Gran Turismo Sport: un gioco di corse senza testosterone

I titoli di guida sono un pilastro della storia dei videogiochi. Un po’ come certi generi letterari che uno rispetta ma non frequenta, io solitamente li lascio perdere. Posso farmi prendere bene quando c’è dell’altro e la gara è un dettaglio. Di solito sono le ambientazioni a prendermi, oppure il lato arcade. Per esempio mi diverte moltissimo Rocket League, dove si gioca a calcio usando macchinine come giocatori. Quindi un gioco di macchine per amanti delle macchine non dovrebbe incontrare il mio gusto. Ma Gran Turismo è diverso.

Nel primo gioco di guida di sempre, il cabinato da bar anni ’70 Gran Trak 10, le auto erano grappoli di pixel che, viste dall’alto, percorrevano un circuito a schermo fisso delimitato da quadratini. Oggi i giochi di guida sono un sottogenere degli sportivi, una galassia che gode di successo stabile ma deve convivere con le nevrosi dei tifosi. Generalmente maschi orgogliosi della propria passione, i fan dei giochi sportivi non accettano troppi cambiamenti; preferiscono un lieve miglioramento grafico, un aggiornamento di protagonisti e scenari che dia un senso di attualità, e niente di più. Un po’ come quando i tuoi amici vogliono sentire solo canzoni vecchie che conoscono già perché “sono belle” e ti viene voglia di strangolarli. È chiaro che poi diventi conservatore. Infatti, nel caso degli sport di squadra più popolari, questa ricetta produce titoli indubbiamente prevedibili, che però sono anche macchine da soldi senza rivali. Ogni anno esce un nuovo capitolo di FIFA, e ogni anno in molti paesi come il nostro è il gioco più venduto (spesso al secondo posto c’è FIFA dell’anno prima).

Kazunori Yamauchi è il padre di Gran Turismo, la serie di guida che da vent’anni è sinonimo di corse di auto su Playstation. Yamauchi è un giapponese magro dall’aria leggermente malinconica, che fuma mille sigarette e sfoggia abiti sobri stilosi. Il suo modo di intendere i giochi di guida è quello di un appassionato cronico di automobili: gente che conosce e ama la storia dell’auto, i piloti e i progettisti, le forme, le finiture, ogni curva del Nürburgring, per cui tutto questo viene prima della performance, della gara vinta, delle sgommate e dei cordoli. Yamauchi è una persona che se vede una Alfa Romeo Giulia Sprint GT non pensa a un vecchio film, ma istantaneamente a Giorgetto Giugiaro che la disegnò. Io no, infatti ho dovuto cercare i modelli progettati da Giugiaro e pescarne uno che mi paresse bello. La serie Gran Turismo ha sempre venduto molto, anche se quasi tutto il resto del mercato è andato nella direzione opposta, quella dei rombi del motore, degli incidenti spettacolari e dei piloti scavezzacollo: sia Burnout che Need for Speed che Forza Motorsport (la concorrenza diretta di Xbox) vivono di quello. Gran Turismo no, è tutto diverso. Di solito i giochi di guida si aprono con una sequenza che è piena di azioni spettacolari, ruote che slittano, musica iperdinamica, incidenti e traguardi. Quello è il momento in cui inizio a stufarmi. Credo che abbia a che fare con la competitività, che in quel senso, in quella modalità, non capisco.

Gran Turismo Sport, il nuovo capitolo della serie appena uscito, si apre con la musica di Liszt che accompagna una lama di luce rossa mentre percorre la superficie di “Forme uniche della continuità nello spazio” di Umberto Boccioni. Quella lama di luce rossa è lo strumento principale di Yamauchi, quello che serve per digitalizzare le auto e incorporarle nel gioco, siano essere modelli di serie o pezzi da museo. Molte delle auto disponibili in Gran Turismo sono rare, rarissime, vecchie di trenta, cinquanta, settant’anni, e nel mondo reale non circolano più. E allora digitalizzare la velocità intesa come concetto puro, digitalizzare l’oggetto come strumento futurista di conquista nello spazio è l’aspirazione massima di un gioco come questo che, mentre fornisce una piattaforma di gioco, archivia e insieme risuscita pezzi di storia dell’auto. Sempre nella presentazione iniziale, dopo qualche minuto di filmati di repertorio e sequenze di grande spettacolarità pittorica, appare la scritta “Driving is for everyone”. Yamauchi ha anche questa aspirazione: levare di torno la competizione escludente, aggressiva, del togliti di mezzo, e rilanciare l’idea che le auto siano una passione collettiva e sociale, con tanta adrenalina e pochissimo testosterone. Competere qui significa strizzare l’ingegneria per cavarne tutte le qualità possibili, non annientare il prossimo.

