C’è chimica tra di noi

Nuovo locale trendy a Roma, mi dicono: ci sono venuti tutti, tranne tu. Vero! Infatti si dice in giro: ci sono già stato, tu no? e no! È dall’altra parte di Roma. E vabbè, venti minuti massimo – che a Roma poi c’è questa usanza, quando chiedi: quando tempo ci metti per arrivare da casa tua all’ufficio?, tutti rispondono: al massimo venti minuti.

Moto, piano piano, filo filo con l’acceleratore, che vuoi fa’: la vecchiaia, occhio alle buche, i sanpietrini, di tanto in tanto appaiono quegli splendidi angoli romani, l’iShuffle che è una rottura, clicca due volte per passare all’altra canzone, con i guanti, poi, è difficile, le buche, le canzoni che non scorrono, imprecazioni varie e arrivo – nemmeno una canzone mi sono goduto. Guardo l’orologio. Trentacinque minuti.
Beh, penso, posto carino. Tutto vintage, arredo in legno, buon gusto, vecchie cose riciclate e tessera Arci obbligatoria: ma bravi. Tanta gente. Ho solo una sensazione: qualcosa che non mi torna. Sarà il tempo di percorrenza, sono fissato con gli orari.
Non è il tempo di percorrenza, no. Me ne rendo conto appena entro e mi oriento: sono tutti giovani e belli, tutti artisti. Sono invidioso, ecco cosa non torna – tutti artisti e io non scrivo narrativa da sei anni, porca miseria.

Una ragazza molto bella mi da il benvenuto: un bicchiere di vino? è biologico!
A me la parola biologico mi deprime. E vorrei dirle: scusa eh, ma ti rendi conto che le pratiche agronomiche volgarmente dette biologiche sono antiquate, le usava mio nonno e ha sofferto la fame per tutta la vita, ti rendi conto che gli insetti non sanno leggere, non sono culturalmente modificati, non è che leggono la scritta coltivazioni bio e pensano: ah, andiamo in un altro campo, attacchiamo le colture di quelli che non fanno bio. Ti rendi conto, le vorrei dire, che contro i funghi in agricoltura biologica si usa ancora il rame? Cioè un metallo pesante, che lascia residui nel terreno? Non è meglio un fitofarmaco di nuova generazione? Ottenuto dalla sapienza di chimici che hanno studiato nuove molecole a basso impatto? Ma com’è che questo paese non riesce a innovare? Non senti una stonatura tra il tuo iPhone e la parola bio?
Vorrei dirle questo. Ma invece dico: sì, grazie. E aggiungo anche: niente male. E poi: abiti qui? No, Esquilino. E quanto ci hai messo ad arrivare? Mah, dice lei, una ventina di minuti. Dopo dieci minuti mi chiede: un altro bicchiere? Vorrei dirle: ma ti rendi conto che tutti diciamo di metterci venti minuti? È come il bio, una piccola menzogna. E invece le dico: grazie, sì.

Sarà il vino e quel leggero turbamento da pre-ubriachezza, ma c’era sempre qualcosa che non mi tornava: ma che cosa? Ah ecco, come una visione, ora mi appare chiaro. Tutti hanno il proprio bicchiere di vino (bio) in mano, ma l’ambiente è diviso, da una parte ci sono i maschi, dall’altra le donne. Che cazzo, penso. Sono ubriaco. ‘Sto vino biologico è tosto. E no, guardo meglio, i maschi parlano con i maschi le donne con le donne. Giovani, belli, eleganti, artisti e segregati? Sono ubriaco o vedo tutto bio?
L’unico maschio che parla con le donne è Eduardo, lo conosco. Ex casertano. Come me. Riconosco la posa da bar. Appoggiato al bancone, bicchiere in mano, discorsi da cazzaro. Tipico, è un maschio meridionale. Ha tutta una sua cultura, particolare. Come me. Eduà, dico: tutto a posto? Bello! Tutto a posto, mi risponde. Due bacetti, per saluto.

