Ioedio

Era da tanto che non leggevo i dieci comandamenti. Se non fossi finito in una trasmissione radio, come ospite, per errore, con la trasmissione di Sanremo in diretta davanti a me, solo due giorni fa, non credo che lo avrei fatto, neppure oggi.

Ma a Sanremo quest’anno Dio si porta moltissimo. Non solo a Sanremo, naturalmente. È mia personale opinione che presto ci troveremo a trasportare grosse pietre da piantare in cerchio, in qualche prato, per erigere dolmen e propiziare gli dei del gratta e vinci però insomma, ero là, seduto vicino alla Cuccarini e c’era Dio un po’ dappertutto.
E oggi, a distanza di due giorni, è con i dieci comandamenti in testa che mi sono svegliato. Sì. I dieci comandamenti della Bibbia. Quelli. Ecco un breve riassunto per i nati dopo lo zero.

Un giorno un tipo va su una montagna e un essere invisibile ma grossissimo e con il vocione gli incide con una specie di dito laser invisibile (ma grossissimo) un ipad di pietra che quest’uomo portava sempre con sé. Ecco dieci regole che se sgarri muori.

Così, più o meno, sono nati i dieci comandamenti.
A un bambino ics che si avvicini al catechismo verrà spiegato che questi comandamenti recitano così:
(prima che me lo facciate notare: sì, tutti questi testi sono copiati da wikipedia.)
Dicevo, dicono così:

1. Non avrai altro Dio all’infuori di me.
2. Non nominare il nome di Dio invano.
3. Ricordati di santificare le feste.
4. Onora il padre e la madre.
5. Non uccidere.
6. Non commettere atti impuri.
7. Non rubare.
8. Non dire falsa testimonianza.
9. Non desiderare la donna d’altri.
10. Non desiderare la roba d’altri.

Questa mattina non mi sono svegliato pensando di uccidere qualcuno e quindi infastidito dalla presenza del comandamento “non uccidere”, altre volte è capitato, ma oggi no. Mi sono svegliato pensando a quanto Dio avevo sentito nell’aria nella trasmissione di Sanremo prima serata, mentre ero finito, per sbaglio, in una trasmissione radio dove ero convinto avremmo parlato di cinema.

Oddio: quanto dio avevo sentito nell’aria.
È un modo brutto di dirlo, sembra un profumo, un odor di santità, non era così.
Dio era nell’aria come una canzonetta, un motivetto, un “trend” (e non userò mai più questa parola per tutta la vita, Dio, te lo giuro, fulminami col tuo ditone laser se dovessi ricaderci!).

Dio era presente in testi di canzoni, nelle parole del cantante conduttore, sottolineato dalle partecipi ovazioni del pubblico pagante, quando veniva citato.
“Dio c’è” recitavano scritte storiche su centinaia di cartelli stradali, quando ero ragazzo, seconde come diffusione solo a un enigmatico “Pietro ti amo Mauro” che inquietava le mie notti di ragazzino, lasciandomi per sempre senza risposta: Pietro, a sua volta, amava Mauro? Lo amò mai? O morì Pietro, di dolore per amor mancato dopo aver vergato sui cartelli della penisola intera il nome dell’amato?

E Dio c’era. A Sanremo, questo è sicuro. Lui (Dio, non San Remo) vi direbbe che certo che c’è, è ovunque e io non avrei certo le palle di rispondergli a tono, ma vorrei sottolineare che a Sanremo, l’altra sera, c’era di più. È per questo che mi sono trovato a pensare ai dieci comandamenti.

Se c’è una cosa che mi piace della religione cattolica moderna è la sua possibilità di customizzazione. Nessuno, io per primo, vorrebbe una religione antiquata come quella professata in molti paesi del medio oriente, o qualche altra roba che implichi dedizione e sacrifici e rigidità. Insomma, siamo nel 2012, l’anno del contatto, non è che possiamo continuare a interpretare le parole di Dio come nel medioevo.
La religione cattolica è fatta per essere customizzata. Nasce così, in quella forma adatta, modulare. Uno dei comandamenti più interessanti, per esempio, è quello che dice “Non nominare il nome di Dio invano”.
Questo è uno dei primi esempi di customizzazione religiosa di alto livello, in altre parole una trasformazione del senso di un dettato religioso ai fini di una sua migliore e più efficace utilizzazione in ambito moderno messa in atto non dalla base ma dall’élite religiosa stessa. (Potete respirare).

Insomma, i capi della religione cambiano di loro volontà un comandamento arrivato direttamente dal cielo. Spiegano anche bene perché lo fanno: perché così si capisce meglio. Come dargli torto? Questa è modernità.

Il comandamento originale infatti recitava: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.”

Questo è stato trasformato in “Non nominare il nome di Dio invano”.
Meglio. Più semplice, conciso, facile da portare. Inoltre, se scelleratamente si fosse scelto di aderire al messaggio originale vergato in laser su retina di pietra non avremmo avuto opere d’arte meravigliose ad arricchire il nostro cuore. Quindi io sto con i pretoni che secoli addietro, decisero di modificare quel comandamento e di permettere ai vari Michelangelo e Bernini di farmi drizzar il pisello ancora oggi, dopo secoli, con i loro lavori. Thank you pretoni, god bless you all.

Insomma, capite? Noi non siamo degli arabi retrogradi! La nostra religione è migliore delle altre. La religione cattolica spacca proprio perché adattabile alla modernità.
Customizzabile è la parola.

Un esempio di questo: io.
“Io” è l’esempio che ho a portata di mano adesso, quindi lo uso. “Io” spesso parlo di Gesù Cristo, figlio dell’omone con vocione etc. Parlo di Gesù, rifletto sulle sue parole e a volte, e pure in pubblico, me le rivendo come esempio da seguire. Naturalmente mi rivendo quelle che mi piacciono di più, che non generano in me soltanto modiche contraddizioni. Insomma, mi customizzo i contenuti del vangelo a mio piacimento e questo, secondo me, è fico. Ad esempio, io non riconosco l’esistenza di Dio in cielo, insomma, sono uno di quelli che “non ci credono”. Però mi piace Gesù. Naturalmente quando Gesù stesso parla di vita eterna e di essere il figlio di Dio io mi volto dall’altra parte e fischietto, perché a me quella parte lì, uffa, non interessa proprio. Ma mi piace Gesù. È fico.

Molti ricchi vanno in chiesa, si professano credenti, ma accumulano ricchezze, in culo all’ago e al cammello. Cosa fanno? Sono cattivi?
No. Semplicemente customizzano la religione. Usano, giustamente solo le parti che gli vanno a genio, che gli stanno giuste. Indossereste voi un abito sette taglie più stretto o che vi imponesse, per entrarci, di fare settimane di esercizio fisico e rinunzia a cibi succulenti?
Non scherziamo.
Perché dimagrire noi quando possiamo far ingrassare l’abito?
La nostra religione è così. Tessuta nel materiale più elastico che c’è.
Impermeabile agli scrosci di pioggia del progresso e al contempo perfettamente mutabile e adattabile. Un materiale tanto simile a quello utilizzato per realizzare le tute de Gli Incredibili. Si allunga si accorcia si restringe e può pure diventare invisibile, quando serve.

Così, l’altra sera, vicino alla Cuccarini, in radio, io pensavo a Dio. A quell’essere invisibile e grosso grosso col vocione. Ci pensavo perché dal palco del teatro Ariston me lo tiravano nel muso, non perché c’avessi qualche predisposizione naturale. È solo che ne parlavano un po’ tutti. E tutti ne parlavano bene.
Il conduttore cantante parlava anche del paradiso. La cosa bella di questo approccio “fai da te” alla religione è che, come in questo esempio, si può parlare di Paradiso (maiuscolo) come di qualcosa che esiste davvero: il “Paradiso”. Proprio quello. Con le nuvole e tutte le persone buone che hanno vissuto dall’homo sapiens in poi.
Ehi. Brutto pensiero.
Non facciamo scherzi. Non ditemi che c’è il rischio di trovarsi in paradiso accanto a degli homo sapiens che non sanno neppure cosa è una saponetta. Non scherziamo. Ritrovarsi in mezzo a degli scimmioni puzzolenti che ti danno una clava in testa e poi ti ingroppano non è proprio la mia idea di paradiso.
Ho divagato.

Si, però la domanda rimane. Gli homo sapiens buoni li ritroveremo in cielo? Ah no, che idiota, tutto quello prima dello zero lo ha preso nel culo. Insomma prima della parola di Gesù, venuto a salvarci, tutto al macero, a parte qualche profeta con le visioni rinchiuso in qualche grotta, tutta sudicia.
Quindi niente fenici o antichi egizi tra i coglioni?
Meglio.
Barbari. Barbari però si? Ah no, neppure quelli perché credevano in qualche dio sasso neanche parlante. Barbari.
Solo persone fighe dunque, in paradiso. Io, Frank Zappa, Truffaut, tutti seduti insieme a un tavolino bianco e soffice come quello degli spot del caffè. Figo.
Ho divagato di nuovo.

Si può parlare di Paradiso, dicevo, ma, lo si può tranquillamente fare negando l’inferno. L’altra sera, a Sanremo era evidente che il conduttore cantante stesse parlando di paradiso e della bellezza di quei paesaggi senza prendere in considerazione l’orrore del suo contrario infernale e la presenza delle leggi ferree che a quel posto “infernale” appunto, possono condannarci, al minimo sgarro.
Perché dico questo?
Il conduttore cantante, ad esempio, è miliardario. E stando alle parole del figlio dell’omone con il ditone di laser, un ricco col cazzo che ci mette piede in paradiso. Ma allora, in caso di morte, il conduttore cantante dove andrebbe? A meno di non credere anche agli zombies, (che come religione non sono male neanche loro ma pochissimo customizzabili, insomma, quelli ti mangiano il cervello e stop, non ci sono margini) a meno di non credere anche agli zombies vien da pensare che se credi al paradiso, dopo morto dovresti temere pure il suo contrario avendo infranto palesemente alcune leggi fondamentali. Ma questa cosa, semplicemente non succede. Non succede nella mente del conduttore cantante, non nel suo cuore e non nel mio.

E qui sta la grandezza della religione cattolica, non mi stancherò mai di ripeterlo. Prendo il paradiso, perché mi serve per un mio pensiero o un’operazione retorica, e scarto l’inferno. No, grazie, non mi serve, sono a posto così. Nemmeno un girone, tagliato fino? No, grazie davvero.
Scelgo alcune frasi di Gesù, come quelle sulla fratellanza perché mi ispirano e scaldano il cuore e mi fanno sentire buono ma ignoro, senza problemi, decine di altri concetti, la cui applicazione mi metterebbe in seria difficoltà.
Ecco, pensavo a questo oggi. A come sia figa la religione cattolica, a come sia troppo giusto il modo in cui la viviamo, a come ce ne siamo impossessati e fatto guardaroba. A quanto sia ganzo aver tradotto la “spiritualità” in misticismo agile e portabile e a quante cose buone e divertenti potranno venire da questa gioiosa operazione. Anche se ora, al di là della visione di questo prato verde sferzato dal vento, di questi uomini con tuniche druidiche che trasportano pietroni e li piazzano in cerchio e si mettono a cantare “io sono un italiano, un italiano vero” per ingraziarsi gli dei del gratta e vinci, ecco, a parte questa visione, a oggi, a questo istante, altre cose buone non ne vedo. Ma arriveranno, vero?

Gipi Pacinotti

Disegnatore e regista, collabora con la Repubblica e Internazionale. Con il suo graphic novel Appunti per una storia di guerra ha vinto il premio Goscinny al festival del fumetto di Angoulême. Il suo primo film si chiama L'Ultimo terrestre.