La Francia vale più di questo

Dal primo momento è apparso chiaro che si sarebbe trattato di un dibattito asimmetrico, perché la strategia unica di Le Pen è stata quella di tentare di far saltare i nervi a Macron, il quale ha dominato in modo molto presidenziale, calmo e rassicurante la prima parte del dibattito. In seguito ha indugiato troppo nelle polemiche su cui Le Pen l’ha portato e ha voluto togliersi, secondo me sbagliando, troppi sassolini.

La grande sorpresa, per me, ma credo anche per molti francesi, è stata l’assoluta mancanza di un programma da parte di Le Pen, l’incompetenza mostrata più volte e anche l’incapacità di mostrare una qualsiasi idea della Francia. Sapevamo della provenienza di Marine, del suo partito, di tutte le ambiguità che si porta dietro, non sapevamo della sua assoluta impreparazione. Da almeno tre anni sapeva che sarebbe arrivata per la prima volta a un dibattito presidenziale, ma è sembrato che non avesse preparato nulla, ha maneggiato fogli, articoli di giornali, ma si è limitata ad insinuazioni che in alcuni casi sono andate oltre i limiti della diffamazione.

Sui due punti forti della sua campagna, il terrorismo islamista e l’uscita dall’euro, è andata forse peggio che in tutto il resto del dibattito. Sul terrorismo ha mostrato subito di non avere una strategia e di non sapere come funzionano le cose, ma soprattutto ha impiegato la maggior parte del tempo per attaccare Macron, accusato di essere compiacente nei confronti dell’islamismo e addirittura di sostenere il fondamentalismo islamico per motivi di conflitti di interesse non meglio precisati.

Sull’euro è stato un disastro. L’idea di Le Pen non di uscire dall’euro, ma di mantenere l’euro per le imprese, per i conti dello stato, per gli scambi internazionali, e di reintrodurre il franco per la vita quotidiana si è rivelato per quello che era, una barzelletta, che ridurrebbe in cenere la Francia nel giro di poche settimane.

Sia chiaro, dopo Trump e Farage tutto è possibile, e girano studi sulla possibilità che l’astensionismo, da solo, possa dare la vittoria alla figlia di Jean-Marie Le Pen, ma se Marine è la rappresentante più importante, più simbolica, più evocativa dell’armata dei populisti europei, forse il dibattito di ieri può essere uno spartiacque importante (altra cosa è capire perché milioni di persone diano credito alle panzane più diverse e soprattutto altra cosa è capire come trasformare questa forza distruttrice in forza creativa e in trasformazione positiva ed è il tema più importante e più essenziale di tutta la faccenda).

Macron da parte sua ha attaccato su tutti i fronti, ma ha sbagliato varie volte nei toni e si è fatto spesso ipnotizzare dalla polemica imposta da Marine. Non si è quasi mai fatto mettere nell’angolo sul suo essere uomo delle élite, anche perché Le Pen è stata talmente greve e irridente da sbilanciarsi in continuazione.

In ogni dibattito presidenziale c’è una frase storica, che retrospettivamente fissa l’andamento e la svolta della discussione. Questa volta, a mio avviso, è arrivata proprio alla fine, quando ormai tutto sembrava chiuso. Incredibilmente Marine Le Pen ha utilizzato lo spazio finale della domanda aperta, cioè il tempo che viene concesso per dire quello che si vuole, la propria visione, il proprio progetto, il proprio appello, per continuare ad attaccare Macron sul piano personale e su temi assolutamente marginali, senza dire alcunché sulle proprie idee.

I conduttori stessi, un po’ sorpresi, forse pensando che non avesse capito che era il momento della “carta bianca”, l’hanno interrotta per chiedere conferma che quello fosse l’argomento di cui voleva parlare. Lei ha risposto «Non ho un tema a scelta», che già sarebbe una bella frase storica per una che vuole fare la presidente, ma è Macron che ha colto l’occasione: «Le si dà carta bianca per parlare di quello che vuole e lei lo usa per sporcare (…). E questo perché il paese non le importa, non ha un progetto per il paese, il suo progetto è di dire al popolo francese “questa persona è atroce”. (…) Il suo progetto è la paura e la menzogna. È questo ciò che la nutre, che ha nutrito suo padre per decenni, che ha nutrito l’estrema destra, è questo che ha fatto di lei quello che è. La Francia che voglio vale più di questo».

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.