Il mio coming out

La prima cosa che pensi quando ti dicono che hai il il cancro è: morirò? La seconda: lo scrivo su Facebook oppure no? Ok, magari non è esattamente la seconda, ma il problema di quanto e se rendere pubblica una condizione su cui c’è ancora tanta paura arriva abbastanza presto. Se sei Angelina Jolie o Emma Bonino in fondo è semplice: sei un personaggio pubblico e la tue parole possono davvero fare la differenza e far sentire meno sole le  altre, tantissime persone a cui è stato diagnosticato. Se sei una che fa un lavoro pubblico, ma non è un personaggio pubblico, la situazione è più complicata. Stabilito che l’unica cosa peggiore di avere il cancro è avere il cancro e fare la freelance, la prima paura che ti viene è che se lo dici poi non lavori più. Niente più interviste, niente più viaggi, niente di niente. Merda. Allora non lo dici, però intanto il cancro ce l’hai e ti devi curare e quindi non puoi essere sempre disponibile e alla fine realizzi che è meglio che sappiano cosa ti sta succedendo piuttosto che pensino a te come a una inaffidabile. Ecco, una cosa peggio del cancro c’è: passare per inaffidabile. Giammai. Quindi alla fine lo dici, ma prima solo a uno o due, poi a cinque, poi a dieci. Ormai la porta è aperta.

Il processo di selezione delle persone a cui dire del cancro è piuttosto affascinante. Nella tua testa è come se le premiassi, è come avere un segreto e scegliere a una a una le persone con le quali condividerlo:  siccome ti reputo un essere umano sufficientemente decente, allora ti reputo meritevole di sapere questa cosa molto intima su dime. Siediti che devo dirti una cosa. Anche la reazione delle persone a cui lo si dice è interessante. Ci sono quelle che reagiscono con un livello di pathos che non ti saresti mai aspettata. Quelli che se lo fanno ripetere due volte, quelli che si vede benissimo che non gliene frega niente, quelli che dopo due giorni se lo sono dimenticato. Poi ci sono quelli che tu non hai neanche finito di parlare e loro sono già lì a dirti quanto sei fortunata perché grazie al cancro scoprirai parti di te meravigliose e nascoste e fortissime e bellissime che altrimenti non avresti mai scoperto e uscirai da questa esperienza più forte e felice di prima. Ecco, quelli, anzi voi, sapete chi siete, ecco voi andatevene direttamente a fanculo. Sì, perché l’idea un po’ new age che il cancro sia in realtà una risorsa è rispettosamente parlano una grandissima stronzata. Il cancro è una sfiga. Punto. Una sfiga gigantesca, oltre che una grandissima rottura di palle. Una sfiga che ti piomba nella vita magari proprio mentre la tua vita andava benissimo così com’era, mentre eri felice, innamorata, positiva, sorridente. Una sfiga. E una rottura di palle. E tu non ci puoi fare niente. L’unica cosa che puoi davvero fare è metterti a uovo e aspettare che passi. Come quando sugli aerei quando ti fanno vedere la posizione da impatto, rannicchiata sul sedile, le braccia avanti, la testa tra le ginocchia. Stai lì e speri che ti vada bene.

A me, per ora, è andata bene. Mi è andata così bene che mi è venuta voglia di scriverlo. Sì, persino su Facebook. O forse mi sono solo stancata di condurre una doppia vita, di stare attenta a quello che scrivo, di non poter neanche scherzare, sul cancro (sì può, vi assicuro che si può). Io che ho sempre pensato che la distinzione tra vita reale e vita virtuale non esistesse, che in fondo siamo gli stessi ovunque e che i cretini sono tali di qua e di là e idem quelli intelligenti: se lo sono nella vita reale di solito lo sono anche su internet, io che ho sempre pensato che a meno di non creare appositamente profili falsi e quindi essere borderline psicopatici, tirando le somme quello che siamo e facciamo in rete siamo e facciamo anche in carne ed ossa, foto più, foto meno, ecco io per nove mesi mi sono ritrovata la vita divisa in due: quella felice e piena di cazzate, e quella piena di appuntamenti dal dottore, di prelievi del sangue e di decisioni difficili. Tutte cose che è giustissimo che su Facebook non ci vadano, però in fondo è un po’ come mentire, avere un profilo falso come gli psicopatici di cui sopra.

Mi sono sempre chiesta che cosa provino i gay dopo aver fatto coming out. Chissà che sollievo, chissà che forza. Tra poco lo saprò, perché una volta messo per iscritto non si torna indietro: ciao, mi chiamo Simona, e ho avuto il cancro.

PS Se questo fosse un discorso adesso ci vorrebbero dei ringraziamenti: agli amici che in questi mesi mi sono stati vicino, ai direttori che mi hanno fatta lavorare, a tutte le persone che ci sono passate e che mi hanno detto l’unica cosa che sia davvero importante: si può fare.

Simona Siri

Vive a New York con un marito e un cane. Fa la giornalista e ha scritto due libri: Lamento di una maggiorata (Tea, 2012) e Vogliamo la favola (Tea, 2013). Segue la politica americana, il cinema e le serie tv. Ama molto l'Italia e gli italiani, ma l'ha capito solo quando si è trasferita negli Usa.