La questione delle fondazioni bancarie

Tanto di cappello a Tito Boeri e Luigi Guiso che negli ultimi giorni, prima sul sito lavoce.info e poi sulle pagine di Repubblica, hanno offerto un grande contributo di chiarezza sul tema ostico delle fondazioni bancarie di cui c’era davvero bisogno. E che ha coinvolto anche il governo ai massimi livelli, con il ministro dell’Economia Vittorio Grilli cui ne spetta la vigilanza.

In sintesi i due professori hanno spiegato in modo ineccepibile che ormai le fondazioni sono sulla plancia del Titanic (questo il titolo del loro ultimo articolo apparso sabato 28 luglio su Repubblica), che su molti dati di bilancio c’è scarsa trasparenza, che corrono il serio rischio che il loro patrimonio si assottigli pericolosamente a causa degli investimenti nelle banche penalizzando così la missione delle fondazioni che è quella di perseguire scopi di utilità sociali, che il loro attuale assetto di governance andrebbe profondamente rivisto e che, se nulla cambia non sarebbe da escludere addirittura un intervento sui suddetti patrimoni al fine di utilizzarli per abbattere una parte del debito pubblico.

Spunto per questa analisi era stato uno studio sulle fondazioni bancarie di Mediobanca pubblicato a fine maggio, da cui emergevano molteplici criticità su diversi piani per questi 88 enti. Per tale ragione Boeri e Guiso avevano scritto su Repubblica il 17 luglio una lettera aperta al ministro dell’Economia Grilli, riassumendogli le risultanze dell’indagine e chiedendogli cosa ne pensasse visti il ruolo di vigilanza che ricopre e una sua recente affermazione a un convegno: «Le fondazioni sono rigorose e solidali al tempo stesso e, grazie alla leadership di Guzzetti, hanno capito che devono lavorare insieme».

Passa una settimana e Grilli risponde con una lunga e circostanziata replica nella quale, pur difendendo in sostanza il modello attuale delle fondazioni bancarie per aver contribuito a ristrutturare il sistema bancario italiano, fa un paio di affermazioni che meritano a mio avviso di essere qui riprese.

Innanzitutto sottolinea di essere ben consapevole di quanto sia rischioso proporre un bilancio mentre certi processi storici sono ancora in corso (e le fondazioni bancarie sono appena poco più che ventenni). Quindi non sono da escludere ulteriori interventi di “manutenzione”. Inoltre riconosce che, indipendentemente da quanto prevede la “legge Ciampi” del 1999 che oggi regolamenta la materia e che ha introdotto un limite al numero dei mandati (non più di due), ebbene scrive Grilli, «a breve scadrà il mandato di numerosi esponenti che non potranno essere rinnovati. Indipendentemente dalle scadenze di legge credo che le fondazioni avrebbero potuto promuovere un maggiore ricambio della loro classe dirigente». Il punto è importante perché nell’applicazione della legge Ciampi il vincolo dei due mandati ha cominciato a decorrere dopo la sua promulgazione. Quindi chi era presidente di una fondazione già da anni ha potuto continuare ad esserlo per molti anni ancora. Inoltre la durata del mandato non è la stessa per tutte, in alcune fondazioni dura cinque anni, in altre di più, in altre di meno.

