Cos’è la democrazia liberale

Ernesto Galli della Loggia, oggi sul Corriere della Sera, esprime il suo dissenso rispetto all’opinione comune per cui l’estensione di certi diritti sia consustanziale alla democrazia liberale. L’illustre editorialista, pur premettendo di non voler entrare nel merito del ddl Cirinnà, mi pare si iscriva in quella deriva apocalittica che sta piano piano prevalendo nella discussione su quello che a me sembra davvero un provvedimento di grande moderazione.

Non trovo particolarmente persuasivi gli argomenti di Galli della Loggia, ma è certamente per mio limite: per esempio, l’idea che i diritti da riconoscere alle persone omosessuali non debbano chiamare in causa la democrazia liberale, perché fino a dieci anni non ne parlava nessuno mi sembra piuttosto bizzarra. La democrazia liberale vigente in Alabama, che imponeva a Rosa Parks di sedere solo nei posti in fondo all’autobus, sarebbe dunque stata perfettamente vigente e compiuta perché prima della Parks nessuno aveva osato sedersi in un posto proibito?

Ancora più misteriosi sono i nessi che inducono della Loggia a ritenere che, essendo l’allargamento della sfera dei diritti la mera conseguenza di un ridisegno dei rapporti di forza sociali, si potrà un domani statuire un diritto alla clonazione umana. Il che mi pare costituisca una variante di particolare fantasia delle fosche prospettive evocate intorno al ddl Cirinnà (“Già dell’apocalisse si avvertiscono i segni: in giorno di Vigilia non s’accettano pegni!”, dice Colline nel primo atto della Bohème). Di sicuro un ragionamento del genere spiega ad abundantiam perché della Loggia “non entra nel merito” del provvedimento. Per lasciar correre a briglia sciolta la fantasia.

Il punto è che, naturalmente, l’analisi del politologo ha una base di verità: la democrazia liberale produce le sue norme sulla base di un’analisi attenta delle modificazioni e delle evoluzioni del corpo sociale; non è strano che all’ordine del giorno dei parlamenti, dei tribunali e dei giornali non ci fosse, fino qualche decennio fa, alcun punto che riguardasse gli omosessuali. Vivendo una condizione di totale emarginazione, di stigma sociale pervsasivo quando non di repressione penale, le persone omosessuali erano troppo impegnate a nascondersi per osare un fiato. È per questo che la rivolta degli avventori dello Stonewall Inn, il locale gay newyorchese in cui la polizia compiva vessazioni impunite, è una pietra miliare nella storia, e non solo in quella del movimento LGBTQI.

Non era così solo per i gay, beninteso: i genitori di un ragazzo diversamente abile non pensavano nemmeno che potesse esserci per il loro figlio un destino diverso dalle classi differenziali; era considerato perfettamente logico che sposare il proprio stupratore estinguesse la sua responsabilità penale; non si nutriva alcun dubbio che i manicomi fossero la giusta risposta al disagio psichico e via così. Poi, per fortuna, ci sono stati i Franco Basaglia e le Franca Viola e le cose sono cambiate.

Non eravamo una democrazia liberale quando questo accadeva? Certo che sì e lo erano anche gli Stati Uniti della segregazione razziale. Ma lo eravamo e lo erano in modo imperfetto e incompiuto. Perché – ed è questo il punto che maggormente mi separa dall’articolista – la forza della democrazia non sta nel fare le scelte migliori, ma nel correggere più rapidamente e con meno sofferenza quelle sbagliate. E le si corregge non alla cieca, ma sulla base di alcune guide culturali e ideali che non sono affatto confuse. L’evoluzione della democrazia liberale, in altri termini, non significa affatto che si possa ricomprendere nei diritti tutto quello che ci pare: significa che rimuovere una discriminazione, allargare il perimetro delle persone che possono vivere in condizione di parità, includere chi fino ad ieri è stato escluso rappresenta un passo in avanti verso l’attuazione dei principi fondamentali della democrazia liberale.

Allo stesso modo, la democrazia liberale non può contemplare il “diritto di adottare” (ferma restando la legittima discussione sull’astratta idoneità) perché l’adozione è solo lo strumento con cui si cerca di realizzare la miglior tutela di un minore che sia privo per ragioni diverse di uno o di entrambi i genitori. Proprio per questo, una democrazia liberale degna di questo nome non può immaginare che ad un minore sia negata la possibilità di avere pari diritti e tutele in ragione delle modalità vere o presunte con cui è venuto al mondo.

Fondata com’è sul dubbio laico, la democrazia liberale desta spesso – e giustamente – discussioni, perplessità e divisioni. Ma alla fine è molto meno complicata di quanto sembri: diritto all’autodeterminazione degli individui, principio del neminem laedere, pari dignità di tutti gli esseri umani, uguaglianza di diritti e di doveri dei cittadini davanti alla legge: etero od omosessuali, credenti e non, caucasici o meno, sottosegretari o editorialisti.

Certo, sarebbe interessante chiedere a Galli della Loggia come fa lui a conciliare la discriminazione e l’assenza di diritti con la democrazia liberale, ma dubito che avremo occasione di saperlo tanto presto.

Ivan Scalfarotto

Deputato di Italia Viva e sottosegretario agli Esteri. È stato sottosegretario alle riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento e successivamente al commercio internazionale. Ha fondato Parks, associazione tra imprese per il Diversity Management.