Ho perso la patente

Ho perso la patente italiana e sono residente a Londra. La conclusione (suffragata da altri episodi) di oltre dieci anni di residenza oltralpe è che la globalizzazione vale per i miliardari e i diplomatici: per le persone normali basta un niente e si finisce in un vortice burocratico costoso e infernale. Vi racconto questa, almeno mi passa la stanchezza da 12 fatiche di Asterix.

A fine luglio ho perso la patente il giorno prima di tornare a Londra. Era una patente antica, rosa, di tessuto non tessuto scolorito e un po’ sfilacciato, con la foto dei miei 18 anni. Che già la malinconia per la perdita basterebbe. L’ho lasciata in uno stabilimento di Capalbio per affittare il pedalò – l’ultimo giorno il mare era molto calmo e, ahimè, l’avevo promesso a mio figlio. Quando sono tornato a prenderla, la patente non c’era più. C’era invece la patente di tale S.C. Sospetto che S.C. abbia preso la mia per errore e non se ne sia mai accorto, o forse no, forse è stata rubata da Arsenio Lupin. Ad ogni modo, sono dovuto tornare a Londra.

A Londra la polizia non accetta la mia denuncia perché l’ho persa in Italia: la globalizzazione delle cose perdute non c’è. Torno in Italia inaspettatamente e ne approfitto per cercare di risolvere il guaio, alla polizia accettano la denuncia e mi dicono di andare in motorizzazione perché, dato che sono residente a Londra, se inoltrassero loro la comunicazione di smarrimento (come fanno di solito – se fossi residente in Italia il post finirebbe qui), la motorizzazione mi manderebbe la patente al vecchio indirizzo di Roma che lasciai anni fa. “Ma non posso darle un altro indirizzo?” – “No”. Però la polizia – che ha controllato sullo schermo che in effetti ho la patente – mi rilascia un permesso temporaneo, rigorosamente non duplicabile, di guida.

Alla motorizzazione non mi possono rifare la patente perché sono residente all’estero. Al solo accenno di spiegazione mi dicono che è così, lo dice la circolare, non possono farla deve farmela lo stato UE in cui risiedo. Non me la possono fare neanche se gli chiedo di non spedirmela, che posso ritornare apposta nei loro uffici a ritirarla. Mi fanno però un attestato di possesso di patente, stampando tutti i dati che hanno nel computer (date degli esami, validità, numero patente, 28 punti, eccetera) dati che messi in una stampante da 200 euro potrebbero far uscire una patente in 3 minuti. Non mi possono dare una copia della patente, ma possono rilasciarmi un documento che dice che ho la patente. Se ci pensate è una cosa talmente folle da essere geniale. Mi dicono di andare al consolato.

Vado sul sito del consolato dove scopro che questo attestato di possesso di patente assieme alla denuncia di smarrimento vanno ora tradotti da un traduttore certificato (di cui ignoro per ora il costo, ma immagino non irrisorio) poi devo mandarli alla motorizzazione inglese assieme al mio passaporto per avere una patente UK. La motorizzazione inglese dice che ci mette un mese e poi mi rimandano a casa patente e passaporto. Ma io non posso stare senza passaporto.

Il consolato ha la soluzione: devo prima farmi una carta d’identità valida per l’espatrio, che devo far tradurre (sic! Sarà bello leggere una traduzione di carta d’identità) dal medesimo traduttore certificato di cui sopra e poi mandarla agli inglesi invece del passaporto. Leggo sul sito web del consolato che ci vogliono almeno 8 settimane per avere la carta d’identità, e comunque che per richiederla ci vuole l’assenso di mia moglie perché ho prole minorenne. A questo punto vi confesso che ho leggermente perso la pazienza. Infatti, siccome mia moglie non è italiana, non basta una dichiarazione scritta con fotocopia di documento da allegare alla domanda di carta d’identità, ma serve una sua dichiarazione di assenso fatta di pirsona pirsonalmente alla presenza dell’ufficiale del consolato, che dice che io posso avere la carta d’identità. Su questo apro una parentesi. Infatti, mi sono sfogato con un paio tweet sul tema che mi hanno messo a parte della straordinaria logica ubriaca di non so quale funzionario pubblico sul tema “carte d’identità per genitori”.

Scopro da amici vari che il permesso dell’altro genitore per avere la carta d’identità o il passaporto è motivato dal pericolo di fuga in caso di separazione: chi paga gli alimenti? Sospendiamo per un momento l’assurdità di un permesso dato una volta sola sulla fiducia, nonché il fatto che se la logica avesse alcun senso al momento della nascita del primo figlio bisognerebbe obbligare i genitori alla consegna di passaporti e patenti validi per l’espatrio, e sospendiamo pure il fatto che il diritto alla mobilità è, diciamo, costituzionale.  Questa richiesta di consenso nel mio (e altri) casi è fatta per la richiesta (non il rinnovo) di una nuova carta d’identità in un consolato estero che io posso aver raggiunto solo se dotato di passaporto. Non so se è più geniale questo o la motorizzazione che non fa la patente ma il certificato di possesso di patente sì.

Per la cronaca, nelle discussioni online, amici in Italia con prole testimoniano di aver rifatto passaporti o carte d’identità senza assensi dell’altro genitore – mentre altri testimoniano la richiesta di assenso. Quindi certamente deve esserci una discrezionalità anche nell’applicazione della non-logica. Infatti, peggio di una logica distorta e complicata c’è solo un logica distorta, complicata e incerta.

Per tornare al tema principale, dopo due visite ai commissariati, due alla motorizzazione (alla prima c’è il bollettino postale – poteva mancare? – da pagare) dovrò andare con mia moglie al consolato per chiedere la carta d’identità, aspettare otto settimane, andare dal traduttore certificato a far tradurre tutte le scartoffie, spedire tutto alla motorizzazione inglese e aspettare un mese. Il tutto per avere un documento la cui esistenza e legittimità è a portata di click di tutte le forze di polizia e burocratiche del paese.

Morale: se avete la patente e vivete all’estero tenetela da conto e dite a vostro figlio di quattro anni che il pedalò è noioso e fa troppo ventesimo secolo.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_