Fatto sta che ancora oggi proprio per queste ragioni, tanto per fare qualche nome, presidente della Fondazione CRT (Cassa di risparmio di Torino) è dal 1994 Andrea Comba; anche da più o meno 18 anni siede al vertice della Fondazione Cariverona Paolo Biasi; da 15 anni il presidente della Fondazione Cariplo è Giuseppe Guzzetti che dal 2000 ricopre anche la carica di presidente dell’Acri, l’associazione che raggruppa le fondazioni (mandato quest’ultimo, triennale, per cui non c’è invece limite e infatti Guzzetti è al quarto mandato). Il giorno successivo alla pubblicazione dell’intervento di Grilli si è svolto presso la sede di Mediobanca un seminario con le fondazioni proprio per discutere della famosa ricerca uscita a maggio («purtroppo il seminario è stato un monologo delle fondazioni» scrivevano sabato Boeri e Guiso «difese a priori dal moderatore che ha candidamente confessato di non aver letto il rapporto Mediobanca e non ha concesso alcun dubbio o interlocuzione col pubblico per “evitare un dibattito disordinato”») e Guzzetti ha commentato (così riporta la cronaca dell’evento di Andrea Greco su Repubblica del 24 luglio, a pag. 23) di aver trovato l’analisi del ministro dell’Economia «precisa, puntuale e esaustiva». Chissà, viene da chiedersi, se condivide anche il passaggio sul ricambio della classe dirigente…

Ma il fatto che oggi davvero conta è che le fondazioni, a causa delle partecipazioni azionarie nelle loro banche di riferimento, si sono ficcate in una sorta di vicolo cieco. Il 10 marzo scorso sul Corriere della sera, in un’intervista rilasciata a Nicola Saldutti, Guzzetti esordiva così: «Forse vale la pena ricordarlo ogni tanto: le fondazioni hanno aiutato le banche a restare solide senza un euro di soldi dei contribuenti». Affermazione, questa, piuttosto discutibile stando a quanto scrivevano sabato Boeri e Saldutti: «Ricapitalizzare le banche con la propria dotazione significa limitare le erogazioni future a vantaggio delle popolazioni di riferimento. Queste forse non dovranno pagare più tasse ma otterranno meno trasferimenti, il che è la stessa cosa. Mentre celebra il contributo delle fondazioni alla ricapitalizzazione delle nostre banche l’autorità di regolazione non si sente in dovere di censurare quelle fondazioni (come Compagnia di San Paolo, Cariparo e fondazione MPS) che hanno finanziato gli aumenti di capitale a debito. Noi pensiamo sia una scelta contraria alla missione assegnata per legge alle fondazioni: conseguire scopi di utilità sociali».

Dopo che nel 1990 nacquero le fondazioni bancarie ad opera di Giuliano Amato, per alcuni anni lo stesso Amato ammise di aver creato dei mostri come Frankenstein perché riteneva di aver dato vita a un sistema di potere autoreferenziale che si formava intorno alle fondazioni. Dopo molti anni si rallegrò invece che, grazie soprattutto alla “legge Ciampi”, il sistema avesse finalmente trovato una disciplina organica. E a conferma di questa ritrovata identità lo scorso anno uscì un libro (di Fabio Corsico e Paolo Messa, per la casa editrice Marsilio) intitolato proprio: Da Frankenestein a principe azzurro: le fondazioni tra passato e futuro. Dopo il dibattito di questi giorni è fondato il timore che sia tornato Frankenestein. E quando sorgono emergenze bisogna necessariamente e prontamente correre ai ripari. Che nel caso specifico significa innanzitutto rimettere mano alla “legge Ciampi“ disciplinando in modo molto più marcato la separazione tra fondazioni e banche. E poi bisogna rafforzare i poteri di vigilanza del ministero dell’Economia (dove, come ricordavano sempre sabato Boeri e Guiso, nemmeno sanno che spetta loro supervisionare la pubblicazione dei bilanci). Il che, in altri termini, vuol dire per le fondazioni bancarie di scordarsi per almeno un bel po’ di entrare nel codice civile, di «essere ricomprese» come fortemente auspicava Guzzetti ancora lo scorso 7 giugno a Palermo al congresso dell’Acri, «nel corpo unico proprio degli enti non lucrativi di cui al titolo II del libro I del codice civile, superando così definitivamente la loro specialità giuridica». Troppo presto per un sistema fondazioni che, non so quanto sia sopra o sotto la plancia del Titanic, ma che comunque fa acqua ormai da più parti.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com