I disegni di Doonesbury

Visto che dell’anniversario di Doonesbury avete già letto qui sul Post, mi limito a ricamare su un aspetto: lo stile grafico di Garry Trudeau.
Il successo culturale di questa strip è infatti spesso confinato alla qualità – giornalistica, narrativa, sociologica – del lavoro dello “scrittore” Trudeau. Quasi fosse un giornalista o un narratore cui è capitato, un po’ per caso, di essere anche un disegnatore.
In realtà le cose sono ben diverse: Trudeau è un disegnatore coi fiocchi, e la sua abilità nel costruire scene e simboli fatti di segni grafici è stata decisiva, persino crescente nel tempo. Prendiamo 4 strisce, una per decennio, come ha fatto l’editore Andrews McMeel per promuovere il volume celebrativo “40: A Doonesbury Retrospective“, e giochiamoci un po’.

All’inizio – nella serie “Bull Tales” che nel 1968 fa da terreno di prova per Doonesbury – il segno è diversissimo dallo stile attuale: meno definito, steso più per schizzi, con corpi affusolati e figure dai contorni sfumati nel bianco della vignetta. Come ha scritto lo storico delle strips R.C. Harvey, “Doonesbury inaugurò l’era delle strip mal disegnate”. Il disegno è infatti impreciso – programmaticamente, però: per Trudeau il riferimento è alla naturalezza del maggiore cartoonist politico degli anni ’60 e ’70, Jules Feiffer, e al suo stilizzatissimo e nervoso segno per “Sick, Sick, Sick” o “Explainers“.

Con la pubblicazione quotidiana, dal 1970, avvengono due piccoli ma significativi cambiamenti. Da un lato Trudeau guarda qua e là a un grande delle strisce: lo Schulz dei Peanuts, che allora avevano iniziato a spopolare davvero, e di cui qualche indizio si vede nella diversa stilizzazione dei volti, lievemente arrotondati (guardate gli occhioni del bimbo). Dall’altro entrano in scena nuovi personaggi decisamente iconici, come Joanie Caucus e le sue occhiaie da donna di mezza età affaticata dalla vita.

Nel corso degli anni ’80, come raccontato da Brian Walker nel bel volume “Doonesbury and the Art of G.B. Trudeau“, si consolida la collaborazione agli inchiostri con Don Carlton (eh già, anche Trudeau non lavora da solo), che tende ad accrescere la precisione della linea, sia marcando i contorni che arricchendo i dettagli. È così che, verso la fine del decennio, i retini tipografici aggiungono a Doonesbury un feeling più contemporaneo, fatto di texture più moderne e rigorose – dagli abiti agli sfondi – e in grado di suggerire anche una maturità più “strutturata” dei personaggi ormai tutt’altro che ragazzini al college.

Al ritorno dal periodo sabbatico nel 1984, e fino a tutti gli anni ’90, la componente grafica è così importante che, come ha scritto Douglas Wolk, “Trudeau ormai mette generalmente in scena le sue strisce in modo che in ogni vignetta appaia qualcosa di visivamente rilevante”. Per dirne una, molto spesso la terza delle quattro vignette, che crea la sospensione decisiva prima del ‘finalino’, è una silhouette.

Con gli anni 2000 Trudeau da un lato usa sempre più spesso primissimi piani, e dall’altro costruisce le sue scene in un modo davvero opposto ai debutti: non più vignette simili ripetute (e sorrette quindi dalla forza del solo testo scritto), ma rapidi cambi di inquadratura e punti di vista. Una sensibilità da esperto regista.

Dunque occhio (appunto) ai festeggiamenti: non battiamo le mani a Trudeau solo perché sa raccontare alla grande, ma anche perché – l’ho già detto? – è un disegnatore coi fiocchi.

Guida per scoprire Doonesbury nel 2010

Matteo Stefanelli

Studioso di media, consulente editoriale e fumettologo. Lavora presso OssCom - Università Cattolica. Gli piace Milano, viaggiare e usare avverbi come Fumettologicamente