La retorica della Buona Scuola

Qualche giorno fa è uscita sul Corriere, ed è stata un po’ ripresa dappertutto, una lettera al presidente del Consiglio Renzi di un padre di una ragazzina della JuniOrchestra di Roma. Raccontava che dopo un concerto alla presentazione del programma della Buona Scuola,

«mia figlia è tornata a casa in lacrime umiliata e mortificata dalla totale assenza di attenzione da parte del pubblico durante la loro esecuzione successiva al suo intervento. Mentre i ragazzi erano impegnati nella difficile esecuzione di musiche di Beethoven e di Tchaikovsky il pubblico in sala era principalmente impegnato a prodigare saluti, non solo parlando a voce alta, ma camminando e urtando i ragazzi, rendendo di fatto impossibile l’esecuzione stessa».

Il video in effetti è abbastanza eloquente. Dei ragazzini che suonano non gliene frega niente a nessuno.

Siccome la lettera un po’ di sdegno – anche quello da automatismo da web – l’ha generato, non Renzi ma Simona Flavia Malpezzi, deputata Pd che si occupa di scuola, si è sentita in dovere (mi sembra sia stata l’unica politica) di rispondere con una lettera lunga e articolata:

«Per questo mi scuso a nome mio e anche dei miei colleghi; per aver dimostrato poca sensibilità rispetto a un lavoro meraviglioso che la tua e altri figli svolgono ogni giorno con impegno e passione. Purtroppo, dopo aver seguito con grande partecipazione i primi quattro brani eseguiti meravigliosamente molti non hanno capito che, al termine dell’iniziativa, ve ne sarebbe stato un altro, l’ultimo. Ma questa non vuole essere una giustificazione, come potrai vedere se avrai la pazienza di continuare a leggere».

In realtà nel resto della lettera, Malpezzi si prodiga in un lungo (auto)elogio a tutto quello che il suo governo pensa di fare per l’educazione musicale. Dice che è stato imperdonabile il comportamento di domenica scorsa, dice di non autogiustificarsi, ma poi di fatto si perdona, ma poi di fatto si giustifica, e anzi rilancia:

«Stiamo cercando di costruire un nuovo modello di scuola nel tentativo di estendere al più alto numero possibile di ragazzi l’opportunità di beneficiare di nuovi processi di acculturazione che valorizzino le loro doti e offrano loro un ventaglio di prospettive nuove, rendendo la nostra società un luogo migliore che sappia finalmente sprigionare tutte le sue energie positive».

Non è avvincente raccogliere le pietre da scagliare appena troviamo qualcuno che fa una gaffe, e forse è anche vero che il concerto andava organizzato meglio, che molti non avevano capito che era finito… Ma non è questo il punto. E anzi, l’episodio non sarebbe interessante se non mettesse in luce un paio di costanti del rapporto tra adulti e ragazzi oggi.

Capita a molti adulti, anche a quelli che hanno una funzione di educatori (genitori, insegnanti) ogni tanto di non svolgere bene il proprio il ruolo. Mi metto nel mucchio: capita (anche a me) di avere comportamenti che stigmatizziamo nei ragazzi. Arrivare in ritardo, stare al cellulare a un concerto di musica classica o al cinema, parlare a voce alta dove non si dovrebbe, distrarsi nelle occasioni dove servirebbe attenzione, non rispettare regole importanti, essere maleducati.
Quando ci comportiamo così, i ragazzi non transigono: perdiamo credibilità, autorevolezza, etc… È inutile oltre che ipocrita giustificarsi o glissare. Abbiamo sbagliato; e chiunque lo sa, che si educa poco con le parole e molto con l’esempio.

Per questo capisco la buona fede di Simona Malpezzi, ma la pezza che prova a imbastire la trovo peggiore del buco.
Quando ci comportiamo male e un ragazzino lo nota, noi dobbiamo un po’ vergognarci, chiedergli scusa e stop. Non aggiungere un ma. Non aggiungere un ma invece io farò per te delle cose inimmaginabili che ti educheranno perché l’educazione è importante. Non scandire certo quanto è importante l’ascolto mentre noi non abbiamo fino a quel momento ascoltato nessuno.

Non si tratta nemmeno di una questione di onestà intellettuale. È ancora una volta educare all’esempio. Si sbaglia, si accettano le correzioni, si chiede scusa, ci si prova a migliorare, senza proclami. Se siamo sinceri, il ragazzino in questione se ne accorgerà, e riotterremo fiducia e autorevolezza, persino affetto. Se saper chiedere scusa è una cosa rara nella società dell’autoindulgenza, saper insegnare – con l’esempio – a chiedere scusa sarebbe veramente un superpotere.

C’è però un’ulteriore impressione che non si può non ricavare a pelle vedendo il video, in cui adulti cafoni non soltanto non ascoltano la musica ma si accorgono nemmeno della presenza fisica dei ragazzini. Al minuto 4 e dieci si scorge Matteo Renzi che si fa un paio di selfie nella calca indifferente al contesto. I piccoli musicisti non vengono trattati nemmeno come una radio (come ammette Malpezzi), ma come una radio di propaganda.

Se la figlia del papà del Corriere era in lacrime e umiliata dopo l’esibizione, altri ragazzini si possono essere molto incazzati, e proprio perché il renzismo si è nutrito e continua a nutrirsi molto di una retorica della rottamazione e del rinnovamento, etc… Ora, se questo spirito iconoclasta molto spesso sembra risolversi semplicemente in giovanilismo protervo, in assenza di cultura istituzionale, insomma in una posa, non è la condiscendenza dei matusa che lo troverà fasullo, ma quella delle nuove generazioni, che – come sempre avviene – non fanno sconti.

Christian Raimo

Christian Raimo è nato (nel 1975) e cresciuto e vive a Roma. Ha studiato filosofia e ha pubblicato per Minimum Fax due raccolte di racconti: Latte (2001) e Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004). È un redattore di «minima&moralia». Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia.