Hillary Clinton, Urania e David Bowie

Avete sentito la battuta pronunciata da Hillary Clinton nel dibattito con Bernie Sanders, l’altro candidato alle primarie democratiche? Alla domanda di un giornalista sul marito, Bill, la candidata ha risposto: «comincerà a darmi consigli dal tavolo di cucina, poi vedrò se andremo oltre…». Ma l’ha detto con un sorriso, non come avrebbe potuto dirlo Donald Trump di una donna.

Qualche giorno fa leggevo su internet di una mostra, ospitata presso la galleria museo Ar\Ge Kunst di Bolzano, dal titolo Many maids make much noise, dell’artista inglese Olivia Plender e curata da Emanuele Guidi. In realtà la mostra, aperta fino al prossimo 13 febbraio, mi era già stata segnalata in coda a un messaggio: “Dovresti vederla”.

Forse perché mi piacciono i giornali, specie la vecchia e vecchissima stampa. Il lavoro di Olivia Plender parte dallo studio del movimento delle Suffragette e del Women’ Social & Political Union, organizzazione protofemminista nata a Manchester nel 1903, su cui è stato girato un film, in uscita in Italia proprio l’8 marzo. In particolare Plender è stata conquistata dal ritrovamento, nell’archivio della Woman’s library di Londra, di una vecchia pubblicazione, Urania, fondata da un gruppo di suffragette nel 1915 e diffusa privatamente, tra amici e sodali, fino al 1940. Urania si spinse oltre le questioni dell’emancipazione femminile. Fu la prima rivista inglese “a produrre una discussione culturale e politica sui temi di genere e su istanze di individui e comunità lesbiche e gay”, leggo sul sito di Ar\Ge Kunst. Ma è corretto parlare di “rivista”? Vista la modalità di circolazione, forse Urania somigliava più a una moderna newsletter. Il nome Urania, nella metafora, è quello di un luogo in cui le categorie di “maschio” e “femmina” non esistono. E in effetti, tempo fa, avevo già sentito pronunciare il termine Uranista: mi era stato menzionato dal comico Maurizio Milani. Mi disse che si trattava di un sinonimo ottocentesco per “omosessuale”. Il che connotava il termine in modo molto lirico e mitologico.

URANIA

Urania, come una sorta di agenzia giornalistica o di rivista Internazionale ante litteram a vocazione LGBT, raccoglieva dalla stampa mondiale – e da fonti di vario genere – episodi di cronaca e notizie su omosessualità, travestitismo, ermafroditismo, crossdressing. L’aspetto interessante, di cui ignoro la ragione, è che gli articoli venivano pubblicati “in quasi totale assenza di commento editoriale”. Sfogliando, si trovavano notizie come questa:

«Dopo la morte per avvelenamento di Raoul Ruaix Suarez, per 18 anni impiegato del Ministro dei lavori pubblici, gli inquirenti hanno scoperto che l’uomo era in effetti una donna. Suarez era in possesso di documenti che ne sancivano la cittadinanza in quanto uomo. Votava da uomo e viveva con una donna considerata la di lui moglie. A detta degli inquirenti, la moglie dichiara di non sapere che Suarez fosse in realtà una donna».

Oppure questa, in cui una certa Mary Gordon, ispettrice penitenziaria, racconta di aver conosciuto una donna, incarcerata, la quale le avrebbe raccontato la sua vita:

«Incontrai un’altra giovane che veniva imprigionata di continuo per furto di abiti maschili. Aveva collezionato svariate e lunghe condanne. Le chiesi cosa l’avrebbe tenuta fuori dalla prigione e rispose: andare per mare! Da un’indagine, risultò che le era impossibile vivere da donna, ma che poteva vivere da uomo, e che le piacevano i lavori da uomo […] le fornii gli abiti che desiderava. Trovò lavoro in un turno di notte, sdraiata supina in una miniera a sollevare carbone».

Olivia Plender ha selezionato una quantità di frammenti di testo, catturati tra le pagine di Urania, per poi stamparli in grande scala sopra poster e stendardi, invitando i visitatori di Ar\Ge Kunst a una sorta di lettura pubblica di ciò che un tempo, non avendo una voce pubblica, circolò in forme semiclandestine.

Suffragette city è invece il titolo di uno stupendo pezzo rock’n’roll di David Bowie, contenuto in The rise and fall of Ziggy Stardust. Venne registrato proprio in questi giorni, 44 anni fa. Non è chiaro che cosa fosse, esattamente, questa città delle donne, delle suffragette. Qualche mese più tardi una foto di Bowie venne pubblicata su Melody Maker. Nella foto sembrava simulare una fellatio al chitarrista Mick Ronson, proprio durante un riff di Suffragette city.

A seguito di un virus contratto nel 2013, Olivia Plender per diversi mesi ha perso l’uso della voce. Many maids make much noise è stato uno dei tanti scioglilingua che l’artista ha dovuto ripetere durante la lenta riabilitazione, diventando poi spunto di una riflessione sulle minoranze e su chi una voce, in passato, ha dovuto davvero conquistarsela.

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).