Caro Matteo Renzi

Caro Premier,

volevo dirti così in assemblea nazionale, ma visto che hai deciso di far precipitare le cose e di strappare, dando il via alla sostituzione di Mineo dalla Cina, te lo scrivo prima, così, se ti va, hai tempo di rifletterci su.

Nessuno ti chiede di «consegnare l’Italia a Mineo» (ma che frase è?), nessuno ti chiede di non fare le riforme (anche basta con questa storia dei frenatori, in cerca di visibilità: tu hai frenato Bersani e poi Letta per mesi, per anni), nessuno vuole mettere in discussione la tua leadership (stai sereno).

Ti si chiede solo di ricordare che si sta parlando della Costituzione, che non è affare di maggioranze presuntuose e aggressive, che si basa su un equilibrio delicato, che deve progettare il nostro futuro. Che fu scritta da molti outsider, in un dibattito che vide protagonisti anche quelli senza potere (e senza arroganza).

A gennaio, prima che, con mossa repentina ma da tempo meditata, mandassi a casa Letta per diventare PdC, in direzione nazionale ti dissi, a proposito del Senato: o lo abolisci davvero, o rischia di venire fuori un pasticcio. Così come ti dissi, a proposito dell’Italicum, che le soglie erano assurde, che le liste bloccate avevamo promesso di toglierle e, qualche settimana dopo, quando accettasti le richieste di Alfano, che le candidature plurime sono una truffa.

Ora, dopo qualche mese, ti chiedo se avevo (e avevamo) tutti i torti: se la legge elettorale va bene così, se anche al Senato chiederai di votare il testo così com’è, senza cambiarne una virgola, come hai chiesto alla Camera, minacciando di dimetterti.

Se la riforma del Senato, che è già cambiata più volte (108 sindaci, poi misto Comuni-Regioni, poi senatori-a-vita-temporanei, poi ispirazione al modello tedesco, poi il Senatò alla francese che però non è alla francese), non possa essere portata a termine con un atteggiamento meno demagogico. Perché a volte la preoccupazione del governo sembra essere esclusivamente quella di non pagare i senatori, intorno alla quale ruota l’idea che non siano eletti, e che tutto sommato il Senato rimanga, ma non nel pieno delle sue funzioni (e, allora, perché non abolirlo? Per non dare alla Camera più garanzie per le minoranze? Non voglio nemmeno pensarlo). Ti chiedo, a te che ti svegli così presto, e che lavori fino a tardi, se un sindaco, magari di un Comune capoluogo, che assolve già il ruolo di presidente della provincia (anche queste abolite, ma non proprio e non troppo), riuscirà a fare quello che deve, venire a Roma (ogni quanto?), legiferare, e poi tornare a casa. Non ti chiedo chi pagherebbe il viaggio, e il pernottamento, e la segreteria di questo sindaco-presidente-senatore. Ti chiedo che senso abbia. E che rappresentanza offrirebbe un Senato così, scelto dai politici, sulla base degli equilibri tra le forze politiche, senza che i cittadini possano scegliere quasi nulla (in una sorta di Italicum del Senato, oltre a quello approvato alla Camera).

E ti chiedo perché non si possa immaginare che si riducano deputati e senatori (più di quanto tu non faccia con i senatori, per capirci), che però siano eletti dai cittadini e si dedichino al loro mandato, differenziato, con compiti definiti bene e con la soddisfazione di tutti.

Perché queste sono le terribili richieste che sono state avanzate dalla minoranza che i tuoi solerti collaboratori continuano a ridicolizzare, a banalizzare, a farne caricature e ritratti poco dignitosi.

Se il problema è questo, discutiamone. Se è una prova di forza, invece, stai facendo un errore e, per quanto mi riguarda, chi fa le prove di forza sulla Costituzione, è già fuori di essa.

Pippo Civati

Pippo Civati è il fondatore e direttore della casa editrice People. È stato deputato eletto col Partito Democratico e ha creato il movimento Possibile. Il suo nuovo libro è L'ignoranza non ha mai aiutato nessuno (People).