L’incontro tra Snoopy e Giulio Andreotti

Un mattino di giugno ho telefonato a Serena, quartogenita dell’Onorevole Giulio Andreotti. Ha risposto il marito: «Serena al momento si trova nel seminterrato dell’archivio Andreotti, dove non arriva il segnale. Ora la faccio riemergere. Richiami tra dieci minuti». Come non essere tentati di cogliere, nelle parole del marito – il giornalista ed ex parlamentare Marco Ravaglioli – un’allusione a una serie di topos tipicamente andreottiani? Il sottosuolo, l’archivio, il segreto. Ma soprattutto mi è sembrato di riconoscere il tocco di un’autoironia sublime, particolarmente andreottiana. «Ecco perché la figlia di Andreotti lo ha sposato..», mi sono detto, mentre aspettavo di richiamare. E poi, ritrattando, ho pensato: «Sono un miserabile Sigmund Freud da bar..».

Nello spot della 3 trasmesso in tv nel 2005, Andreotti (all’epoca ottantaseienne) sedeva tra le poltroncine di un volo di linea. Nei sedili a fianco Valeria Marini a un certo punto esclamava: «Certo che lei sa proprio tutto!». E lui rispondeva: «Così dicono..». Ebbene, Andreotti sapeva tutto anche grazie alla sua nota e instancabile attività di archiviazione. Scriveva, prendeva appunti e imbustava. Così come su Andreotti è stato versato un Tevere d’inchiostro. Il sette volte Presidente del Consiglio, come lo si appellava un tempo, ha raccolto e catalogato tutto questo materiale dentro un archivio, oggi donato all’Istituto Sturzo. 3.500 faldoni. Circa 600 metri lineari di documentazione. Argomenti: Camera dei deputati, Cinema, Democrazia cristiana, Discorsi, Divorzio, Elezioni, ecc. Da qualche parte si trova pure un faldone riempito di 3800 vignette (ce ne sono anche di Linus, parecchie) per decenni ritagliate dallo staff dell’Onorevole o dalle forbici di Andreotti stesso.

E così ho incontrato Serena Andreotti, che molto amabilmente mi ha invitato a Roma, presso l’Istituto Sturzo, zona Pantheon, per mostrarmi qualche vignetta prima che lo Sturzo metta tutto on line (in autunno). Da una parte, sulla scrivania, c’è un faldone verde, rigonfio, fascinoso, ministeriale, dall’altra un computer dove apriamo cartelle e sottocartelle col materiale già digitalizzato. Alle nostre spalle ci sono due impiegate dell’archivio Andreotti, molto scrupolose, appassionate, innamorate di quella montagna di vecchia carta che deve avergli riempito testa, naso e cuore ad ogni respiro. Le prime vignette risalgono al 1948. Vennero pubblicate su testate come L’uomo qualunque, settimanale progenitore dell’omonimo movimento guidato da Guglielmo Giannini. Ma ancora prima Serena ha voluto mostrarci un altro reperto: un lecca lecca, uscito in allegato a chissà quale merce da edicola, che raffigura appunto suo padre.

Scorrendo questi primi disegni, a cavallo degli anni ’40 e dei primi anni ’50, usciti sul Candido o sul Pasquino, si nota che Andreotti spesso è ritratto a fianco di Alcide De Gasperi. “Non direi che nostro padre”, mi racconta Serena, “ci ha cresciuto nel culto, no, ma senz’altro nella memoria di De Gasperi”. Secondo Massimo Franco, autore di una biografia di Andreotti, De Gasperi fu effettivamente una sorta di secondo padre, visto che il padre naturale morì quando Giulio aveva appena due anni.

Spingendosi più internamente al faldone, s’incontrano guizzi e mediocrità, intuizioni e luoghi comuni. Le firme: Mannelli, Vincino, Vauro ecc. Riviste di satira sconosciute come Il Cantagallo. S’incontrano anche i ritratti che ad Andreotti dedicò Vincio Delleanni, compagno di liceo – sono i preferiti di Serena – e poi, mano a mano che risaliamo nel tempo, si osserva invece la formazione delle convenzioni figurative più popolari: la gobba, le orecchie a punta, la testa incassata nel tronco e la fessura delle labbra. Accade soprattutto a partire dagli anni ’70. Sempre in quel periodo si colloca un coloratissimo gioco dell’oca, uscito col Corriere dei Piccoli. E poi una lettera anonima spedita ad Andreotti e finita nel faldone. Si tratta di un collage fotografico. Un nudo maschile, seduto e di profilo, sopra il quale è montata la testa di un Andreotti stranamente seduttivo. L’effetto è perturbante. Sul bicipite è scritto un “W il duce”.

