Bossi, solitario y final

Il fatto che la propaganda richieda l’uso di concetti semplici, meglio se ripetuti alla noia, ci ha per troppo tempo distratti rispetto a quel fenomenale non comunicatore che è Umberto Bossi. Ci siamo illusi che si trattasse di un vero animale politico e che i suoi modi grezzi e sbrigativi, la monumentale sciatteria del suo lessico e l’incapacità di esprimere concetti compiuti senza utilizzare metafore da trivio fossero frutto di un attento studio. Non di Bossi, che come universalmente noto con lo studio ha intrattenuto rapporti saltuari, quanto piuttosto di un profondo conoscitore della storia come Gianfranco Miglio. Per uscire dalla palude di tutti gli stalli democristiani e dei sofisticati ismi di quella sinistra tanto antipatica e presuntuosa, cosa c’è di meglio di un dito medio e di un vaffanculo da osteria piazzato tra la fine di una frase e l’inizio di quella successiva, come un apostrofo verde? Parlare alla pancia della gente e quando non dovesse bastare, parlare direttamente ai genitali. Così è stato per quasi 25 anni, quelli del regno di Umberto Bossi sull’eterno malcontento leghista, sulla rabbia delle province dell’Impero e sulla voglia di secessione che nessuno ha ma che fa sempre la sua porca figura su tutto.

Ora però c’è qualcosa di sospetto nelle reazioni di Bossi a giorni di difficoltà e angoscia come quelli che viviamo, la sensazione che quello scarno lessico di più o meno 50 parole che da tempo abbiamo imparato a memoria sia l’unico registro disponibile e conosciuto dal politico animale Bossi, che non ci sia alternativa all’imbarazzo di sentirlo sfanculare cronisti, avversari politici,  uomini di stato e istituzioni. Bossi e la sua coprolalia colpiscono chiunque indiscriminatamente e pare che il Ministro non si renda conto che alle sue uscite seguono silenzi sempre più imbarazzati, risate di circostanza e nessun compiacimento, niente a che vedere con le acclamazioni e le grida estatiche dei suoi fedelissimi negli anni d’oro. A tutto ciò si aggiungano l’età quasi veneranda e quella cosa brutta e dolorosa che sono i segni di un grave trauma, di una malattia menomante che acuisce il disagio di chi ascolta e allontana ogni traccia di allegria e aggressività dalla figura del leader, da quel corpo prima mistico e ora solo sofferente. Bossi insulta, insulta e insulta ancora come unica risposta all’incredulità della sua base e allo spaesamento per le sue scelte.

Alcuni lo vedono come segno di un declino inarrestabile e come traccia luminosa del regresso di un protagonista mentre altri, e la versione mi pare più affascinante e credibile, come la naturale evoluzione di una linea piatta, lo stesso stallo di cui Bossi pretendeva di rappresentare la discontinuità, peggiorato dall’impoverimento dei contenuti e dall’imbarbarimento dei toni. Un po’ a dire che Umberto Bossi non è mai cambiato, è solo la musica del suo violino che stride con troppi anni di grossolane promesse e parolacce da fiera. Il re è davvero nudo e se pure in quelle condizioni ce l’ha duro è peggio, perché ci rende impossibile il compito di ignorare lui e quelle povere 50 parole da animale politico spelacchiato, solitario y final.