I paradossi dell’assicurazione dei depositi

Perché abbiamo una assicurazione, obbligatoria, dei depositi? Per tutelare i correntisti dai rischi nei quali incorrono le banche. Originariamente prestito e deposito erano funzioni ben distinte, come non si stanca di ricordare Jesùs Huerta de Soto. Il deposito di denaro era non diverso dal deposito di beni: l’obbligazione essenziale del depositario era mantenere il denaro a disposizione del depositante, ma era questi a dover pagare il primo, per il servizio di custodia che gli veniva offerto.

Oggi, sono al contrario i correntisti a venire pagati per il denaro che depositano. Il tasso d’interesse li remunera in ragione del fatto che i loro denari vengono impiegati, cioè a loro volta prestati, dalla banca.
Prestare denaro è una attività molto difficile: farlo bene richiede una notevole capacità di comprendere appieno i rischi che si assumono. Le banche fanno credito a imprese delle quali debbono valutare prospettive e solidità. Ogni tanto, sbagliano: vuoi perché vengono frodate, vuoi perché i meccanismi dell’economia di relazione “drogano” i criteri sulla base dei quali il credito viene concesso, vuoi semplicemente perché le loro analisi si rivelano poco accurate.

L’assicurazione dei depositi dovrebbe proteggere i correntisti dall’eventualità che l’istituto di credito nel quale hanno il proprio conto finisca in stato di insolvenza. Dovrebbe funzionare come un deterrente, utile a scongiurare la paura delle corse agli sportelli. È una misura che risale al New Deal, e che gode di approvazione pressoché unanime. I depositanti sono una controparte “debole”, non hanno gli strumenti per informarsi circa la condotta della banca in cui versano i loro risparmi, a fronte dell’esiguità dei quali proprio questa attività di comprendere com’è gestito un certo istituto di credito parrebbe economicamente assai gravosa.

È un cane che si morde la coda. I correntisti farebbero forse fatica a informarsi, ma che cosa accade se si leva loro l’incentivo a farlo? Essi si disinteressano completamente della condotta dell’istituto di credito nel quale hanno depositato i propri quattrini. La società nel suo complesso rinuncia a una opportunità per “creare informazione”: ricerche, punti di vista, dibattiti nella vasta e destrutturata rete dei correntisti probabilmente non valgono le opinioni degli esperti, ma potrebbero almeno stimolarle. La necessità di ottenere informazioni stimola, di norma, la produzione di quelle stesse informazioni. Oggigiorno, ci sono persone che, pur non essendo grandi studiosi della fermentazione alcolica, compulsano attentamente le guide dei vini per paragonare le valutazioni di Robert Parker con quelle di Wine Spectator con quelle del Gambero Rosso. Ma continuiamo a supporre che non sarebbero in grado di dedicare altrettanta attenzione, alla tenuta dei propri risparmi piuttosto che a una degustazione occasionale.

La vicenda di Cipro ci insegna inoltre che i sistemi di assicurazione sui depositi sono più precari di quanto appaia. Soprattutto se quest’assicurazione viene fornita in regime di monopolio: il sovrano non è meno capriccioso del solito, quando fa l’assicuratore. Il che è particolarmente grave, perché – ovviamente – le scelte dei decisori influenzano quelle di tutti gli altri. Banalmente, depositi “assicurati” tendono a tenere lontani da impieghi alternativi (come azioni e obbligazioni) persone attirate proprio da questa prospettiva di “sicurezza”.

Oggi il sistema finanziario di Cipro è allo sbando, a causa dell’eccessiva esposizione verso i bond greci. La “troika” ha proposto uno schema di salvataggio che passa dal “taglieggiamento” dei correntisti.
È una patrimoniale che colpisce i depositi (si parla di un’aliquota al 6,75% sotto i 100 mila euro, 9,9 al di sopra di quella cifra anche se è probabile si vada verso percentuali con un maggiore carattere di progressività): un prelievo forzoso a fronte del quale i cittadini ciprioti riceveranno azioni delle banche salvate. Gli osservatori la stanno leggendo come una violazione dell’assicurazione dei depositi (qui il Wall Street Journal, e qui Hugo Dixon). Lo spirito di quest’ultima è evitare che i depositanti paghino il fio di una cattiva gestione degli istituti di credito. Ma che cos’è una tassa speciale sui depositi bancari, per salvare le banche, se non una compartecipazione dei correntisti al disastro?

In un mondo senza assicurazione sui depositi, i correntisti dovrebbero stare attenti: se la banca che gestisce i loro quattrini fallisce, anche loro pagano il conto.
In un mondo con l’assicurazione sui depositi, i correntisti sono protetti dalla loro disattenzione: ma se il sistema bancario che gestisce i loro quattrini fallisce, anche loro pagano il conto. Meno male che c’è l’assicurazione sui depositi!

Alberto Mingardi

Alberto Mingardi (1981) è stato fra i fondatori ed è attualmente direttore dell’Istituto Bruno Leoni, think tank che promuove idee per il libero mercato. È adjunct scholar del Cato Institute di Washington DC. Oggi collabora con The Wall Street Journal Europe e con il supplemento domenicale del Sole 24 Ore. Ha scritto L'intelligenza del denaro. Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto (Marsilio, 2013). Twitter: @amingardi.