È un po’ il discorso di Francesco Piccolo, nella Separazione del maschio: a volte ci si sente costretti a guardare il culo o a corteggiare una che passa. Infatti, non vogliamo sfigurare: sto parlando di alcuni maschi meridionali. Ma quale sarebbe la costrizione? La cultura meridionale, appunto. Noi abbiamo alle spalle un contesto, diciamo così, un modello, e su questo ci formiamo. A un certo punto capita che diventiamo consapevoli del contesto e cerchiamo di rileggerlo, usiamo allora un metodo di lettura. La vita è tutta una questione di modello e di metodo. Se non esamini il tuo modello attraverso un metodo non hai possibilità di migliorarlo. Quindi è inutile che sogni, saranno sogni che non incideranno sul modello e quindi sul futuro. Il nostro modello (meridionale) sessuale è stato così: volgare e dialettale. Ricchione! La sintesi perfetta di volgare e dialettale. La paura di essere ricchione è stata invasiva: eri ricchione se non sapevi giocare a pallone, a basket, se non facevi una volta al giorno a botte per strada, se non ti usciva sangue dal naso (dopo le botte) se non giocavi a figurine, se non ti lanciavi dal primo piano, se non fumavi, se non sputavi ogni due minuti, se ti mettevi il pantalone corto. Ricchione anche se non impennavi con la moto. E ancora non c’entravano le donne. Ma se non sapevi fare tutte queste cose, così si pensava, come potevi parlare con le donne e poi scopartele?

Purchiacca! Una parola ricorrente e inquietante. L’hai vista? Com’è? Com’è? la purchiacca. Secondo Enzo Moscato in Rasoi, la parola purchiacca ha valenze etimologiche sia con la medusa di mare, che urtica, come gli umori della donna, sia con la Medusa mitologica, quella che non puoi guardare, perché ti paralizza. Così era la purchiacca, appunto. Così era il modello. Così vedevano noi le donne, meduse bellissime e urticanti che andavano conquistate (e dovevi allenarti, impennare, fare a botte, giocare a pallone…) ma guardandole nello specchio del tuo scudo. Una continua strategia di combattimento.
Il prolungarsi di questo modello sessuale meridionale ha formato varie generazioni di maschi ossessivi nello sguardo, con la bava alla bocca, incapaci di avere un rapporto sentimentale sano, contraddittori, poligami, gelosi – le femmine devono stare a casa! – maschilisti: le femmine devono stare a casa! Tuttavia passionali, ma solo nei momenti in cui la passione serviva. Simpatici, sempre cazzari, militanti della seduzione ma impauriti dalle donne: a purchiaccia! appunto. In questi maschi la seduzione diventa invasione coatta, uno sfondamento operato con parole e opere e omissioni, sebbene giovani, già odiosi vecchi rattusi, alla vista delle donne incapaci di intendere e di volere.

Però, questo modello, riletto con metodo (con tenacia, cultura e coscienza e grazie alla modernità) ha costruito nella migliore delle ipotesi un maschio meridionale reloaded, di tipo 1, ossia, raffinato: sa giocare con la volgarità, curioso dell’animo femminile (si annoia in compagnia maschile), attento alle diverse tonalità del femminile e ai segni della seduzione. E poi generosissimo: offre sempre, anche se non ha soldi in tasca – in qualche modo fa. Simpatico ma che ricerca, a sua volta, donne simpatiche, poco geloso e ossessivo al punto giusto, cioè capace di essere prepotente quando la situazione lo impone, dunque molto rassicurante.
Nella peggiore delle ipotesi è un maschio reloaded di tipo 2: ovvero, conserva tutte le caratteristiche sopra elencate ma queste risultano sporcate da sentimenti meno nobili che, in maniera violenta e imbarazzante, fanno crollare la tipologia reloaded sul più bello: gelosia, follia, inquietudine perenne, menzogne, rabbia, sensi di colpa e senso del possesso: sei mia, basta! E infine, è da considerare un altro sentimento. Di aspetto tragico: quello di tenere tutto insieme e in maniera produttiva e vitale, famiglia, commare, fidanzate, amanti: passate, presenti e future. Dare tutto a tutte e sbagliare tutto. Insomma, un tipo rassicurante fino a un certo punto. Manca poco che sia uno stronzo.
Io sono un maschio meridionale che ha riletto il modello con forza. Ah, ps, (per non generare equivoci narrativi e sembrare d’animo nobile): sono del secondo tipo.

Comunque, il vino mi aveva già dato alla testa e mi aggiravo nel locale un po’ barcollante. Fissatissimo. Cioè, forse non era la serata giusta (ma un narratore lavora e ragiona con gli elementi che ha, si prende dei rischi), magari in altre sere succedono cose diverse, ma, quella sera, non ci potevo pensare: non c’era aria di seduzione. Tutto in ordine, per carità. Veramente un posto arredato con cura, bellissimo, ma, parlo per la mia razza, i maschi non sembravano interessati alle donne. Ricchioni? Ma no, anzi, che dico?- ‘sto cazzo di modello che torna sempre. Tutti fidanzati, bravi, eleganti, artisti, ma bio, insomma: non c’è chimica fra noi! sembrava il motto della serata.

Le ragazze (fidanzate) da un lato che parlavano con le altre ragazze (fidanzate) e i maschi (fidanzati) parlavano con altri maschi (fidanzati), dall’altro lato. Niente scambi seduttivi, niente prove chimiche. Va bene, voglio indagare. Il maschio meridionale (reloaded) di tipo uno e due, è molto diretto (quando è ubriaco poi….), e quindi ho cominciato a chiedere alle ragazze: ma scusate, ma non sentite qualcosa di strano, ma i maschi? Dove sono? Risposte più o meno vaghe (io poi ero ubriaco, capirai), finché una mia amica non mi racconta: guarda non me ne parlare, una sera invito a cena quello (me lo indica: quello era un ragazzo bello, elegante, artista e giovane). Io sono single, lui è fidanzato, ma insomma, mi sembrava furbetto. Cena a casa mia (vivo da sola). Tu cosa avresti fatto? Io? Beh, da maschio meridionale considero questo invito un segno, insomma non do niente per scontato, ma cerco di lavorarci su per il buon prosieguo della pratica. Bene! credimi, mi dice lei, questo mi ha parlato per tutta la serata di una sua ricetta: il coniglio al sugo. Non solo, di come alla sua ragazza piace il coniglio al sugo. Mi sono sentita umiliata. Fino alle tre di notte, a parlare del coniglio, che ci vieni a fare se non capisci i segni? E’ questione di attenzione. Le dico: non posso sentire questa confessione, non ci credo, che vergogna: mi copro le orecchie e comincio a fare bla bla bla, come bambini. Lei dice: capisco che sei fidanzato, ma se vieni da me, capisci anche che non mi interessa che sei fidanzato. Insomma, che ci possiamo accordare, un accordo tra gentiluomini e gentildonne.
Bla bla bla, non me lo dire, non me lo dire.

Certo che vi accordate! Che ci vuole? Del resto, i maschi meridionali hanno tutta una tradizione in proposito. Per quanto riguarda gli accordi. Tradizione contadina, molto pratica. Mio nonno aveva la commara, ossia la fidanzata ufficiale, riconosciuta dalla moglie. Usciva il venerdì con la commara e il sabato con mia nonna. Nonno com’era? come vivevi tutto questo: e com’era? Il venerdì mi rompeva i coglioni la commara, il sabato la nonna.
Le commare di solito erano donne sole, vedove, mariti persi in guerra, o magari affette da poliomielite, indurite dalla vita, ma che di tanto in tanto si aprivano alla sensualità. I maschi si avvicinavano, facevano due chiacchiere e poi si fidanzavano. La tradizione vuole che per diventare commara bisognava cucinare all’uomo. Oppure, l’uomo doveva fare lavori in casa alla donna, anche avvitare una lampadina andava bene. Naturalmente la cultura maschilista era favorevole alla commara e pochissimo favorevole al compare – il maschio meridionale reloaded è più tollerante. Avere la commara era anche segno di buona vitalità sessuale. Nei Sopranos quando dicono a Toni che Vito è ricchione, nessuno ci crede, e Paulie incredulo: quello tiene la commara! Infatti quando indagano sulle abitudini sessuali di Vito, chiedono alla commara, non alla moglie. Comunque, per farla breve, sono andato da quello e ubriaco io e ubriaco lui, papale papale glielo detto: ma scusa, ma vai a casa di una ragazza, bella, single e le parli del coniglio? Ma perché? mi risponde, che obbligo ho, abbiamo fatto due chiacchiere, mica bisogna solo scopare?