Come in ogni altro capitolo di GT, anche qui ci sono le patenti, c’è la modalità arcade e ci sono le splendide fotografie ambientate che si possono scattare alle auto. Ma il fulcro del gioco è proprio la modalità Sport che gli dà il nome, in cui si gareggia online in competizioni che vanno dalla gara rapida al torneo a tappe certificato dalla FIA. Prima di poter accedere a questa modalità e partecipare alle gare online, è obbligatorio seguire qualche minuto di filmati che spiegano le regole della gara. Non è una procedura normale, questa. L’idea che prima di giocare di debbano consultare delle istruzioni obbligatorie è decisamente atipica, apparentemente troppo punitiva per gli utenti, in totale controtendenza rispetto all’idea intrattieni-stimola-gratifica di tutta la comunicazione di oggi. Ma per scongiurare il caos dei prepotenti che si appoggiano in curva o evitano i sorpassi in rettilineo chiudendoli con lo sterzo, che avrebbe reso le gare online un’insopportabile arena degli scemi, dei furbi e degli imbranati, è stato implementato un sistema a penalità. Bisogna saper guidare e comportarsi bene, altrimenti  si va dalla squalifica alle penalità di tempo, che si possono pagare al traguardo oppure scontare rallentando per un certo numero di secondi durante la gara. Inoltre la guida di ciascuno riceve una voto, così che il sistema possa metterci insieme a persone che guidano più o meno come noi. Il risultato è un contesto in cui la cosa che paga di più è rispettare le regole e gli altri. Sarebbe un’impostazione un po’ severa, se non si guidasse nella meraviglia di una grafica stupefacente, dove in particolare la luce e i suoni fanno tanto per rendere le gare godibili.

Come molti giochi online, anche questo andrà giudicato nel tempo, quando i server avranno macinato esperienza e l’offerta di competizioni scadenzate per tipologia, ore e giorni aumenterà. Ma è interessante che nel gioco ci sia una coerenza assoluta tra il modo di intendere le auto e lo spirito di gara, con la concezione di una competizione online la cui prima preoccupazione è lo stile. Un gioco di guida che si permette il lusso di godere dell’auto come prodotto culturale, come forma di artigianato, come amore per il progetto puro e per la radica di un cruscotto è una rarità preziosa. Perché dimostra ancora una volta che gli ambienti online, anche più degli spazi pubblici reali, hanno bisogno di regole e limiti da condividere per diventare bei posti dove passare del tempo.

Forse tra qualche tempo uscirà anche un Gran Turismo 7, cioè il nuovo capitolo del gioco in versione grossa, con mille funzioni e gare e auto. Per ora c’è questo gioco più contenuto per prezzo e dimensioni, dove gli scontri non danneggiano fisicamente le auto, dove le cose da fare probabilmente aumenteranno presto tramite aggiornamenti, ma il VR è implementato bene e si respira costantemente un’eleganza sia estetica che – come dire? – morale.
Nel frattempo, lo scorso 17 ottobre Kazunori Yamauchi ha ricevuto la laurea magistrale honoris causa in Ingegneria del veicolo all’Università di Reggio Emilia e Modena.

Matteo Bordone

Matteo Bordone è nato a Varese negli anni della crisi petrolifera. Vive a Milano con due gatti e molti ciclidi. Lavora da anni a Radio2 Rai e a volte in televisione. Scrive in alcuni posti, tra cui questo, di cultura popolare, tecnologia, videogiochi, musica e cinema.