I Bossi passano

Non si illuda chi pensa che la fine di Bossi sia anche la fine della Lega. Parrà strano, ma la Lega è la più vecchia formazione politica che c’è in Parlamento, i temi che ha anticipato riempiono a tutt’oggi l’agenda politica, mentre il radicamento sul territorio – il mitico radicamento sul territorio – è ancora lì, e continuerà a esserci. Bossi non è finito per niente – e non sarà finito sinché vive, conoscendolo – ma soprattutto le idee restano mentre gli uomini passano, per dirla in maniera nobile. Appartiene agli uomini la «pancia», l’umore, l’impulsività, la vicinanza alla gente della fantomatica Padania (che non esiste fisicamente ma esiste politicamente, rassegnatevi) così come molto umane sono altre invenzioni di tutti questi anni: dal «Dio Po» al Parlamento del Nord, dal «sacro prato di Pontida» alle camicie verdi, insomma tutta la paccottiglia che è invecchiata e forse finita con Bossi, quella sì: ma le idee e i temi non invecchiano, e chiunque pensi che la Lega non ne abbia avute non ha ancora capito una verità semplice: che nessuna delle spinte che hanno fatto nascere il leghismo, in Italia ma anche in Europa, è ancora venuta meno. Il «popolo del Nord» esiste. E chi li liquida solo come razzisti è un mentecatto.

L’ha capito da un pezzo Berlusconi, un nordico che un rapporto con Bossi lo cercherà sempre: sa che la Lega a cavallo degli anni Novanta ha abbattuto un Paese – insieme alle inchieste giudiziarie – e che l’ha spinto verso una trasformazione enigmatica e senza ritorno; sa, Berlusconi, che la Lega ha raccolto un furore di popolo storicamente radicato che ha messo al centro l’autonomia, il liberismo, il popolo delle partite IVA, il mitico federalismo, il lavoro e l’orgoglio di un ceto produttivo fatto di artigiani e operai e piccoli imprenditori. Da un lato un Nord orgoglioso, dall’altra «Roma ladrona» con le sue pastoie burocratiche, lo statalismo sprecone, le tasse strapagate per mantenere un Sud parassita: cose che un tempo sparava solo Bossi e che oggi ritrovi nei libri di Luca Ricolfi, leggere per credere. Si può metterla come si vuole, ma la Lega ha sempre avuto una forza: quella di avere sostanzialmente ragione, mentre tutto il resto è dipeso da quanti fossero disposti a dargliela. Molti non l’hanno fatto. La sinistra, il localismo e il decentramento, lo deve ancora elaborare. La destra di Fini si è data. Altri hanno atteso per vent’anni che la Lega si frantumasse: e invece hanno visto frantumarsi tutti i partiti storici del Dopoguerra.

Tutto questo nonostante la stessa Lega, in vent’anni, abbia ottenuto praticamente niente: come tutti gli altri, del resto. Si è creata, al Nord, una piccola classe dirigente composta di tanta «brava gente» disseminata in comuni e province decentemente amministrate: ma non è che prima fossero proprio tutti dei ladri. Mentre il mitico federalismo, soprattutto quello fiscale, è parso solo una lunga marcia verso un futuro incerto, comunque diluito negli anni, intangibile, indefinito. La percezione di spreco – le false pensioni d’invalidità, i privilegi delle varie caste politiche e para-statali – è rimasta identica. Le tasse? Peggio mi sento: l’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre (Cgia) ha appena fornito i dati, aggiornati alla cura Monti, dei carichi fiscali poggiati sugli abitanti dei comuni; i più tartassati tanto per cambiare sono i lombardi (nei primi 10 posti della classifica ne occupano 8) e al vertice della graduatoria troviamo Varese e Lecco, terre leghiste o ex leghiste; seguono Bergamo, Monza, Bologna, Sondrio; mentre a chiudere, viceversa, ci sono tre capoluoghi del Sud: Caltanissetta, Agrigento e Lanusei. Per capirci: Varese ha un carico fiscale di 1.714 euro e Lanusei di 671. Un dato che pare assurdo al di là di ogni Irpef e di ogni maggior benessere, soprattutto in termini di servizi restituiti. Un dato che ha una sua ambiguità politica: se dopo vent’anni gli esiti sono questi, da una parte, un elettore nordista in effetti potrebbe mandare a quel Paese una Lega peraltro martoriata dagli scandali: i sondaggi non a caso la danno in rapida discesa e alle scorse amministrative Bossi ha perso Milano e addirittura Gallarate. Questo sulla breve distanza. Ma nel tempo, d’altro canto, specie se la crisi economica continua a galoppare, lo stesso elettore potrebbe anche chiedersi per chi altri in definitiva dovrebbe votare. Le inchieste giudiziarie? Quelle sono come gli uomini: passano. Lo sa bene lo zoccolo durissimo di leghisti che non abbandonerebbe Bossi neppure se predicasse il nazismo: ed è un nucleo che vale almeno il 4 per cento, mentre tutti gli altri elettori – molti dei quali sono operai, pensionati ed ex comunisti – continueranno a prendere e a lasciare il partito come accade da lustri. Così faranno: anche se Bossi non ci fosse più. Anche perché Bossi, a dirla tutta, non c’è già più da anni. La Lega invece è lì. Per Bossi. Nonostante Bossi.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera