Game of Thrones (senza spoiler)

Ho chiacchierato più volte, con quel piacere di elencare banalità tipico delle chiacchiere tra amici, del futuro di un cinema che sembra costretto a creare, per sopravvivere, la Spettacolarità Visiva, spesso a discapito della storia. Le chiacchiere vanno sempre a finire dicendosi che toccherà alla tv raccontare le belle storie, finché il cinema non riuscirà (e ci riuscirà, ci sta già riuscendo) a coniugare i due aspetti.

Ci sono poi storie che solo la tv, per una banalissima questione di formato (più spazio, più tempo, più episodi), può raccontare. Game of Thrones è una di queste.

Tratta da Le cronache del ghiaccio e del fuoco, saga fantasy ancora incompleta di un anziano signore americano che risponde al nome di George R. R. Martin, non offre in sé nulla che faccia gridare all’innovazione: l’ottima sceneggiatura, la regia (quasi) sempre magistrale, i costumi curati nel dettaglio, la notevole recitazione anche da parte di attori esordienti sono elementi che stupiscono nella loro costante compresenza, ma non sono in sé innovativi e non dovrebbero essere considerati tali.

La prima cosa da notare, e inserire immediatamente in un discorso più generale, è la morte dei generi. Tutti quelli (mi ci includo) che hanno storto il naso di fronte a Game of Thrones e la sua innominabile etichetta fantasy, già dal primo episodio si sono ricreduti, hanno dimenticato orchetti, elfi e hobbit e si sono semplicemente lasciati coinvolgere dalla storia. Che è una storia fighissima per chi ama le lunghe saghe con tanti personaggi: parla, come già racconta il titolo, dell’avvicendamento sull’Iron Throne (in italiano Trono di spade) delle famiglie più potenti dei Sette regni, tra battaglie, intrighi, rapimenti, decapitazioni, sesso, nani, bastardi e ballerine.

La componente fantastica è del tutto relegata a poche creature che trascendono la normalità e a un mondo che non corrisponde alla nostra geografia, ma ricalca molti dei costumi medievali. Il resto è politica, potere e uomini molto grossi con spade molto grosse.

Pensateci: nessuno ha guardato Lost perché era una serie di fantascienza. Gli autori sono stati molto furbi in questo, evitando di ammettere, durante i primi anni, che la soluzione dei misteri non sarebbe stata rigidamente scientifica. Forse non proprio ortodosso per una questione di onestà verso lo spettatore, ma ineccepibile mossa commerciale: nessuno vuole vedere il proprio prodotto incasellato in un genere e considerato solo dagli affezionati a quel genere, e aggiungerei giustamente. Dal punto di vista artistico e creativo vuoi che a definire il tuo prodotto sia la storia, la dinamica tra i personaggi, lo stile di racconto. Dal punto di vista commerciale è, come dicevo, pericolosissimo rischiare di attirare l’esclusiva attenzione, sempre terreno minato di critiche e finezze di genere, degli appassionati.

Forse un esempio più efficace da affiancare a Game of Thrones è Battlestar Galactica. Ci sono le astronavi e i robot e colonie su tanti pianeti diversi, ma il punto non è la fantascienza: poche altre serie sono riuscite così bene a inquadrare una condizione umana e a raccontare una grande storia.

Questo il punto: raccontare storie che siano grandi, che riempiano lo spazio dell’immaginazione e stimolino riflessioni più articolate.

Ah, ieri sera è ricominciato True Blood: a proposito di raccontare molto bene una storia molto scadente, con tanti effetti speciali*.

* no, non mi riferisco alle esplosioni, ma agli elementi coreografici di contorno che distraggono dalla sostanza.

Chiara Lino

Giornalista del Post. Scrive recensioni di serie tv su Serialmente e ha lavorato come grafica e interaction designer.