella tasca, poi ovviamente ho detto, ok sono un Apple fan un po’ scemo ma non così scemo. Così ho seguito gli sviluppi dell’orologio di Apple con il distacco che dedichiamo alle cose che non ci interessano, sempre più convinto che il mercato di riferimento del Watch fosse quello delle moltissime persone interessate alla forma fisica ma certamente non quello di gente come me.

Ora che Apple ha provato a tagliare il cordone ombelicale fra Watch e iPhone con la nuova versione 3 versione dotata di connettività LTE le cose sono un po’ cambiate. Non tanto e non solo perché adesso finalmente chi andrà a correre/nuotare/pedalare potrà lasciare a casa lo smartphone, ma perché sarà possibile anche immaginare nuovi utilizzi.

La grande maggioranza delle recensioni che ho letto in questi giorni dicono che il nuovo Watch dotato di connettività propria (legata al proprio numero di cellulare e al proprio piano telefonico) è un oggetto bello e costoso: soprattutto tutti concordano che i 10 dollari al mese che i due principali operatori USA (ATT e Verizon) chiedono al momento per instradare il traffico dati dal telefono (lasciato a casa) all’orologio (al polso, altrove) sono una cifra esorbitante che dovrà essere rivista. Nonostante questo devo confessare che per la prima volta l’idea di acquistare l’orologio di Apple mi è sembrata in qualche maniera convincente. E questo per una ragione semplice e un po’ curiosa. Perché uso troppo il telefono e vorrei iniziare, di tanto in tanto, a lasciarlo a casa anche se non sto andando a correre o a nuotare. Perché in un certo numero di occasioni che non so quanto frequenti ma che immaginerei in aumento, vorrei essere meno connesso a Internet.

Pensare di essere totalmente offline per molte ore al giorno è una ipotesi che non prendo in considerazione per molte ragioni, tuttavia esserlo di meno, per ragioni tecnologiche di forza maggiore, potrebbe essermi utile. Io in genere non telefono granché ma con Apple Watch potrei comunque ricevere chiamate vocali e messaggi. Rispondere ai messaggi è complicato, lo dovrei fare con brevi frasi predeterminate o usando l’odiato Siri. Quindi risponderei meno. In ogni caso una comunicazione importante mi raggiungerebbe lo stesso. Il Watch non ha un browser web, quindi non passerei i momenti di pausa (quelli nei quali estraggo quasi senza accorgermi il telefono dalla tasca, circa 200 volte al giorno) seguendo link o leggendo articoli in giro. Magari inizierei a guardarmi intorno un po’ di più. Vedrei lo stesso la posta ma risponderei solo se la mail è davvero urgente e importante.

Insomma il costoso gioiellino di Apple potrebbe essere una specie di piccolo controllore della mia attuale bulimia connettiva. Forse potrebbe insegnarmi a gestire diversamente tempi e priorità, visto che essi oggi sono affidati allo schermo di uno smartphone che è tanto efficiente quanto totipotente. Così dopo la generazione del “mobile first” che tanti impercettibili danni ha creato alla nostra generazione forse potrei passare a quella del “Watch first”: il mondo digitale riassunto a grandi linee, quello analogico, di conseguenza, molto più espanso di fronte a me.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020