Deleanni
Giulio Andreotti ritratto da Vincio Deleanni

Il 1977, annus horribilis per la partitocrazia, fu quello in cui più si disegnò su Andreotti. Poi negli anni ’80, con Forattini a Repubblica, si canonizza il Giulio Andreotti sulfureo, con la gobba e le orecchie da Nosferatu. La gobba diventa addirittura lo spazio in cui è custodita la scatola nera del DC-9 di Ustica. Da questi spunti dev’essere nata anche l’interpretazione di Servillo ne Il divo. Intanto a breve su Andreotti uscirà anche il film intervista di Tatti Sanguinetti, che per telefono ci racconta, anzi, come un tribuno tuona e ci declama: «IL DIVO E IL FILM DI PIF NON SONO DUE FILM SU ANDREOTTI, MA SULLA CARICATURA! SONO DUE BARZELLETTE! LA GOBBA, LE ORECCHIE DA TOPO: QUESTO È FORATTINISMO MISERABILE! È L’ANDREOTTI MORTO E CONSUMATO DA MIGLIAIA DI VIGNETTE! IL MIO, INVECE, È UN VERO FILM SU ANDREOTTI, SU UN CORPO REALE..».

Il film di Sanguineti è diviso in due parti, come Kill Bill. La prima – Giulio Andreotti. Il cinema visto da vicino – è stata presentata a Venezia lo scorso anno. La seconda – Giulio Andreotti. La politica vista dal cinema – è stata proiettata per la prima volta a Bologna, il 29 giugno scorso. Ad Andreotti sarebbe piaciuto volare: «Mi piacerebbe poter essere una specie di anfibio, automobile ed elicottero, in modo che se ci fosse un ingorgo nel traffico, me ne fuggirei via». E Sanguineti – anche autore per Adelphi del recente e bellissimo Il cervello di Alberto Sordi, libro farcito di aneddotica andreottiana – risponde in un sussurro: «Questo desiderio anfibio di decollare a un semaforo, prendendo il volo, è l’inizio del film del suo amico Fellini, Presidente! È l’inizio di 8 e 1\2..».

Serena, lungo i gradini che accompagnano in seminterrato, mi ha raccontato una scena simile. Un giorno suo padre, da Ministro della Difesa, venne trasbordato da una nave militare all’altra. E come? Sospeso in aria, vento in faccia, su di una bella seggiolina che scorreva lungo un cavo. Quand’era tornato a casa aveva raccontato l’episodio. Tutto contento. E com’erano i rapporti tra Andreotti e la satira? «Di speciale cordialità con Forattini, mentre quelli del Male gli sembravano a volte un po’ volgari. Però non ha mai querelato nessuno. Era un grande amico di Alighiero Noschese. Mio padre nel ’79 era ricoverato nella clinica dove si trovava Noschese, il giorno in cui si sparò. C’ero anch’io quel giorno e ricordo che, a un certo punto, sentii questo sparo, questo boato. Una cosa tristissima». Rosa Falasca, la mamma di Giulio Andreotti, un giorno chiese a suo figlio: «Ma come? Adesso ti sei messo pure a ballare in televisione?». Ma in realtà aveva scambiato Noschese per il figlio.

L’archivio Andreotti è formato da circa 12 armadi compattabili ed effettivamente è un luogo telefonicamente irraggiungibile. Su uno dei faldoni c’è scritto Europa e dato che proprio il giorno prima si è votato per il referendum di Tsipras, non posso non chiedere alla figlia una battuta. Mi guarda con quel suo volto che ricorda il padre e gli occhi azzurri: «Amava l’Europa, gli stava molto a cuore, ma non saprei dire che cosa avrebbe commentato oggi».

Serena ha accompagnato diverse volte suo padre al Bagaglino, a rivedersi sul palco interpretato da Oreste Lionello. Si divertiva. Sul computer ci mettiamo a ricercare anche la foto di questa pubblicità del gorgonzola, dove Andreotti, già molto anziano, si lecca pudicamente un dito spalmato di formaggio: Giulio Andreotti beccato con le mani nel formaggio. Prima di salutarci mi mostra un’ultima foto. È stata scattata a Villa Lancellotti in occasione di una mostra sui Peanuts. È una notte del famoso 1992, altro annus horribilis, e il sette volte presidente del Consiglio, dopo una foto con Charles Schulz, posa accanto a una statuina di Snoopy. Sembra una favola, ma anche questa è cronaca e storia italiana. Chissà se poi, si sono baciati.

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L’articolo di Linus, con la fotografia di Giulio Andreotti e Snoopy, scattata da Enrico Oliverio

(Uscito sul numero di agosto 2015 di Linus: lo riproponiamo per il terzo anniversario della morte di Giulio Andreotti, avvenuta il 6 maggio 2013)

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).