Gli ebrei che se ne vanno

Qualche settimana fa una cara amica ebrea confessava che lei non diciamo paura, ma un po’ di preoccupazione cominciava ad avercela. Questa amica è una donna razionale e ironica, molto poco incline a drammatizzare. Ho pensato che se lo dice lei la sensazione dev’essere fondata. Mi sono vergognato, io non ebreo, e ho provato a raccogliere qualche dato e qualche parere.

La domanda è, appunto, se gli ebrei italiani debbano cominciare ad avere paura (o preoccupazione, sempre per non esagerare) a vivere nel loro paese. Dal canto mio, ma immagino dal canto di tutte le persone ragionevoli che non hanno perso la memoria, sono già abbastanza preoccupato per l’espansione evidente dei vari movimenti fascisti. Che si sono messi a fare politica, non trascurando peraltro di moltiplicare le manifestazioni pubbliche a base di saluti romani, labari, saluto al Duce, auguri per il compleanno del suddetto, eccetera. Piccolo inciso: l’altra sera una persona cara che stava per salire su un taxi è stata accolta dal taxista col saluto romano, e alle sue proteste il taxista ha minimizzato, insomma era quasi uno scherzo.

Questi movimenti variamente fascisti o nazisti (CasaPound, Fratelli d’Italia, LealtàAzione e così via) partecipano alle elezioni (locali, per ora) e fanno eleggere loro rappresentanti. A Monza c’è addirittura un assessore nazista, a Lucca diversi consiglieri comunali, solo per citare due città di medie dimensioni. Direi che al momento il loro bersaglio principale sia l’immigrazione, con evidenti connotati razzisti. Ma l’odio per gli ebrei sta comunque, senza dubbio, nel loro Dna e nei riferimenti ad alcuni fra gli organizzatori e gli ideologi della “soluzione finale”.

Un amico ebreo sostiene, a questo proposito, alcune cose. Primo: quando il razzismo esplode, gli ebrei prima o poi ci vanno di mezzo. Più prima che poi. Secondo: l’antisemitismo esplode rapidamente, dopo aver magari a lungo preparato le condizioni. Terzo: gli ebrei italiani, come ha verificato in diverse discussioni pubbliche, sono molto restii ad ammettere di dover avere paura. Ho trovato in rete (citato in un articolo di Massimo Maugeri) uno studio del britannico Institute for Jewish Policy Research, pubblicato a metà gennaio, dal titolo “Gli ebrei stanno lasciando l’Europa?”. Premette che non si tratta di un nuovo esodo, e che i numeri non sono paragonabili con quelli dei decenni ’30 e ’40 del secolo scorso. Ma negli ultimi anni la migrazione ebraica dall’Europa verso Israele è in crescita costante. Anche le partenze dall’Italia hanno raggiunto livelli “storicamente senza precedenti”, e nel 2015 hanno superato le cifre del 1948, anno della fondazione dello stato ebraico. I motivi principali vanno ricercati nella crisi economica, nella ricerca di prospettive di lavoro e nel senso di insicurezza.

Il Belgio e la Francia sono i paesi europei più toccati. Dalla Francia, dove c’è la comunità ebraica più numerosa d’Europa, dopo gli attentati a Charlie Hebdo e all’Hyper Cacher di Parigi circa 10 mila ebrei se ne sono andati, 8 mila dei quali verso Israele. L’Italia, se questa tendenza fosse confermata, perderebbe dal 2016 al 2021 il 7 per cento della sua popolazione ebraica. La comunità ebraica italiana, una delle più piccole, ha circa 35 mila iscritti, lo 0,6 per mille della popolazione totale. L’anno scorso dall’Italia sono partiti 289 ebrei. Nell’articolo di Maugeri si cita l’opinione di Raffaele Besso, presidente della comunità ebraica di Milano, secondo il quale “in Italia non c’è la percezione netta di una crescita dell’antisemitismo come sta accadendo in altri paesi europei, ma mentre la paura della popolazione ebraica fino al secolo scorso era legata al possibile ritorno di fascismi di varia natuta, oggi questa paura è legata al rischio di attentati di matrice jihadista”. Gli attentati in Francia e in Belgio hanno accresciuto il senso di insicurezza degli ebrei italiani. E, piuttosto paradossalmente, ci sono ebrei che ritengono di avere maggiore sicurezza in Israele.

Fabrizio Ravelli

Fabrizio Ravelli, milanese del 1951, giornalista per molti anni a la Repubblica, non ha mai scritto libri per il momento.