Frigoriferi a Roma

Ieri sono andato a Roma, ma non ho visto frigoriferi. Mi è sembrato strano. E non è stata l’unica stranezza: proprio il giorno in cui vado a Roma e ho tempo per leggere in treno i giornali, Repubblica se ne esce con un’intervista a Virginia Raggi. È una coincidenza che mi dà da pensare. Leggevo l’intervista, leccandomi il dito per girare le pagine, quando il treno all’improvviso ha sobbalzato – altro particolare inquietante – proprio mentre stavo scorrendo un passaggio. Sembrava quasi volesse richiamare la mia attenzione. Sottolineava le parole di Virginia:

«Poi devo dire che non ho mai visto tanti rifiuti pesanti, divani, frigoriferi abbandonati per strada. Non so se vengono fatti dei traslochi, se tanta gente sta rinnovando casa, ma è strano…».
Ma sta dicendo che lo fanno apposta? Forse ci sono sempre stati ma lei non li notava?
«No, eh no. È un po’ strano, ci sono frigoriferi che invece di essere portati all’isola ecologica vengono buttati vicino ai cassonetti e non è mica un lavoro semplice portarli lì, non so neanche come facciano. Però il frigorifero è già tutto sfondato e graffitato. Mi sembra strano».

D’accordo, poi si è capito che a Roma i rifiuti pesanti non vengono raccolti da giugno perché gli appalti non sono stati assegnati, ma chi ci garantisce che non siano stati assegnati apposta per non fare raccogliere i frigoriferi a Roma in modo da gettare fango preventivo sul movimento?

cure

La frase sui frigoriferi per le strade mi ha talmente colpito che, giunto alle porte di Roma, ho ripiegato il giornale e aguzzato lo sguardo. Volevo svelare il complotto. Il treno è passato da Fiano romano, Capena, Monterotondo, Settebagni, ha attraversato via dei Prati fiscali e via Nomentana, poi si è brevemente fermato a Tiburtina ed è ripartito, fiancheggiando Casal Bertone e l’Esquilino, ma niente, ho visto reti arrugginite, cavalcavia, graffiti, automobili abbandonate, ma neanche l’ombra di un frigorifero. Forse si erano tutti nascosti per non farsi vedere e seminarmi dei dubbi. Ma non mi sono perso d’animo. Alla stazione Termini, ho ricominciato a indagare. Ho avvistato un gruppo di poliziotti e ho pensato di chiedere a loro.

– Scusate, voi che per lavoro girate molto per le strade, avete incontrato dei frigoriferi abbandonati?

Mi hanno guardato straniti e uno mi ha detto.

– Ma che cazzo stai a dì.

Però forse era del PD. A un certo punto mi si è avvicinato un indiano per chiedere l’elemosina. Ho chiesto anche a lui, ma parlava solo in lingua kannada dove frigorifero si dice così: ಫ್ರಿಜ್.

Le mie indagini erano a un punto morto. In più, rischiavo di fare tardi al mio appuntamento. Sono salito in macchina con un famoso fotoreporter americano – Steve McCurry, quello della ragazza afghana – con cui dovevo fare una cosa in tv. Giunti in sottovia Ignazio Guidi, mi sono girato e ho chiesto anche a lui.

– Mister McCurry, the mayor of Rome, Miss Virginia Raggi, stated in an interview that the streets of the city are full of abandoned fridges. If we will see one of them, could you please take a picture of it? From the afghan girl to the roman fridge! It will be another scoop!

Anche McCurry ha fatto finta di non capire. Ma è americano e gli americani, si sa, sono tutti di Bilderberg, che tra l’altro – ora che ci penso – potrebbe benissimo essere la marca di un frigorifero. Abbiamo attraversato Villa Borghese. Niente frigoriferi. Niente neppure al Museo di arte moderna, c’erano solo due turisti entrambi zoppi che arrancavano sulla scalinata. Per un po’ ho confidato nel Museo dei Crimini Ambientali, perché per un frigorifero abbandonato non c’è posto migliore dove passare la notte, ma anche lì era tutto deserto. Niente, neppure sulla via Salaria. Molte buche, però. Forse astutamente i frigoriferi ci si nascondono dentro per saltare fuori all’improvviso quando passa il sindaco in macchina, non so. Ho controllato anche alla Rai di Saxa Rubra – nei bagni, nei camerini, in sartoria, nello studio dietro i cameramen, sotto la giacca del conduttore – ma niente, neppure uno straccio di frigorifero da Minibar, neppure una borsa termica, niente.

Dopo la registrazione siamo andati a mangiare in un ristorante sardo poco distante. Ho fatto irruzione in cucina e finalmente mi sono trovato a tu per tu con un frigorifero vero, di quelli grandi, d’acciaio, dei ristoranti. Scrollandomi di dosso un cuoco cinese che tentava di impedirmelo, ho spalancato lo sportello, ma dentro c’era solo un porceddu e qualche quintale di culorgiones che facevano finta di niente. Il pranzo è terminato senza che ne venissi a capo. Dovevo tornare a Termini per riprendere il treno per Milano. Ma non sono un tipo che si scoraggia. Mentre il taxi riattraversava Roma a ritroso, in un lampo, mi è riapparsa alla mente una scena di un film dei Monty Phyton, quella in cui – episodio Espianto di organi vivi in The Meaning of Life – Eric Idle esce, guarda a caso, dal frigorifero di Graham Chapman, travestito da casalinga inglese, sotto gli occhi di John Cleese, in camice bianco.

Ho capito che i frigoriferi, in fondo, sono dei piccoli armadi, hanno lo sportello, e che per entrarci basta svuotarli e togliere il fondo, e poi ci si può spostare zampettando su piedini invisibili, fermandosi se passa qualcuno da cui non vuoi farti scoprire oppure mettendosi a correre per appostarti ai lati delle strade quando passa il sindaco. O ancora per lanciare agguati improvvisi, come fanno i giornalisti con Virginia Raggi, ispirandosi a quello che faceva Cato con l’ispettore Clouseau nel Ritorno della Pantera rosa. (Se lo cercate, è dopo 1 minuto e 25 secondi)

Ho fatto fermare il taxi davanti a un negozio Euronics nei pressi della Stazione Termini e, facendo finta di niente, senza dare nell’occhio, ho puntato il reparto elettrodomestici. Una schiera di frigoriferi di tutte le marche attendeva in silenzio. Mi sono avvicinato quatto quatto, in punta di piedi. Ho adocchiato un Whirlpool da 450 litri, un Liebherr tedesco da 307 e un LG GB7143AER coreano. Rannicchiato dentro il primo ci ho trovato Roberto Giachetti, il perfido candidato sindaco renziano, nel secondo era nascosto Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, che cantava sottovoce Gelato al cioccolato dolce e un po’ salato, e nel terzo, non so perché, c’era l’allenatore della AS Roma Luciano Spalletti.

Giacomo Papi

Giacomo Papi è nato a Milano nel 1968. Il suo ultimo romanzo si intitola Happydemia, quello precedente Il censimento dei radical chic. Qui la lista dei suoi articoli sui libri e sull’editoria.