Mica bisogna solo scopare! Giusto, non giusto? Nei giorni a venire (questo è un flash forward) non ho fatto altro che chiedere in giro: ma che ne pensate? Il coniglio al sugo? Le risposte delle ragazze erano a) scoraggiate: non me ne parlare, anche a me stessa cosa. Vado a bere un aperitivo con uno, e questo mi parla di come soffre con la moglie, tutta la serata, du’ palle! (la regola del maschio meridionale di tipo uno e due, vieta di parlare delle mogli in questo senso, è il modello commara che lavora inconsciamente, la moglie è una cosa, la commara un’altra: anche se mio nonno la pensava diversamente) b) vabbé, sai, c’è un clima friendly ormai, niente di male c) apprezzo, scusa, quello ha la ragazza perché deve andare a fare lo scemo in giro, certo che voi proprio… poi dite di Berlusconi… chiediamoci semmai perché la ragazza l’ha invitato? d) ma dai, sono ragazzini, anche se hanno trent’anni, a quell’età è normale, ci credi all’amore e) guarda che è cambiato tutto, i ragazzi non vanno più dietro alle ragazze. L’hai sentita la battuta nel film Scialla? No, dico io. Beh, il protagonista dice una cosa tipo: andare troppo dietro le ragazze è da froci. Eh, dico io, che cosa? Ma veramente fai?

Tutto cambia. Il corteggiamento sta per finire, la razza meridionale è in via di estinzione, e forse è solo un bene. Questa seduzione continua, le frasi giuste al momento giusto, gli sguardi, gli abbracci, le carezze, questa attenzione spasmodica ai segni, alle battute, per capire dove e come si può entrare in campo. Alla fine tutto questo stanca, stanchezza per aver ceduto ancora una volta al modello, senza metodo, costretti a guardare il culo e fare i simpatici. Dai, basta. Aboliamo la razza meridionale. Rileggiamo tutto, con più forza. Questo ho pensato, con il quarto bicchiere di vino bio in mano, in quel locale bello e vitange, antico e moderno. Poi però, ho visto Eduardo che aveva acchiappato una. Eduà, tutto a posto? È certo, mi fa lui, complice, mo’ me ne vado a casa. E bravo, dico io. Quanto ci metti? Dieci minuti esatti, volo in moto. Che vi devo dire? Mi sono sentito un po’… ma sì: vecchio e fuori gioco, lui dieci minuti, io venti, insomma. È di Caserta pure lui. Un’invasione di campo.

Sono andato da quella che serviva il vino. E le ho detto: ma lo sai che il vino bio….e abbiamo cominciato a parlare. Si chiamava pure Valentina. Valentina? Ho detto, lo sai che il mio primo amore si chiamava Valentina (ero ubriaco, l’avevo detta male) e lo sai che a lei ho fatto una dichiarazione lunghissima e inutile. Due ore. Una buca. Ma veramente? mi dice. Ma che scherzi, le dico, sediamoci un attimo, e dai posa ‘sto vino bio. Sulle buche ho tutta una teoria….

Secondo me la versione più bella di My Way la canta Nina Simone. Fantastica. Come batte sui tasti e fa crescere il tono e che’amarezza quando canta Regrets, i have a few… E più avanti:

I’ve loved, I’ve laughed and cried.
I’ve had my fill my share of losing.
And now, as tears subside,
I find it all so amusing.

Deve essere così l’attimo prima che il sipario si chiuda, battiamo sui tasti e un po’ divertiti facciamo un bilancio. E tornando a casa, piano piano, filo filo d’acceleratore, ho visto, accompagnato dal pentagramma di My way, un sacco di persone che per strada si baciavano, felici, contente, avvinghiate e contaminate. Ma sì, c’è chimica tra noi.

 

Antonio Pascale

Antonio Pascale fa il giornalista e lo scrittore, vive a Roma. Scrive per il teatro e la radio. Collabora con il Mattino, lo Straniero e Limes. I suoi libri su IBS.